CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
PARTE
SECONDA
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LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
Perché la Liturgia?
1066 Nel Simbolo della fede, la Chiesa confessa il Mistero della Santa
Trinità e il suo "benevolo disegno" [Cf Ef 1,9 ] su tutta la creazione: il
Padre compie il "Mistero della sua volontà" donando il suo Figlio diletto e
il suo Santo Spirito per la salvezza del mondo e per la gloria del suo Nome.
Questo è il Mistero di Cristo, [Cf Ef 3,4 ] rivelato e realizzato nella
storia secondo un piano, una "disposizione" sapientemente ordinata che san
Paolo chiama "l'Economia del Mistero" [Cf Ef 3,9 ] e che la tradizione
patristica chiamerà "l'Economia del Verbo incarnato" o "l'Economia della
salvezza".
1067 "Quest'opera della Redenzione umana e della perfetta glorificazione di
Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo
dell'Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per
mezzo del Mistero pasquale della sua beata Passione, Risurrezione da morte e
gloriosa Ascensione, Mistero col quale "morendo ha distrutto la nostra morte
e risorgendo ci ha ridonato la vita". Infatti dal costato di Cristo
dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa"
[Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 5]. Per questo, nella
Liturgia, la Chiesa celebra principalmente il Mistero pasquale per mezzo del
quale Cristo ha compiuto l'opera della nostra salvezza.
1068 Questo Mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua
Liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo:
La Liturgia, infatti, mediante la quale, massimamente nel divino sacrificio
dell'Eucaristia, "si attua l'opera della nostra Redenzione", contribuisce in
sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli
altri il Mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa [Conc. Ecum.
Vat. II, Sacrosanctum concilium, 5].
Che cosa significa il termine Liturgia?
1069 Il termine "Liturgia" significa originalmente "opera pubblica",
"servizio da parte del/e in favore del popolo". Nella tradizione cristiana
vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all'"opera di Dio" [Cf Gv
17,4 ]. Attraverso la Liturgia Cristo, nostro Redentore e Sommo Sacerdote,
continua nella sua Chiesa, con essa e per mezzo di essa, l'opera della
nostra Redenzione.
1070 Il termine "Liturgia" nel Nuovo Testamento è usato per designare non
soltanto la celebrazione del culto divino, [Cf At 13,2; Lc 1,23 ] ma anche
l'annunzio del Vangelo [Cf Rm 15,16; Fil 2,14-17; 1070 Fil 2,30 ] e la
carità in atto [Cf Rm 15,27; 1070 2Cor 9,12; Fil 2,25 ]. In tutti questi
casi, si tratta del servizio di Dio e degli uomini. Nella celebrazione
liturgica, la Chiesa è serva, a immagine del suo Signore, l'unico "Liturgo",
[Cf Eb 8,2; 1070 Eb 8,6 ] poiché partecipa del suo sacerdozio (culto)
profetico (annunzio) e regale (servizio della carità):
Giustamente perciò la Liturgia è ritenuta quell'esercizio dell'ufficio
sacerdotale di Gesù Cristo, mediante il quale con segni sensibili viene
significata e, in modo proprio a ciascuno, realizzata la santificazione
dell'uomo, e viene esercitato dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè dal
Capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale. Perciò ogni
celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo,
che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della
Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado [Conc.
Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 7].
La Liturgia come fonte di Vita
1071 Opera di Cristo, la Liturgia è anche un'azione della sua Chiesa. Essa
realizza e manifesta la Chiesa come segno visibile della Comunione di Dio e
degli uomini per mezzo di Cristo. Impegna i fedeli nella Vita nuova della
comunità. Esige "che i fedeli vi prendano parte consapevolmente, attivamente
e fruttuosamente" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 7].
1072 "La sacra Liturgia non esaurisce tutta l'azione della Chiesa": [Conc.
Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 7] essa deve essere preceduta dalla
evangelizzazione, dalla fede e dalla conversione; allora è in grado di
portare i suoi frutti nella vita dei fedeli: la Vita nuova secondo lo
Spirito, l'impegno nella missione della Chiesa ed il servizio della sua
unità.
Preghiera e Liturgia
1073 La Liturgia è anche partecipazione alla preghiera di Cristo, rivolta al
Padre nello Spirito Santo. In essa ogni preghiera cristiana trova la sua
sorgente e il suo termine. Per mezzo della Liturgia, l'uomo interiore è
radicato e fondato [Cf Ef 3,16-17 ] nel "grande amore con il quale il Padre
ci ha amati" ( Ef 2,4 ) nel suo Figlio diletto. Ciò che viene vissuto e
interiorizzato da ogni preghiera, in ogni tempo, "nello Spirito" ( Ef 6,18 )
è la stessa "meraviglia di Dio".
Catechesi e Liturgia
1074 "La Liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e,
insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù" [Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 10]. Essa è quindi il luogo privilegiato della
catechesi del Popolo di Dio. "La catechesi è intrinsecamente collegata con
tutta l'azione liturgica e sacramentale, perché è nei sacramenti, e
soprattutto nell'Eucaristia, che Gesù Cristo agisce in pienezza per la
trasformazione degli uomini" [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi
tradendae, 23].
1075 La catechesi liturgica mira a introdurre nel Mistero di Cristo (essa è
infatti "mistagogia"), in quanto procede dal visibile all'invisibile, dal
significante a ciò che è significato, dai "sacramenti" ai "misteri". Una
tale catechesi spetta ai catechismi locali e regionali. Il presente
catechismo, che vuole essere al servizio di tutta la Chiesa, nella diversità
dei suoi riti e delle sue culture, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum
concilium, 3-4] presenterà ciò che è fondamentale e comune a tutta la Chiesa
riguardo alla Liturgia come mistero e come celebrazione (sezione prima);
quindi i sette sacramenti e i sacramentali (sezione seconda).
PARTE SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE PRIMA - L'ECONOMIA SACRAMENTALE
1076 Il giorno di Pentecoste, con l'effusione dello Spirito Santo, la Chiesa
viene manifestata al mondo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium,
6; Id., Lumen gentium, 2]. Il dono dello Spirito inaugura un tempo nuovo
nella "dispensazione del Mistero": il tempo della Chiesa, nel quale Cristo
manifesta, rende presente e comunica la sua opera di salvezza per mezzo
della Liturgia della sua Chiesa, "finché egli venga" ( 1Cor 11,26 ). In
questo tempo della Chiesa, Cristo vive e agisce ora nella sua Chiesa e con
essa in una maniera nuova, propria di questo tempo nuovo. Egli agisce per
mezzo dei sacramenti; è ciò che la Tradizione comune dell'Oriente e
dell'Occidente chiama "l'Economia sacramentale"; questa
consiste nella comunicazione (o "dispensazione") dei frutti del Mistero
pasquale di Cristo nella celebrazione della Liturgia "sacramentale" della
Chiesa.
E' perciò importante mettere in luce per prima cosa questa "dispensazione
sacramentale" (capitolo primo). In tal modo appariranno più chiaramente la
natura e gli aspetti essenziali della celebrazione liturgica (capitolo
secondo) .
PARTE SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE PRIMA - L'ECONOMIA SACRAMENTALE
CAPITOLO PRIMO - IL MISTERO PASQUALE NEL TEMPO DELLA CHIESA
Articolo 1
LA LITURGIA - OPERA DELLA SANTA TRINITA'
I. Il Padre, Sorgente e Fine della Liturgia
1077 "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha
benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha
scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo
cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per
opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a
lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto" ( Ef
1,3-6 ).
1078 Benedire è un'azione divina che dà la vita e di cui il Padre è la
sorgente. La sua benedizione è insieme parola e dono ("bene-dictio",
"eu-logia"). Riferito all'uomo, questo termine significherà l'adorazione e
la consegna di sé al proprio Creatore nell'azione di grazie.
1079 Dall'inizio alla fine dei tempi, tutta l'opera di Dio è benedizione.
Dal poema liturgico della prima creazione ai cantici della Gerusalemme
celeste, gli autori ispirati annunziano il disegno della salvezza come una
immensa benedizione divina.
1080 In principio, Dio benedice gli esseri viventi, specialmente l'uomo e la
donna. L'alleanza con Noè e con tutti gli esseri animati rinnova questa
benedizione di fecondità, nonostante il peccato dell'uomo, a causa del quale
il suolo è "maledetto". Ma è a partire da Abramo che la benedizione divina
penetra la storia degli uomini, che andava verso la morte, per farla
ritornare alla vita, alla sua sorgente: grazie alla fede del "padre dei
credenti" che accoglie la benedizione, è inaugurata la storia della
salvezza.
1081 Le benedizioni divine si manifestano in eventi mirabili e salvifici: la
nascita di Isacco, l'uscita dall'Egitto (Pasqua ed Esodo), il dono della
Terra promessa, l'elezione di Davide, la presenza di Dio nel tempio,
l'esilio purificatore e il ritorno del "piccolo resto". La Legge, i Profeti
e i Salmi, che tessono la Liturgia del Popolo eletto, ricordano queste
benedizioni divine e nello stesso tempo rispondono ad esse con le
benedizioni di lode e di rendimento di grazie.
1082 Nella Liturgia della Chiesa, la benedizione divina è pienamente
rivelata e comunicata: il Padre è riconosciuto e adorato come la Sorgente e
il Termine di tutte le benedizioni della creazione e della salvezza; nel suo
Verbo, incarnato, morto e risorto per noi, egli ci colma delle sue
benedizioni, e per suo mezzo effonde nei nostri cuori il Dono che racchiude
tutti i doni: lo Spirito Santo.
1083 Si comprende allora la duplice dimensione della Liturgia cristiana come
risposta di fede e di amore alle "benedizioni spirituali" di cui il Padre ci
fa dono. Da una parte, la Chiesa, unita al suo Signore e sotto l'azione
dello Spirito Santo, [Cf Lc 10,21 ] benedice il Padre per il "suo ineffabile
Dono" ( 2Cor 9,15 ) con l'adorazione, la lode e l'azione di grazie.
Dall'altra, e fino al pieno compimento del disegno di Dio, la Chiesa non
cessa di presentare al Padre "l'offerta dei propri doni" e d'implorare che
mandi lo Spirito Santo sull'offerta, su se stessa, sui fedeli e sul mondo
intero, affinché, per la comunione alla Morte e alla Risurrezione di Cristo
Sacerdote e per la potenza dello Spirito, queste benedizioni divine portino
frutti di vita "a lode e gloria della sua grazia" ( Ef 1,6 ).
II. L'Opera di Cristo nella Liturgia
Cristo glorificato...
1084 "Assiso alla destra del Padre" da dove effonde lo Spirito Santo nel suo
Corpo che è la Chiesa, Cristo agisce ora attraverso i sacramenti, da lui
istituiti per comunicare la sua grazia. I sacramenti sono segni sensibili
(parole e azioni), accessibili alla nostra attuale umanità. Essi realizzano
in modo efficace la grazia che significano, mediante l'azione di Cristo e la
potenza dello Spirito Santo.
1085 Nella Liturgia della Chiesa Cristo significa e realizza principalmente
il suo Mistero pasquale. Durante la sua vita terrena, Gesù annunziava con il
suo insegnamento e anticipava con le sue azioni il suo Mistero pasquale.
Venuta la sua Ora, [Cf Gv 13,1; 1085 Gv 17,1 ] egli vive l'unico avvenimento
della storia che non passa: Gesù muore, è sepolto, risuscita dai morti e
siede alla destra del Padre "una volta per tutte" ( Rm 6,10; Eb 7,27; Eb
9,12 ). E' un evento reale, accaduto nella nostra storia, ma è unico: tutti
gli altri avvenimenti della storia accadono una volta, poi passano,
inghiottiti nel passato. Il Mistero pasquale di Cristo, invece, non può
rimanere soltanto nel passato, dal momento che con la sua morte egli ha
distrutto la morte, e tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e
sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell'eternità divina e perciò
abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente. L'evento della croce e
della Risurrezione rimane e attira tutto verso la Vita.
... dalla Chiesa degli Apostoli...
1086 "Come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch'egli ha inviato gli
Apostoli, ripieni di Spirito Santo, non solo perché, predicando il Vangelo a
tutti gli uomini, annunziassero che il Figlio di Dio con la sua morte e
Risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte e trasferiti
nel regno del Padre, ma anche perché attuassero, per mezzo del Sacrificio e
dei sacramenti, sui quali s'impernia tutta la vita liturgica, l'opera della
salvezza che annunziavano" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 6].
1087 Pertanto, donando lo Spirito Santo agli Apostoli, Cristo risorto
conferisce loro il proprio potere di santificazione: [Cf Gv 20,21-23 ]
diventano segni sacramentali di Cristo. Per la potenza dello stesso Spirito
Santo, essi conferiscono tale potere ai loro successori. Questa "successione
apostolica" struttura tutta la vita liturgica della Chiesa; essa stessa è
sacramentale, trasmessa attraverso il sacramento dell'Ordine.
... è presente nella Liturgia terrestre...
1088 "Per realizzare un'opera così grande" - la "dispensazione" o
comunicazione della sua opera di salvezza - "Cristo è sempre presente nella
sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche. E' presente nel
Sacrificio della Messa sia nella persona del ministro, "egli che, offertosi
una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei
sacerdoti", sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. E' presente con la
sua virtù nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo stesso
che battezza. E' presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando
nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. E' presente, infine, quando la
Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel
mio nome, là sono io, in mezzo a loro" ( Mt 18,20 )" [Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 7].
1089 "In quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria
perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la
Chie sa, sua Sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di
lui rende il culto all'Eterno Padre" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum
concilium, 7].
... che partecipa alla Liturgia celeste
1090 "Nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella
celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la
quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio
quale ministro dei santi e del vero tabernacolo; con tutte le schiere della
milizia celeste cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con
venerazione i santi, speriamo di ottenere un qualche posto con essi;
aspettiamo, quale Salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando
egli comparirà, nostra vita, e noi appariremo con lui nella gloria" [Conc.
Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 7].
III. Lo Spirito Santo e la Chiesa nella Liturgia
1091 Nella Liturgia lo Spirito Santo è il pedagogo della fede del Popolo di
Dio, l'artefice di quei "capolavori di Dio" che sono i sacramenti della
Nuova Alleanza. Il desiderio e l'opera dello Spirito nel cuore della Chiesa
è che noi viviamo della vita del Cristo risorto. Quando egli incontra in noi
la risposta di fede da lui suscitata, si realizza una vera cooperazione.
Grazie ad essa, la Liturgia diventa l'opera comune dello Spirito Santo e
della Chiesa.
1092 In questa comunicazione sacramentale del Mistero di Cristo, lo Spirito
Santo agisce allo stesso modo che negli altri tempi dell'Economia della
salvezza: egli prepara la Chiesa ad incontrare il suo Signore; ricorda e
manifesta Cristo alla fede dell'assemblea; rende presente e attualizza il
Mistero di Cristo per mezzo della sua potenza trasformatrice; infine, lo
Spirito di comunione unisce la Chiesa alla vita e alla missione di Cristo.
Lo Spirito Santo prepara ad accogliere Cristo
1093 Nell'Economia sacramentale lo Spirito Santo dà compimento alle figure
dell' Antica Alleanza. Poiché la Chiesa di Cristo era "mirabilmente
preparata nella storia del popolo d'Israele e nell'Antica Alleanza", [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 2] la Liturgia della Chiesa conserva come
parte integrante e insostituibile, facendoli propri, alcuni elementi del
culto dell'Antica Alleanza:
- in modo particolare la lettura dell'Antico Testamento;
- la preghiera dei Salmi;
- e, soprattutto, il memoriale degli eventi salvifici e delle realtà prefigu
rative che hanno trovato il loro compimento nel Mistero di Cristo (la
Promessa e l'Alleanza, l'Esodo e la Pasqua, il Regno ed il Tempio, l'Esilio
ed il Ritorno).
1094 Proprio su questa armonia dei due Testamenti [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Dei Verbum, 14-16] si articola la catechesi pasquale del Signore [Cf Lc
24,13-49 ] e in seguito quella degli Apostoli e dei Padri della Chiesa. Tale
catechesi svela ciò che rimaneva nascosto sotto la lettera dell'Antico
Testamento: il Mistero di Cristo. Essa è chiamata "tipologica" in quanto
rivela la novità di Cristo a partire dalle "figure" (tipi) che lo
annunziavano nei fatti, nelle parole e nei simboli della prima Alleanza.
Attraverso questa rilettura nello Spirito di Verità a partire da Cristo, le
figure vengono svelate [Cf 2Cor 3,14-16 ]. Così, il diluvio e l'arca di Noè
prefiguravano la salvezza per mezzo del Battesimo, [Cf 1Pt 3,21 ] come pure
la Nube e la traversata del Mar Rosso; l'acqua dalla roccia era figura dei
doni spirituali di Cristo; [Cf 1Cor 10,1-6 ] la manna nel deserto
prefigurava l'Eucaristia, "il vero Pane dal cielo" [Cf Gv 6,32 ].
1095 Per questo la Chiesa, specialmente nei tempi di Avvento, di Quaresima e
soprattutto nella notte di Pasqua, rilegge e rivive tutti questi grandi
eventi della storia della salvezza nell'"oggi" della sua Liturgia. Ma questo
esige pure che la catechesi aiuti i fedeli ad aprirsi a tale intelligenza
"spirituale" dell'Economia della salvezza, come la Liturgia della Chiesa la
manifesta e ce la fa vivere.
1096 Liturgia ebraica e Liturgia cristiana. Una migliore conoscenza della
fede e della vita religiosa del popolo ebraico, quali sono professate e
vissute ancora al presente, può aiutare a comprendere meglio certi aspetti
della Liturgia cristiana. Per gli ebrei e per i cristiani la Sacra Scrittura
è una parte essenziale delle loro liturgie: per la proclamazione della
Parola di Dio, la risposta a questa Parola, la preghiera di lode e di
intercessione per i vivi e per i morti, il ricorso alla misericordia divina.
La Liturgia della Parola, nella sua specifica struttura, ha la sua origine
nella preghiera ebraica. La preghiera delle Ore e altri testi e formulari
liturgici hanno in essa i loro corrispettivi, come pure le stesse formule
delle nostre preghiere più degne di venerazione, tra le quali il "Pater"
[Padre nostro]. Anche le preghiere eucaristiche si ispirano a modelli della
tradizione ebraica. Il rapporto tra la Liturgia ebraica e quella cristiana,
ma anche le differenze tra i loro contenuti, sono particolarmente visibili
nelle grandi feste dell'anno liturgico, come la Pasqua. Cristiani ed ebrei
celebrano la Pasqua: Pasqua della storia, tesa verso il futuro, presso gli
ebrei; presso i cristiani, Pasqua compiuta nella morte e nella Risurrezione
di Cristo, anche se ancora in attesa della definitiva consumazione.
1097 Nella Liturgia della Nuova Alleanza, ogni azione liturgica,
specialmente la celebrazione dell'Eucaristia e dei sacramenti, è un incontro
tra Cristo e la Chiesa. L'assemblea liturgica riceve la propria unità dalla
"comunione dello Spirito Santo" che riunisce i figli di Dio nell'unico Corpo
di Cristo. Essa supera le affinità umane, razziali, culturali e sociali.
1098 L'assemblea deve prepararsi ad incontrare il suo Signore, essere "un
popolo ben disposto". Questa preparazione dei cuori è l'opera comune dello
Spirito Santo e dell'assemblea, in particolare dei suoi ministri. La grazia
dello Spirito Santo cerca di risvegliare la fede, la conversione del cuore e
l'adesione alla volontà del Padre. Queste disposizioni sono il presupposto
per l'accoglienza delle altre grazie offerte nella celebrazione stessa e per
i frutti di vita nuova che essa è destinata a produrre in seguito.
Lo Spirito Santo ricorda il Mistero di Cristo
1099 Lo Spirito e la Chiesa cooperano per manifestare Cristo e la sua opera
di salvezza nella Liturgia. Specialmente nell'Eucaristia, e in modo analogo
negli altri sacramenti, la Liturgia è Memoriale del Mistero della salvezza.
Lo Spirito Santo è la memoria viva della Chiesa [Cf Gv 14,26 ].
1100 La Parola di Dio. Lo Spirito Santo ricorda in primo luogo all'assemblea
liturgica il senso dell'evento della salvezza dando vita alla Parola di Dio
che viene annunziata per essere accolta e vissuta:
Massima è l'importanza della Sacra Scrittura nel celebrare la Liturgia. Da
essa infatti vengono tratte le letture da spiegare nell'omelia e i Salmi da
cantare; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le
orazioni e gli inni liturgici, e da essa prendono significato le azioni e i
segni [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 24].
1101 E' lo Spirito Santo che dona ai lettori e agli uditori, secondo le
disposizioni dei loro cuori, l'intelligenza spirituale della Parola di Dio.
Attraverso le parole, le azioni e i simboli che costituiscono la trama di
una celebrazione, egli mette i fedeli e i ministri in relazione viva con
Cristo, Parola e Immagine del Padre, affinché possano far passare nella loro
vita il significato di ciò che ascoltano, contemplano e compiono nella
celebrazione.
1102 "In virtù della parola salvatrice la fede. . . si alimenta nel cuore
dei credenti, e con la fede ha inizio e cresce la comunità dei credenti"
[Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 4]. L'annunzio della Parola di
Dio non si limita ad un insegnamento: essa sollecita la risposta della fede,
come adesione e impegno, in vista dell'Alleanza tra Dio e il suo Popolo. E'
ancora lo Spirito Santo che elargisce la grazia della fede, la fortifica e
la fa crescere nella comunità. L'assemblea liturgica è prima di tutto
comunione nella fede.
1103 L' Anamnesi. La celebrazione liturgica si riferisce sempre agli
interventi salvifici di Dio nella storia. "L'Economia della rivelazione
avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro. . . Le parole
dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto" [Conc. Ecum.
Vat. II, Dei Verbum, 2]. Nella Liturgia della Parola lo Spirito Santo
"ricorda" all'assemblea tutto ciò che Cristo ha fatto per noi. Secondo la
natura delle azioni liturgiche e le tradizioni rituali delle Chiese, una
celebrazione "fa memoria" delle meraviglie di Dio attraverso una Anamnesi
più o meno sviluppata. Lo Spirito Santo, che in tal modo risveglia la
memoria della Chiesa, suscita di conseguenza l'azione di grazie e la lode
(Dossologia).
Lo Spirito Santo attualizza il Mistero di Cristo
1104 La Liturgia cristiana non soltanto ricorda gli eventi che hanno operato
la nostra salvezza; essa li attualizza, li rende presenti. Il Mistero
pasquale di Cristo viene celebrato, non ripetuto; sono le celebrazioni che
si ripetono; in ciascuna di esse ha luogo l'effusione dello Spirito Santo
che attualizza l'unico Mistero.
1105 L' Epiclesi (invocazione-su") è l'intercessione con la quale il
sacerdote supplica il Padre di inviare lo Spirito Santificatore affinché le
offerte diventino il Corpo e il Sangue di Cristo e i fedeli, ricevendole,
divengano essi pure un'offerta viva a Dio.
1106 Insieme con l'Anamnesi, l'Epiclesi è il cuore di ogni celebrazione
sacramentale, in modo particolare dell'Eucaristia:
Tu chiedi in che modo il pane diventa Corpo di Cristo e il vino. . . Sangue
di Cristo? Te lo dico io: lo Spirito Santo irrompe e realizza ciò che supera
ogni parola e ogni pensiero. . . Ti basti sapere che questo avviene per
opera dello Spirito Santo, allo stesso modo che dalla Santa Vergine e per
mezzo dello Spirito Santo il Signore, da se stesso e in se stesso, assunse
la carne [San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 4, 13: PG 94, 1142A].
1107 La forza trasformatrice dello Spirito Santo nella Liturgia affretta la
venuta del Regno e la consumazione del Mistero della salvezza. Nell'attesa e
nella speranza egli ci fa realmente anticipare la piena comunione della
Santissima Trinità. Mandato dal Padre che esaudisce l'Epiclesi della Chiesa,
lo Spirito dona la vita a coloro che l' accolgono, e costituisce per essi,
fin d'ora, "la caparra" della loro eredità [Cf Ef 1,14; 2Cor 1,22 ].
La comunione dello Spirito Santo
1108 Il fine della missione dello Spirito Santo in ogni azione liturgica è
quello di mettere in comunione con Cristo per formare il suo Corpo. Lo
Spirito Santo è come la linfa della Vigna del Padre che porta il suo frutto
nei tralci [Cf Gv 15,1-17; Gal 5,22 ]. Nella Liturgia si attua la più
stretta cooperazione tra lo Spirito Santo e la Chiesa. Egli, lo Spirito di
comunione, rimane nella Chiesa in modo indefettibile, e per questo la Chiesa
è il grande sacramento della comunione divina che riunisce i figli di Dio
dispersi. Il frutto dello Spirito nella Liturgia è inseparabilmente
comunione con la Santa Trinità e comunione fraterna [Cf 1Gv 1,3-7 ].
1109 L'Epiclesi è anche preghiera per la piena realizzazione della comunione
dell'assemblea al Mistero di Cristo. "La grazia del Signore Gesù Cristo,
l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo" ( 2Cor 13,13 ) devono
rimanere sempre con noi e portare frutti al di là della celebrazione
eucaristica. La Chiesa prega dunque il Padre di inviare lo Spirito Santo,
perché faccia della vita dei fedeli un'offerta viva a Dio attraverso la
trasformazione spirituale a immagine di Cristo, la sollecitudine per l'unità
della Chiesa e la partecipazione alla sua missione per mezzo della
testimonianza e del servizio della carità.
In sintesi
1110 Nella Liturgia della Chiesa Dio Padre è benedetto e adorato come la
sorgente di tutte le benedizioni della creazione e della salvezza, con le
quali ci ha benedetti nel suo Figlio, per donarci lo Spirito dell'adozione
filiale.
1111 L'opera di Cristo nella Liturgia è sacramentale perché il suo Mistero
di salvezza vi è reso presente mediante la potenza del suo Santo Spirito;
perché il suo Corpo, che è la Chiesa, è come il sacramento (segno e
strumento) nel quale lo Spirito Santo dispensa il Mistero della salvezza;
perché, attraverso le sue azioni liturgiche, la Chiesa pellegrina nel tempo
partecipa già, pregustandola, alla Liturgia celeste.
1112 La missione dello Spirito Santo nella Liturgia della Chiesa è di
preparare l'assemblea a incontrare Cristo; di ricordare e manifestare Cristo
alla fede dell'assemblea; di rendere presente e attualizzare, con la sua
potenza trasformatrice, l'opera salvifica di Cristo, e di far fruttificare
il dono della comunione nella Chiesa.
Articolo 2
IL MISTERO PASQUALE NEI SACRAMENTI DELLA CHIESA
1113 Tutta la vita liturgica della Chiesa gravita attorno al Sacrificio
eucaristico e ai sacramenti [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium,
6]. Nella Chiesa vi sono sette sacramenti: il Battesimo, la Confermazione o
Crismazione, l'Eucaristia, la Penitenza, l'Unzione degli infermi, l'Ordine,
il Matrimonio [Cf Concilio di Lione II: Denz. -Schönm., 860; Concilio di
Firenze: ibid., 1310; Concilio di Trento: ibid., 1601]. In questo articolo
viene trattato ciò che è comune ai sette sacramenti della Chiesa, dal punto
di vista dottrinale. Quanto è loro comune riguardo alla celebrazione sarà
esposto nel capitolo secondo, mentre ciò che è proprio a ciascuno di essi
costituirà l'oggetto della sezione seconda.
I. I sacramenti di Cristo
1114 "Attenendoci alla dottrina delle Sacre Scritture, alle tradizioni
apostoliche e all'unanime pensiero. . . dei Padri", noi professiamo "che i
sacramenti della nuova Legge sono stati istituiti tutti da Gesù Cristo
nostro Signore" [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1600-1601].
1115 Le parole e le azioni di Gesù nel tempo della sua vita nascosta e del
suo ministero pubblico erano già salvifiche. Esse anticipavano la potenza
del suo Mistero pasquale. Annunziavano e preparavano ciò che egli avrebbe
donato alla Chiesa quando tutto fosse stato compiuto. I misteri della vita
di Cristo costituiscono i fondamenti di ciò che, ora, Cristo dispensa nei
sacramenti mediante i ministri della sua Chiesa, poiché "ciò che era
visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi misteri" [San Leone Magno,
Sermones, 74, 2: PL 54, 398A].
1116 "Forze che escono" dal Corpo di Cristo, [Cf Lc 5,17; Lc 6,19; Lc 8,46 ]
sempre vivo e vivificante, azioni dello Spirito Santo operante nel suo Corpo
che è la Chiesa, i sacramenti sono i "capolavori di Dio" nella Nuova ed
Eterna Alleanza.
II. I sacramenti della Chiesa
1117 Per mezzo dello Spirito che la guida "alla verità tutta intera" ( Gv
16,13 ), la Chiesa ha riconosciuto a poco a poco questo tesoro ricevuto da
Cristo e ne ha precisato la "dispensazione", come ha fatto per il canone
delle divine Scritture e la dottrina della fede, quale fedele
amministratrice dei misteri di Dio [Cf Mt 13,52; 1Cor 4,1 ]. Così la Chiesa,
nel corso dei secoli, è stata in grado di discernere che, tra le sue
celebrazioni liturgiche, ve ne sono sette le quali costituiscono, nel senso
proprio del termine, sacramenti istituiti dal Signore.
1118 I sacramenti sono "della Chiesa" in un duplice significato: sono "da
essa" e "per essa". Sono "dalla Chiesa" per il fatto che questa è il
sacramento dell'azione di Cristo che opera in lei grazie alla missione dello
Spirito Santo. E sono "per la Chiesa", sono cioè quei "sacramenti che fanno
la Chiesa", [Sant'Agostino, De civitate Dei, 22, 17; cf San Tommaso
d'Aquino, Summa theologiae, III, 64, 2, ad 3] in quanto manifestano e
comunicano agli uomini, soprattutto nell'Eucaristia, il Mistero della
comunione del Dio Amore, Uno in tre Persone.
1119 Poiché con il Cristo-Capo forma "quasi un'unica persona mistica", [Pio
XII, Lett. enc. Mystici Corporis] la Chiesa agisce nei sacramenti come
"comunità sacerdotale", "organicamente strutturata" [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 11]. Mediante il Battesimo e la Confermazione, il popolo
sacerdotale è reso idoneo a celebrare la Liturgia; d'altra parte alcuni
fedeli, "insigniti dell'Ordine sacro, sono posti in nome di Cristo a pascere
la Chiesa con la parola e la grazia di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 11].
1120 Il ministero ordinato o sacerdozio ministeriale [Cf ibid., 10] è al
servizio del sacerdozio battesimale. Esso garantisce che, nei sacramenti, è
proprio il Cristo che agisce per mezzo dello Spirito Santo a favore della
Chiesa. La missione di salvezza affidata dal Padre al proprio Figlio
incarnato è affidata agli Apostoli e da essi ai loro successori; questi
ricevono lo Spirito di Gesù per operare in suo nome e in persona di lui [Cf
Gv 20,21-23; Lc 24,47; Mt 28,18-20 ]. Il ministro ordinato è dunque il
legame sacramentale che collega l'azione liturgica a ciò che hanno detto e
fatto gli Apostoli, e, tramite loro, a ciò che ha detto e operato Cristo,
sorgente e fondamento dei sacramenti.
1121 I tre sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell'Ordine
conferiscono, oltre la grazia, un carattere sacramentale o "sigillo" in
forza del quale il cristiano partecipa al sacerdozio di Cristo e fa parte
della Chiesa secondo stati e funzioni diverse. Questa configurazione a
Cristo e alla Chiesa, realizzata dallo Spirito, è indelebile; [Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1609] essa rimane per sempre nel cristiano come
disposizione positiva alla grazia, come promessa e garanzia della protezione
divina e come vocazione al culto divino e al servizio della Chiesa. Tali
sacramenti non possono dunque mai essere ripetuti.
III. I sacramenti della fede
1122 Cristo ha inviato i suoi Apostoli perché "nel suo Nome", siano
"predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati" ( Lc
24,47 ). "Ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e
del Figlio e dello Spirito Santo" ( Mt 28,19 ). La missione di battezzare,
dunque la missione sacramentale, è implicita nella missione di
evangelizzare, poiché il sacramento è preparato dalla Parola di Dio e dalla
fede, la quale è consenso a questa Parola:
Il Popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della Parola del Dio
vivente. . . La predicazione della Parola è necessaria per lo stesso
ministero dei sacramenti, trattandosi di sacramenti della fede, la quale
nasce e si alimenta con la Parola [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum
ordinis, 4].
1123 "I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini,
all'edificazione del Corpo di Cristo, e, infine, a rendere culto a Dio; in
quanto segni, hanno poi anche la funzione di istruire. Non solo suppongono
la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la
irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati sacramenti della fede
" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 59].
1124 La fede della Chiesa precede la fede del credente, che è invitato ad
aderirvi. Quando la Chiesa celebra i sacramenti, confessa la fede ricevuta
dagli Apostoli. Da qui l'antico adagio: " Lex orandi, lex credendi "
[Oppure: "Legem credendi lex statuat supplicandi", secondo Prospero di
Aquitania, Epistulae, 217 (V secolo): PL 45, 1031]. La legge della preghiera
è la legge della fede, la Chiesa crede come prega. La Liturgia è un elemento
costitutivo della santa e vivente Tradizione [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Dei
Verbum, 8].
1125 Per questo motivo nessun rito sacramentale può essere modificato o
manipolato dal ministro o dalla comunità a loro piacimento. Neppure
l'autorità suprema nella Chiesa può cambiare la Liturgia a sua discrezione,
ma unicamente nell'obbedienza della fede e nel religioso rispetto del
mistero della Liturgia.
1126 Inoltre, poiché i sacramenti esprimono e sviluppano la comunione di
fede nella Chiesa, la lex orandi è uno dei criteri essenziali del dialogo
che cerca di ricomporre l'unità dei cristiani [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Unitatis redintegratio, 2 e 15].
IV. I sacramenti della salvezza
1127 Degnamente celebrati nella fede, i sacramenti conferiscono la grazia
che significano [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1605 e 1606]. Sono
efficaci perché in essi agisce Cristo stesso: è lui che battezza, è lui che
opera nei suoi sacramenti per comunicare la grazia che il sacramento
significa. Il Padre esaudisce sempre la preghiera della Chiesa del suo
Figlio, la quale, nell'Epiclesi di ciascun sacramento, esprime la propria
fede nella potenza dello Spirito. Come il fuoco trasforma in sé tutto ciò
che tocca, così lo Spirito Santo trasforma in vita divina ciò che è
sottomesso alla sua potenza.
1128 E' questo il significato dell'affermazione della Chiesa: [Cf ibid.,
1608] i sacramenti agiscono ex opere operato (lett. "per il fatto stesso che
l'azione viene compiuta"), cioè in virtù dell'opera salvifica di Cristo,
compiuta una volta per tutte. Ne consegue che "il sacramento non è
realizzato dalla giustizia dell'uomo che lo conferisce o lo riceve, ma dalla
potenza di Dio" [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 68, 8]. Quando
un sacramento viene celebrato in conformità all'intenzione della Chiesa, la
potenza di Cristo e del suo Spirito agisce in esso e per mezzo di esso,
indipendentemente dalla santità personale del ministro. Tuttavia i frutti
dei sacramenti dipendono anche dalle disposizioni di colui che li riceve.
1129 La Chiesa afferma che per i credenti i sacramenti della Nuova Alleanza
sono necessari alla salvezza [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1604].
La "grazia sacramentale" è la grazia dello Spirito Santo donata da Cristo e
propria di ciascun sacramento. Lo Spirito guarisce e trasforma coloro che li
ricevono conformandoli al Figlio di Dio. Il frutto della vita sacramentale è
che lo Spirito di adozione deifica [Cf 2Pt 1,4 ] i fedeli unendoli
vitalmente al Figlio unico, il Salvatore.
V. I sacramenti della vita eterna
1130 La Chiesa celebra il Mistero del suo Signore "finché egli venga" e "Dio
sia tutto in tutti" ( 1Cor 11,26; 1Cor 15,28 ). Dall'età apostolica la
Liturgia è attirata verso il suo termine dal gemito dello Spirito nella
Chiesa: "Marana tha!" ( 1Cor 16,22 ). La Liturgia condivide così il
desiderio di Gesù: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con
voi. . . finché essa non si compia nel regno di Dio" ( Lc 22,15-16 ). Nei
sacramenti di Cristo la Chiesa già riceve la caparra della sua eredità, già
partecipa alla vita eterna, pur "nell'attesa della beata speranza e della
manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo" (
Tt 2,13 ). "Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!... Vieni, Signore Gesù!" (
Ap 22,17; Ap 22,20 ).
San Tommaso riassume così le diverse dimensioni del segno sacramentale: "Il
sacramento è segno commemorativo del passato, ossia della passione del
Signore; è segno dimostrativo del frutto prodotto in noi dalla sua passione,
cioè della grazia; è segno profetico, che preannunzia la gloria futura" [San
Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 60, 3].
In sintesi
1131 I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Cristo e
affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina. I
riti visibili con i quali i sacramenti sono celebrati significano e
realizzano le grazie proprie di ciascun sacramento. Essi portano frutto in
coloro che li ricevono con le disposizioni richieste.
1132 La Chiesa celebra i sacramenti come comunità sacerdotale strutturata
mediante il sacerdozio battesimale e quello dei ministri ordinati.
1133 Lo Spirito Santo prepara ai sacramenti per mezzo della Parola di Dio e
della fede che accoglie la Parola nei cuori ben disposti. Allora, i
sacramenti fortificano ed esprimono la fede.
1134 Il frutto della vita sacramentale è ad un tempo personale ed
ecclesiale. Da una parte tale frutto è, per ogni fedele, vivere per Dio in
Cristo Gesù; dall'altra costituisce per la Chiesa una crescita nella carità
e nella sua missione di testimonianza.
PARTE SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE PRIMA - L'ECONOMIA SACRAMENTALE
CAPITOLO SECONDO - LA CELEBRAZIONE SACRAMENTALE DEL MISTERO PASQUALE
1135 La catechesi della Liturgia implica prima di tutto la comprensione
dell'economia sacramentale (capitolo primo). A questa luce si rivela la
novità della sua celebrazione. In questo capitolo si tratterà dunque della
celebrazione dei sacramenti della Chiesa. Si esporrà ciò che, nella
diversità delle tradizioni liturgiche, è comune alla celebrazione dei sette
sacramenti; quanto invece è specifico di ciascuno di essi sarà presentato
più avanti. Questa catechesi fondamentale delle celebrazioni sacramentali
risponderà alle prime domande che i fedeli si pongono a proposito di questo
argomento:
- chi celebra?
- come celebrare?
- quando celebrare?
- dove celebrare?
Articolo 1
CELEBRARE LA LITURGIA DELLA CHIESA
I. Chi celebra?
1136 La Liturgia è "azione" di " Cristo tutto intero " ("Christus totus").
Coloro che qui la celebrano, al di là dei segni, sono già nella Liturgia
celeste, dove la celebrazione è totalmente comunione e festa.
I celebranti della Liturgia celeste
1137 L'Apocalisse di san Giovanni, letta nella Liturgia della Chiesa, ci
rivela prima di tutto "un trono nel cielo, e sul trono Uno. . . seduto" ( Ap
4,2 ): "il Signore" ( Is 6,1 ) [Cf Ez 1,26-28 ]. Poi l'Agnello, "immolato e
ritto" ( Ap 5,6 ): [Cf Gv 1,29 ] il Cristo crocifisso e risorto, l'unico
Sommo Sacerdote del vero santuario, [Cf Eb 4,14-15; Eb 10,19-21; ecc] lo
stesso "che offre e che viene offerto, che dona ed è donato" [Liturgia di
San Giovanni Crisostomo, Anafora]. Infine, il "fiume di acqua viva" che
scaturisce " dal trono di Dio e dell'Agnello " ( Ap 22,1 ), uno dei simboli
più belli dello Spirito Santo [Cf Gv 4,10-14; Ap 21,6 ].
1138 "Ricapitolati" in Cristo, partecipano al servizio della lode di Dio e
al compimento del suo disegno: le Potenze celesti, [Cf Ap 4-5; Is 6,2-3 ]
tutta la creazione (i quattro esseri Viventi), i servitori dell'Antica e
della Nuova Alleanza (i ventiquattro Vegliardi), il nuovo Popolo di Dio (i
centoquarantaquattromila), [Cf Ap 7,1-8; Ap 14,1 ] in particolare i martiri
"immolati a causa della Parola di Dio" ( Ap 6,9-11 ), e la santissima Madre
di Dio, [La Donna: cf Ap 12; la Sposa dell'Agnello: cf Ap 21,9 ] infine "una
moltitudine immensa, che nessuno" può contare, "di ogni nazione, razza,
popolo e lingua" ( Ap 7,9 ).
1139 E' a questa Liturgia eterna che lo Spirito e la Chiesa ci fanno
partecipare quando celebriamo, nei sacramenti, il Mistero della salvezza.
I celebranti della Liturgia sacramentale
1140 E' tutta la Comunità, il Corpo di Cristo unito al suo Capo, che
celebra. "Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni
della Chiesa, che è "sacramento di unità", cioè popolo santo radunato e
ordinato sotto la guida dei vescovi. Perciò [tali azioni] appartengono
all'intero Corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli
membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli
stati, degli uffici e dell'attuale partecipazione" [Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 26]. Per questo "ogni volta che i riti comportano,
secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria con
la presenza e la partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che questa è
da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi
privata degli stessi" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 26].
1141 L'assemblea che celebra è la comunità dei battezzati i quali, "per la
rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo, vengono consacrati a formare
una dimora spirituale e un sacerdozio santo, e poter così offrire in un
sacrificio spirituale tutte le attività umane del cristiano" [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 10]. Questo "sacerdozio comune" è quello di Cristo,
unico Sacerdote, partecipato da tutte le sue membra: [Cf ibid., 10; 34; Id.
, Presbyterorum ordinis, 2]
La Madre Chiesa desidera ardentemente che tutti i fedeli vengano guidati a
quella piena, consapevole e attiva partecipazione delle celebrazioni
liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della Liturgia e alla quale
il popolo cristiano, "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa,
popolo di acqui sto" ( 1Pt 2,9 ) [Cf 1Pt 2,4-5 ] ha diritto e dovere in
forza del Battesimo [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 14].
1142 Ma "le membra non hanno tutte la stessa funzione"( Rm 12,4 ). Alcuni
sono chiamati da Dio, nella Chiesa e dalla Chiesa, ad un servizio speciale
della comunità. Questi servitori sono scelti e consacrati mediante il
sacramento dell'Ordine, con il quale lo Spirito Santo li rende idonei ad
operare nella persona di Cristo-Capo per il servizio di tutte le membra
della Chiesa [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 2 e 15]. Il
ministro ordinato è come "l'icona" di Cristo Sacerdote. Poiché il sacramento
della Chiesa si manifesta pienamente nell'Eucaristia, è soprattutto nel
presiedere l'Eucaristia che si manifesta il ministero del vescovo e, in
comunione con lui, quello dei presbiteri e dei diaconi.
1143 Al fine di servire le funzioni del sacerdozio comune dei fedeli, vi
sono inoltre altri ministeri particolari, non consacrati dal sacramento
dell'Ordine, la cui funzione è determinata dai vescovi secondo le tradizioni
liturgiche e le necessità pastorali. "Anche i ministranti, i lettori, i
commentatori, e tutti i membri del coro svolgono un vero ministero
liturgico" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 29].
1144 In questo modo, nella celebrazione dei sacramenti, tutta l'assemblea è
"liturga", ciascuno secondo la propria funzione, ma nell'"unità dello
Spirito" che agisce in tutti. "Nelle celebrazioni liturgiche ciascuno,
ministro o fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia solo e tutto ciò
che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza"
[Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 29].
II. Come celebrare?
Segni e simboli
1145 Una celebrazione sacramentale è intessuta di segni e di simboli.
Secondo la pedagogia divina della salvezza, il loro significato si radica
nell'opera della creazione e nella cultura umana, si precisa negli eventi
materiali dell'Antica Alleanza e si rivela pienamente nella persona e
nell'opera di Cristo.
1146 Segni del mondo degli uomini. Nella vita umana segni e simboli occupano
un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l'uomo
esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli
materiali. In quanto essere sociale, l'uomo ha bisogno di segni e di simboli
per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, dei gesti, di azioni.
La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio.
1147 Dio parla all'uomo attraverso la creazione visibile. L'universo
materiale si presenta all'intelligenza dell'uomo perchè vi legga le tracce
del suo Creatore [Cf Sap 13,1; Rm 1,19-20; At 14,17 ]. La luce e la notte,
il vento e il fuoco, l'acqua e la terra,l'albero e i frutti parlano di Dio,
simboleggiano ad un tempo la sua grandezza e la sua vicinanza.
1148 In quanto creature, queste realtà sensibili possono diventare il luogo
in cui si manifesta l'azione di Dio che santifica gli uomini, e l'azione
degli uomini che rendono a Dio il loro culto. Ugualmente avviene per i segni
e i simboli della vita sociale degli uomini: lavare e ungere, spezzare il
pane e condividere il calice possono esprimere la presenza santificante di
Dio e la gratitudine dell'uomo verso il suo Creatore.
1149 Le grandi religioni dell'umanità testimoniano, spesso in modo
impressionante, tale senso cosmico e simbolico dei riti religiosi. La
Liturgia della Chiesa presuppone, integra e satifica elementi della
creazione e della cultura umana conferendo loro la dignità di segni della
grazia, della nuova creazione in Gesù Cristo.
1150 Segni dell'Alleanza. Il popolo eletto riceve da Dio segni e simboli
distintivi che caratterizzano la sua vita liturgica: non sono più soltanto
celebrazioni di cicli cosmici e di gesti sociali, ma segni dell'Alleanza,
simboli delle grandi opere compiute da Dio per il suo popolo. Tra questi
segni liturgici dell'Antica Alleanza si possono menzionare la circoncisione,
l'unzione e la consacrazione dei re e dei sacerdoti, l'imposizione delle
mani, i sacrifici, e soprattutto la Pasqua. In questi segni la Chiesa
riconosce una prefigurazione dei sacramenti della Nuova Alleanza.
1151 Segni assunti da Cristo. Nella sua predicazione il Signore Gesù si
serve spesso dei segni della creazione per far conoscere i misteri del Regno
di Dio [Cf Lc 8,10 ]. Compie le guarigioni o dà rilievo alla sua
predicazione con segni o gesti simbolici[Cf Gv 9,6; 1151 Mc 7,33-35; Mc
8,22-25 ]. Conferisce un nuovo significato ai fatti e ai segni dell'Antica
Alleanza, specialmente all'Esodo e alla Pasqua, [Cf Lc 9,31; 1151 Lc 22,7-20
] poiché egli stesso è il significato di tutti questi segni.
1152 Segni sacramentali. Dopo la Pentecoste, è mediante i segni sacramentali
della sua Chiesa che lo Spirito Santo opera la santificazione. I sacramenti
della Chiesa non aboliscono, ma purificano e integrano tutta la ricchezza
dei segni e dei simboli del cosmo e della vita sociale. Inoltre essi danno
compimento ai tipi e alle figure dell'Antica Alleanza, significano e attuano
la salvezza operata da Cristo, prefigurano e anticipano la gloria del cielo.
Parole e azioni
1153 Ogni celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il
loro Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, e tale incontro si esprime come
un dialogo, attraverso azioni e parole. Anche se le azioni simboliche già
per se stesse sono un linguaggio, è tuttavia necessario che la Parola di Dio
e la risposta della fede accompagnino e vivifichino queste azioni, perché il
seme del Regno porti il suo frutto nella terra buona. Le azioni liturgiche
significano ciò che la Parola di Dio esprime: l'iniziativa gratuita di Dio
e, nello stesso tempo, la risposta di fede del suo popolo.
1154 La Liturgia della Parola è parte integrante delle celebrazioni
sacramentali. Per nutrire la fede dei credenti, devono essere valorizzati i
segni della Parola di Dio: il libro della Parola (lezionario o
evangeliario), la venerazione di cui è fatta oggetto (processione, incenso,
candele), il luogo da cui viene annunziata (ambone), la sua proclamazione
udibile e comprensibile, l'omelia del ministro che ne prolunga la
proclamazione, le risposte dell'assemblea (acclamazioni, salmi di
meditazione, litanie, confessione di fede. . ).
1155 Inseparabili in quanto segni e insegnamento, la parola e l'azione
liturgiche lo sono anche in quanto realizzano ciò che significano. Lo
Spirito Santo non si limita a dare l'intelligenza della Parola di Dio
suscitando la fede; attraverso i sacramenti egli realizza anche le
"meraviglie" di Dio annunziate dalla Parola; rende presente e comunica
l'opera del Padre compiuta dal Figlio diletto.
Canto e musica
1156 "La tradizione musicale di tutta la Chiesa costituisce un tesoro di
inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte,
specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte
necessaria ed integrale della Liturgia solenne" [Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 112]. La composizione e il canto dei Salmi ispirati,
frequentemente accompagnati da strumenti musicali, sono già strettamente
legati alle celebrazioni liturgiche dell'Antica Alleanza. La Chiesa continua
e sviluppa questa tradizione: Intrattenetevi "a vicenda con salmi, inni,
cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro
cuore" ( Ef 5,19 ) [Cf Col 3,16-17 ]. "Chi canta prega due volte" [Cf
Sant'Agostino, Enarratio in Psalmos, 72, 1].
1157 Il canto e la musica svolgono la loro funzione di segni in una maniera
tanto più significativa quanto più sono strettamente uniti all'azione
liturgica, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 112] secondo tre
criteri principali: la bellezza espressiva della preghiera, l'unanime
partecipazione dell'assemblea nei momenti previsti e il carattere solenne
della celebrazione. In questo modo essi partecipano alla finalità delle
parole e delle azioni liturgiche: la gloria di Dio e la santificazione dei
fedeli: [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 112]
Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che
risuonavano dolcemente nella tua Chiesa! Una commozione violenta: quegli
accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità,
eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi
facevano bene [Sant'Agostino, Confessiones, 9, 6, 14].
1158 L'armonia dei segni (canto, musica, parole e azioni) è qui tanto più
significativa e feconda quanto più si esprime nella ricchezza culturale
propria del Popolo di Dio che celebra [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum
concilium, 119]. Per questo "si promuova con impegno il canto popolare
religioso, in modo che nei pii e sacri esercizi, e nelle stesse azioni
liturgiche", secondo le norme della Chiesa, "possano risuonare le voci dei
fedeli" [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 119]. Tuttavia, "i
testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi
siano presi di preferenza dalla Sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche"
[Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 119].
Le sacre immagini
1159 La sacra immagine, l'Icona liturgica, rappresenta soprattutto Cristo.
Essa non può rappresentare il Dio invisibile e incomprensibile; è stata
l'Incarnazione del Figlio di Dio ad inaugurare una nuova "economia" delle
immagini:
Un tempo Dio, non avendo né corpo, né figura, non poteva in alcun modo
essere rappresentato da una immagine. Ma ora che si è fatto vedere nella
carne e che ha vissuto con gli uomini, posso fare una immagine di ciò che ho
visto di Dio. . . A viso scoperto, noi contempliamo la gloria del Signore
[San Giovanni Damasceno, De sacris imaginibus orationes, 1, 16: PG 96,
1245A].
1160 L'iconografia cristiana trascrive attraverso l'immagine il messaggio
evangelico che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la Parola. Immagine e
Parola si illuminano a vicenda:
In poche parole, noi intendiamo custodire gelosamente intatte tutte le
tradizioni della Chiesa, sia scritte che orali. Una di queste riguarda la
raffigurazione del modello mediante una immagine, in quanto si accordi con
la lettera del messaggio evangelico, in quanto serva a confermare la vera e
non fantomatica Incarnazione del Verbo di Dio e procuri a noi analogo
vantaggio, perché le cose rinviano l'una all'altra in ciò che raffigurano
come in ciò che senza ambiguità esse significano [Concilio di Nicea II:
Conciliorum oecumenicorum decreta, 111].
1161 Tutti i segni della celebrazione liturgica sono riferiti a Cristo: lo
sono anche le sacre immagini della Santa Madre di Dio e dei Santi, poiché
significano Cristo che in loro è glorificato. Esse manifestano "il nugolo di
testimoni" ( Eb 12,1 ) che continuano a partecipare alla salvezza del mondo
e ai quali noi siamo uniti, soprattutto nella celebrazione sacramentale.
Attraverso le loro icone, si rivela alla nostra fede l'uomo creato "a
immagine di Dio", e trasfigurato "a sua somiglianza", [Cf Rm 8,29; 1161 1Gv
3,2 ] come pure gli angeli, anch'essi ricapitolati in Cristo:
Procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina divinamente ispirata dei
nostri santi padri e la tradizione della Chiesa cattolica - riconosciamo,
infatti, che lo Spirito Santo abita in essa - noi definiamo con ogni rigore
e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e
vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico
o in quasiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante
chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti
e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del signore
Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell'immacolata signora nostra,
la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti [Concilio
di Nicea II: Denz. -Schönm., 600].
1162 "La bellezza e il colore delle immagini sono uno stimolo per la mia
preghiera. E' una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della
campagna sprona il mio cuore a rendere gloria a Dio" [San Giovanni
Damasceno, De sacris imaginibus orationes, 1, 27: PG 94, 1268B]. La
contemplazione delle sante icone, unita alla meditazione della Parola di Dio
e al canto degli inni liturgici, entra nell'armonia dei segni della
celebrazione in modo che il mistero celebrato si imprima nella memoria del
cuore e si esprima poi nella novità di vita dei fedeli.
III. Quando celebrare?
Il tempo liturgico
1163 "La santa Madre Chiesa considera suo dovere celebrare con sacra memoria
in determinati giorni nel corso dell'anno, l'opera salvifica del suo Sposo
divino. Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di "domenica", fa
la memoria della Risurrezione del Signore, che una volta all'anno,
unitamente alla sua beata Passione, celebra a Pasqua, la più grande delle
solennità. Nel ciclo annuale poi presenta tutto il mistero di Cristo. . .
Ricordando in tal modo i misteri della Redenzione, essa apre ai fedeli le
ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che
siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli possano
venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza" [ Conc.
Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 102].
1164 Fin dalla legge mosaica il Popolo di Dio ha conosciuto feste in data
fissa, a partire dalla Pasqua, per commemorare le stupende azioni del Dio
Salvatore, rendergliene grazie, perpetuarne il ricordo e insegnare alle
nuove generazioni a conformare ad esse la loro condotta di vita. Nel tempo
della Chiesa, posto tra la Pasqua di Cristo, già compiuta una volta per
tutte, e la sua consumazione nel Regno di Dio, la Liturgia celebrata in
giorni fissi è totalmente impregnata della novità del Mistero di Cristo.
1165 Quando la Chiesa celebra il Mistero di Cristo, una parola scandisce la
sua preghiera: Oggi!, come eco della preghiera che le ha insegnato il suo
Signore [Cf Mt 6,11 ] e dell'invito dello Spirito Santo [ Cf Eb 3,7-4,11;
Sal 95,7 ]. Questo "oggi" del Dio vivente in cui l'uomo è chiamato ad
entrare è l'"Ora" della Pasqua di Gesù, che attraversa tutta la storia e ne
è il cardine:
La vita si è posata su tutti gli esseri e tutti sono investiti da una grande
luce; l'Oriente degli orienti ha invaso l'universo, e Colui che era "prima
della stella del mattino" e prima degli astri, immortale e immenso, il
grande Cristo, brilla su tutti gli esseri più del sole. Perciò, per noi che
crediamo in lui, sorge un giorno di luce, lungo, eterno, che non si spegne
più: la Pasqua mistica [Sant'Ippolito di Roma, De paschate, 1-2].
Il Giorno del Signore
1166 "Secondo la tradizione apostolica, che trae origine dal giorno stesso
della Risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il Mistero pasquale ogni
otto giorni, in quello che si chiama giustamente Giorno del Signore o
domenica" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 106]. Il giorno
della Risurrezione di Cristo è ad un tempo il "primo giorno della
settimana", memoriale del primo giorno della creazione, e l'"ottavo giorno"
in cui Cristo, dopo il suo "riposo" del grande Sabato, inaugura il Giorno
"che il Signore ha fatto", il "giorno che non conosce tramonto" [Liturgia
bizantina]. La "cena del Signore" ne costituisce il centro, poiché in essa
l'intera comunità dei fedeli incontra il Signore risorto che la invita al
suo banchetto: [Cf Gv 21,12; 1166 Lc 24,30 ] Il giorno del Signore, il
giorno della Risurrezione, il giorno dei cristiani, è il nostro giorno. E'
chiamato giorno del Signore proprio per questo: perché in esso il Signore è
salito vittorioso presso il Padre. I pagani lo chiamano giorno del sole:
ebbene, anche noi lo chiamiamo volentieri in questo modo: oggi infatti è
sorta la luce del mondo, oggi è apparso il sole di giustizia i cui raggi ci
portano la salvezza [San Girolamo, In die dominica Paschae homilia: CCL 78,
550, 52].
1167 La domenica è per eccellenza il giorno dell'Assemblea liturgica, giorno
in cui i fedeli si riuniscono "perché, ascoltando la Parola di Dio e
partecipando all'Eucaristia, facciano memoria della Passione, della
Risurrezione e della gloria del Signore Gesù, e rendano grazie a Dio che li
ha "rigenerati per una speranza viva per mezzo della Risurrezione di Gesù
Cristo dai morti"": [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 106]
O Cristo, quando contempliamo le meraviglie compiute in questo giorno della
domenica della tua santa Risurrezione, noi diciamo: Benedetto il giorno di
domenica, perché in esso ha avuto inizio la creazione. . . la salvezza del
mondo. . . il rinnovamento del genere umano. . . In esso il cielo e la terra
si sono rallegrati e l'universo intero si è riempito di luce. Benedetto il
giorno di domenica, perché in esso furono aperte le porte del paradiso in
modo che Adamo e tutti coloro che ne furono allontanati vi possano entrare
senza timore [Fanqith, Ufficio siro-antiocheno, vol. 6, prima parte
dell'estate, p. 193 b].
L'anno liturgico
1168 A partire dal Triduo Pasquale, come dalla sua fonte di luce, il tempo
nuovo della Risurrezione permea tutto l'anno liturgico del suo splendore.
Progressivamente, da un versante e dall'altro di questa fonte, l'anno è
trasfigurato dalla Liturgia. Essa costituisce realmente l'"anno di grazia
del Signore" ( Lc 4,19 ). L'Economia della salvezza è all'opera nello
svolgersi del tempo, ma dopo il suo compimento nella Pasqua di Gesù e
nell'effusione dello Spirito Santo, la conclusione della storia è
anticipata, "pregustata", e il Regno di Dio entra nel nostro tempo.
1169 Per questo la Pasqua non è semplicemente una festa tra le altre: è la
"Festa delle feste", la "Solennità delle solennità", come l'Eucaristia è il
Sacramento dei sacramenti (il Grande sacramento). Sant'Atanasio la chiama
"la Grande domenica", [Sant'Atanasio di Alessandria, Epistula festivalis,
329: PG 26, 1366A] come la Settimana santa in Oriente è chiamata "la Grande
Settimana". Il Mistero della Risurrezione, nel quale Cristo ha annientato la
morte, permea della sua potente energia il nostro vecchio tempo, fino a
quando tutto gli sia sottomesso.
1170 Nel Concilio di Nicea (anno 325) tutte le Chiese si sono accordate
perché la Pasqua cristiana sia celebrata la domenica che segue il plenilunio
(14 Nisan) dopo l'equinozio di primavera. A causa dei diversi metodi
utilizzati per calcolare il giorno 14 del mese di Nisan, il giorno di pasqua
non sempre ricorre contemporaneamente nelle Chiesa Occidentali e Orientali.
Perchè esse cercano oggi un accordo per ritornare a celebrare alla stessa
data il giorno della Risurrezione del Signore.
1171 L'anno liturgico è il dispiegarsi dei diversi aspetti dell'unico
Mistero pasquale. Questo è vero soprattutto per il ciclo delle feste
relative al Mistero dell'Incarnazione (Annunciazione, Natale, Epifania) le
quali fanno memoria degli inizi della nostra salvezza e ci comunicano le
primizie del Mistero di Pasqua.
Il Santorale nell'anno liturgico
1172 "Nella celebrazione di questo ciclo annuale dei misteri di Cristo, la
santa Chiesa venera con speciale amore la beata Maria Madre di Dio,
congiunta indissolubilmente con l'opera salvifica del Figlio suo; in Maria
ammira ed esalta il frutto più eccelso della Redenzione, e contempla con
gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa tutta desidera e spera
di essere" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 103].
1173 Quando, nel ciclo annuale, la Chiesa fa memoria dei martiri e degli
altri santi, essa "proclama il Mistero pasquale" in coloro "che hanno
sofferto con Cristo e con lui sono glorificati; propone ai fedeli i loro
esempi, che attraggono tutti al Padre per mezzo di Cristo, e implora per i
loro meriti i benefici di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium,
104; cf ibid., 108 e 111].
La Liturgia delle Ore
1174 Il Mistero di Cristo, la sua Incarnazione e la sua Pasqua, che
celebriamo nell'Eucaristia, soprattutto nell'Assemblea domenicale, penetra e
trasfigura il tempo di ogni giorno attraverso la celebrazione della Liturgia
delle Ore, "l'Ufficio divino" [Cf ibid., 83-101]. Nella fedeltà alle
esortazioni apostoliche di "pregare incessantemente", [Cf 1Ts 5,17; Ef 6,18
] questa celebrazione "è costituita in modo da santificare tutto il corso
del giorno e della notte per mezzo della lode di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 84]. Essa costituisce la "preghiera pubblica della
Chiesa" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 84] nella quale i
fedeli (chierici, religiosi e laici) esercitano il sacerdozio regale dei
battezzati. Celebrata "nella forma approvata" dalla Chiesa, la Liturgia
delle Ore "è veramente la voce della Sposa stessa che parla allo Sposo, anzi
è la preghiera di Cristo, con il suo Corpo, al Padre" [Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 84].
1175 La Liturgia delle Ore è destinata a diventare la preghiera di tutto il
Popolo di Dio. In essa Cristo stesso "continua" ad esercitare il suo
"ufficio sacerdotale per mezzo della sua stessa Chiesa"; [Conc. Ecum. Vat.
II, Sacrosanctum concilium, 84] ciascuno vi prende parte secondo il ruolo
che riveste nella Chiesa e le circostanze della propria vita: i sacerdoti in
quanto "impegnati nel sacro ministero pastorale", poiché sono chiamati a
rimanere "assidui alla preghiera e al ministero della Parola"; [Cf ibid.,
86; 96; Id., Presbyterorum ordinis, 5] i religiosi e le religiose in forza
del carisma della loro vita di consacrazione; [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 98] tutti i fedeli secondo le loro possibilità. "I
pastori d'anime procurino che le Ore principali, specialmente i Vespri,
siano celebrate in chiesa con partecipazione comune, nelle domeniche e feste
più solenni. Si raccomanda che pure i laici recitino l'Ufficio divino o con
i sacerdoti, o riuniti tra loro, o anche da soli" [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 98].
1176 Celebrare la Liturgia delle Ore richiede non soltanto di far concordare
la voce con il cuore che prega, ma anche di procurarsi "una più ricca
istruzione liturgica e biblica, specialmente riguardo ai Salmi" [Cf Conc.
Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 98].
1177 Gli inni e le preghiere litaniche della Liturgia delle Ore inseriscono
la preghiera dei Salmi nel tempo della Chiesa, dando espressione al
simbolismo dell'ora della giornata, del tempo liturgico o della festa
celebrata. Inoltre la lettura della Parola di Dio ad ogni Ora (con i
responsori o i tropari che seguono ad essa), e, in certe Ore, le letture dei
Padri e dei maestri spirituali, rivelano in modo più profondo il senso del
mistero celebrato, sono di aiuto alla comprensione dei Salmi e preparano
alla preghiera silenziosa. La lectio divina, nella quale la Parola di Dio è
letta e meditata per trasformarsi in preghiera, è così radicata nella
celebrazione liturgica.
1178 La Liturgia delle Ore, che costituisce quasi un prolungamento della
celebrazione eucaristica, non esclude ma richiede come complementari le
varie devozioni del Popolo di Dio, in modo particolare l'adorazione e il
culto del Santissimo Sacramento.
IV. Dove celebrare?
1179 Il culto "in spirito e verità" ( Gv 4,24 ) della Nuova Alleanza non è
legato ad un luogo esclusivo. Tutta la terra è santa e affidata ai figli
degli uomini. Quando i fedeli si riuniscono in uno stesso luogo, la realtà
più importante è costituita dalle "pietre vive", messe insieme "per la
costruzione di un edificio spirituale" ( 1Pt 2,4-5 ). Il Corpo di Cristo
risorto è il tempio spirituale da cui sgorga la sorgente d'acqua viva.
Incorporati a Cristo dallo Spirito Santo, "noi siamo il tempio del Dio
vivente" ( 2Cor 6,16 ).
1180 Quando non viene ostacolato l'esercizio della libertà religiosa, [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 4] i cristiani costruiscono edifici
destinati al culto divino. Tali chiese visibili non sono semplici luoghi di
riunione, ma significano e manifestano la Chiesa che vive in quel luogo,
dimora di Dio con gli uomini riconciliati e uniti in Cristo.
1181 "La casa di preghiera - in cui l'Eucaristia è celebrata e conservata;
in cui i fedeli si riuniscono; in cui la presenza del Figlio di Dio nostro
Salvatore, che si è offerto per noi sull'altare del sacrificio, viene
venerata a sostegno e consolazione dei fedeli - dev'essere nitida e adatta
alla preghiera e alle sacre funzioni" [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum
ordinis, 5; cf Id. , Sacrosanctum concilium, 122-127]. In questa "casa di
Dio", la verità e l'armonia dei segni che la costituiscono devono
manifestare Cristo che in quel luogo è presente e agisce [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Sacrosanctum concilium, 7].
1182 L' altare della Nuova Alleanza è la croce del Signore [Cf Eb 13,10 ]
dalla quale scaturiscono i sacramenti del Mistero pasquale. Sull'altare, che
è il centro della chiesa, viene reso presente il sacrificio della croce
sotto i segni sacramentali. Esso è anche la Mensa del Signore, alla quale è
invitato il Popolo di Dio [Cf Principi e norme per l'uso del Messale Romano,
259]. In alcune liturgie orientali, l'altare è anche il simbolo della Tomba
(Cristo è veramente morto e veramente risorto).
1183 Il tabernacolo, nelle chiese, deve essere situato "in luogo
distintissimo, col massimo onore" [Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei].
"La nobiltà, la disposizione e la sicurezza del tabernacolo eucaristico"
[Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 128] devono favorire
l'adorazione del Signore realmente presente nel santissimo Sacramento
dell'altare.
Il sacro Crisma (Myron), la cui unzione è il segno sacramentale del sigillo
del dono dello Spirito Santo, è tradizionalmente conservato e venerato in un
luogo sicuro della chiesa. Vi si può collocare anche l'olio dei catecumeni e
quello degli infermi.
1184 La sede del Vescovo (cattedra) o del presbitero "deve mostrare
il compito che egli ha di presiedere l'assemblea e di guidare la preghiera"
[Principi e norme per l'uso del Messale Romano, 271].
L' ambone: "L'importanza della Parola di Dio esige che vi sia nella chiesa
un luogo adatto dal quale essa venga annunciata e verso il quale, durante la
Liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l'attenzione dei fedeli"
[Principi e norme per l'uso del Messale Romano, 271].
1185 Il raduno del Popolo di Dio ha inizio con il Battesimo; la chiesa deve
quindi avere un luogo per la celebrazione del Battesimo (battistero) e
favorire il ricordo delle promesse battesimali (acqua benedetta).
Il rinnovamento della vita battesimale esige la penitenza. La chiesa deve
perciò prestarsi all'espressione del pentimento e all'accoglienza del
perdono, e questo comporta un luogo adatto per accogliere i penitenti.
La chiesa deve anche essere uno spazio che invita al raccoglimento e alla
preghiera silenziosa, la quale prolunga e interiorizza la grande preghiera
dell'Eucaristia.
1186 Infine, la chiesa ha un significato escatologico. Per entrare nella
casa di Dio bisogna varcare una soglia, simbolo del passaggio dal mondo
ferito dal peccato al mondo della vita nuova al quale tutti gli uomini sono
chiamati. La chiesa visibile è simbolo della casa paterna verso la quale il
Popolo di Dio è in cammino e dove il Padre "tergerà ogni lacrima dai loro
occhi" ( Ap 21,4 ). Per questo la chiesa è anche la casa di tutti i figli di
Dio, aperta e pronta ad accogliere.
In sintesi
1187 La Liturgia è l'opera del Cristo totale, Capo e Corpo. Il nostro Sommo
Sacerdote la celebra ininterrottamente nella Liturgia celeste, con la santa
Madre di Dio, gli Apostoli, tutti i santi e la moltitudine degli uomini già
entrati nel Regno.
1188 Nella celebrazione liturgica tutta l'assemblea è "liturga", ciascuno
secondo la propria funzione. Il sacerdozio battesimale è quello di tutto il
Corpo di Cristo. Tuttavia alcuni fedeli sono ordinati mediante il sacramento
dell'Ordine per rappresentare Cristo come Capo del Corpo.
1189 La celebrazione liturgica comporta segni e simboli relativi alla
creazione (luce, acqua, fuoco), alla vita umana (lavare, ungere, spezzare il
pane) e alla storia della salvezza (i riti della Pasqua). Inseriti nel mondo
della fede e assunti dalla forza dello Spirito Santo, questi elementi
cosmici, questi riti umani, queste gesta memoriali di Dio diventano
portatori dell'azione di salvezza e di santificazione compiuta da Cristo.
1190 La Liturgia della Parola è parte integrante della celebrazione. Il
significato della celebrazione viene espresso dalla Parola di Dio che è
annunziata e dall'impegno della fede che ad essa risponde.
1191 Il canto e la musica sono strettamente connessi con l'azione liturgica.
I criteri della loro valida utilizzazione sono: la bellezza espressiva della
preghiera, la partecipazione unanime dell'assemblea e il carattere sacro
della celebrazione.
1192 Le sacre immagini, presenti nelle nostre chiese e nelle nostre case,
hanno la funzione di risvegliare e nutrire la nostra fede nel Mistero di
Cristo. Attraverso l'icona di Cristo e delle sue opere di salvezza, è lui
che noi adoriamo. Attraverso le sacre immagini della santa Madre di Dio,
degli angeli e dei santi, veneriamo le persone che in esse sono
rappresentate.
1193 La domenica, "Giorno del Signore", è il giorno principale della
celebrazione dell'Eucaristia, poiché è il giorno della Risurrezione. E' il
giorno per eccellenza dell'assemblea liturgica, il giorno della famiglia
cristiana, il giorno della gioia e del riposo dal lavoro. E' "il fondamento
e il nucleo di tutto l'anno liturgico" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum
concilium, 106].
1194 La Chiesa "nel ciclo annuale presenta tutto il Mistero di Cristo,
dall'Incarnazione e Natività fino all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e
all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore" [Conc. Ecum. Vat.
II, Sacrosanctum concilium, 102].
1195 Facendo memoria dei santi, in primo luogo della santa Madre di Dio, poi
degli apostoli, dei martiri e degli altri santi, in giorni fissi dell'anno
liturgico, la Chiesa sulla terra manifesta di essere unita alla Liturgia
celeste; rende gloria a Cristo perché ha compiuto la salvezza nei suoi
membri glorificati; il loro esempio le è di stimolo nel cammino verso il
Padre.
1196 I fedeli che celebrano la Liturgia delle Ore si uniscono a Cristo,
nostro Sommo Sacerdote, mediante la preghiera dei Salmi, la meditazione
della Parola di Dio, la preghiera dei cantici e delle benedizioni, per
essere associati alla sua preghiera incessante e universale che glorifica il
Padre e implora il dono dello Spirito Santo sul mondo intero.
1197 Cristo è il vero Tempio di Dio, "il luogo in cui abita la sua gloria";
per mezzo della grazia di Dio anche i cristiani diventano templi dello
Spirito Santo, le pietre vive con le quali viene edificata la Chiesa.
1198 Nella sua condizione terrena, la Chiesa ha bisogno di luoghi in cui la
comunità possa radunarsi: le nostre chiese visibili, luoghi santi, immagini
della Città santa, la celeste Gerusalemme verso la quale siamo in cammino
come pellegrini.
1199 In queste chiese la Chiesa celebra il culto pubblico a gloria della
Santissima Trinità, ascolta la Parola di Dio e canta le sue lodi, eleva la
sua preghiera, offre il Sacrificio di Cristo, sacramentalmente presente in
mezzo all'assemblea. Queste chiese sono inoltre luoghi di raccoglimento e di
preghiera personale.
Articolo 2
DIVERSITA' LITURGICA E UNITA' DEL MISTERO
Tradizioni liturgiche e cattolicità della Chiesa
1200 Dalla prima comunità di Gerusalemme fino alla Parusia, le Chiese di
Dio, fedeli alla fede apostolica, celebrano, in ogni luogo, lo stesso
Mistero pasquale. Il Mistero celebrato nella Liturgia è uno, ma variano le
forme nelle quali esso è celebrato.
1201 E' tale l'insondabile ricchezza del Mistero di Cristo che nessuna
tradizione liturgica può esaurirne l'espressione. La storia dello sbocciare
e dello svilupparsi di questi riti testimonia una stupefacente
complementarità. Quando le Chiese hanno vissuto queste tradizioni liturgiche
in comunione tra loro nella fede e nei sacramenti della fede, si sono
reciprocamente arricchite crescendo nella fedeltà alla Tradizione e alla
missione comune a tutta la Chiesa [Cf Paolo VI, Esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 63-64].
1202 Le varie tradizioni liturgiche hanno avuto origine proprio in funzione
della missione della Chiesa. Le Chiese di una stessa area geografica e
culturale sono giunte a celebrare il Mistero di Cristo con espressioni
particolari, culturalmente caratterizzate: nella tradizione del "deposito
della fede" ( 2Tm 1,14 ), nel simbolismo liturgico, nell'organizzazione
della comunione fraterna, nella comprensione teologica dei misteri e in
varie forme di santità. In questo modo Cristo, Luce e Salvezza di tutti i
popoli, viene manifestato attraverso la vita liturgica di una Chiesa al
popolo e alla cultura ai quali essa è inviata e nei quali è radicata. La
Chiesa è cattolica: può quindi integrare nella sua unità - purificandole -
tutte le vere ricchezze delle culture [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 23; Id., Unitatis redintegratio, 4].
1203 Le tradizioni liturgiche, o riti, attualmente in uso nella Chiesa sono
il rito latino (principalmente il rito romano, ma anche i riti di certe
Chiese locali, come il rito ambrosiano o di certi Ordini religiosi) e i riti
bizantino, alessandrino o copto, siriaco, armeno, maronita e caldeo. "Il
sacro Concilio, in fedele ossequio alla tradizione, dichiara che la santa
Madre Chiesa considera con uguale diritto e onore tutti i riti
legittimamente riconosciuti, e vuole che in avvenire essi siano conservati e
in ogni modo incrementati" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 4].
Liturgia e culture
1204 La celebrazione della Liturgia deve quindi corrispondere al genio e
alla cultura dei diversi popoli [Cf ibid., 37-40]. Affinché il Mistero di
Cristo sia "rivelato . . . a tutte le genti perché obbediscano alla fede" (
Rm 16,26 ), esso deve essere annunziato, celebrato e vissuto in tutte le
culture, così che queste non vengono abolite, ma recuperate e portate a
compimento grazie ad esso [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi
tradendae, 53]. La moltitudine dei figli di Dio, infatti, ha accesso al
Padre, per rendergli gloria, in un solo Spirito, con e per mezzo della
propria cultura umana, assunta e trasfigurata da Cristo.
1205 "Nella Liturgia, e segnatamente in quella dei sacramenti, c'è una parte
immutabile, perché di istituzione divina, di cui la Chiesa è custode, e ci
sono parti suscettibili di cambiamento, che essa ha il potere, e talvolta
anche il dovere, di adattare alle culture dei popoli recentemente
evangelizzati" [Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Vicesimus quintus annus, 16; cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium,
21].
1206 "La diversità liturgica può essere fonte di arricchimento, ma può anche
provocare tensioni, reciproche incomprensioni e persino scismi. In questo
campo è chiaro che la diversità non deve nuocere all'unità. Essa non può
esprimersi che nella fedeltà alla fede comune, ai segni sacramentali, che la
Chiesa ha ricevuto da Cristo, e alla comunione gerarchica. L'adattamento
alle culture esige anche una conversione del cuore e, se è necessario, anche
rotture con abitudini ancestrali incompatibili con la fede cattolica"
[Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Vicesimus quintus annus, 16; cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium,
21].
In sintesi
1207 E' opportuno che la celebrazione della Liturgia tenda ad esprimersi
nella cultura del popolo in cui la Chiesa è inserita, senza tuttavia
sottomettersi ad essa. D'altra parte, la Liturgia stessa genera e plasma le
culture.
1208 Le diverse tradizioni liturgiche, o riti, legittimamente riconosciuti,
in quanto significano e comunicano lo stesso Mistero di Cristo, manifestano
la cattolicità della Chiesa.
1209 Il criterio che assicura l'unità nella pluriformità delle tradizioni
liturgiche è la fedeltà alla Tradizione apostolica, ossia: la comunione
nella fede e nei sacramenti ricevuti dagli Apostoli, comunione che è
significata e garantita dalla successione apostolica.
PARTE SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE SECONDA - "I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA"
1210 I sacramenti della Nuova Legge sono istituiti da Cristo e sono sette,
ossia: il Battesimo, la Confermazione, l'Eucaristia, la Penitenza, l'Unzione
degli infermi, l'Ordine e il Matrimonio. I sette sacramenti toccano tutte le
tappe e tutti i momenti importanti della vita del cristiano: grazie ad essi,
la vita di fede dei cristiani nasce e cresce, riceve la guarigione e il dono
della missione. In questo si dà una certa somiglianza tra le tappe della
vita naturale e quelle della vita spirituale [Cf San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, III, 65, 1].
1211 Seguendo questa analogia saranno presentati per primi i tre sacramenti
dell'iniziazione cristiana (capitolo primo), poi i sacramenti della
guarigione (capitolo secondo), infine i sacramenti che sono al servizio
della comunione e della missione dei fedeli (capitolo terzo). Quest'ordine
non è certo l'unico possibile; permette tuttavia di vedere che i sacramenti
formano un organismo nel quale ciascuno di essi ha il suo ruolo vitale. In
questo organismo l'Eucaristia occupa un posto unico in quanto è il
"Sacramento dei sacramenti": "gli altri sono tutti ordinati a questo come al
loro specifico fine" [Cf San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 65,
1].
PARTE SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE SECONDA - "I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA"
CAPITOLO PRIMO - I SACRAMENTI DELL'INIZIAZIONE CRISTIANA.
1212 Con i sacramenti dell'iniziazione cristiana, il Battesimo, la
Confermazione e l'Eucaristia, sono posti i fondamenti di ogni vita
cristiana. "La partecipazione alla natura divina, che gli uomini ricevono in
dono mediante la grazia di Cristo, rivela una certa analogia con l'origine,
lo sviluppo e l'accrescimento della vita naturale. Difatti i fedeli, rinati
nel santo Battesimo, sono corroborati dal sacramento della Confermazione e,
quindi, sono nutriti con il cibo della vita eterna nell'Eucaristia, sicché,
per effetto di questi sacramenti dell'iniziazione cristiana, sono in grado
di gustare sempre più e sempre meglio i tesori della vita divina e
progredire fino al raggiungimento della perfezione della carità" [Paolo VI,
Cost. ap. Divinae consortium naturae, AAS 63 (1971), 657-664. Cf Rituale
romano, Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti, Introduzione generale,
1-2].
Articolo 1
IL SACRAMENTO DEL BATTESIMO
1213 Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il
vestibolo d'ingresso alla vita nello Spirito (vitae spiritualis ianua"), e
la porta che apre l'accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo
siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra
di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua
missione: [Cf Concilio di Firenze: Denz. -Schönm., 1314; Codice di Diritto
Canonico, 204, 1; 849; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 675, 1]
"Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo - Il Battesimo
può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana mediante l'acqua e
la Parola" [Catechismo Romano, 2, 2, 5].
I. Come viene chiamato questo sacramento?
1214 Lo si chiama Battesimo dal rito centrale con il quale è compiuto:
battezzare (baptizein" in greco) significa "tuffare", "immergere"; l'
"immersione" nell'acqua è simbolo del seppellimento del catecumeno nella
morte di Cristo, dalla quale risorge con lui, [Cf Rm 6,3-4; Col 2,12 ] quale
"nuova creatura" ( 2Cor 5,17; Gal 6,15 ).
1215 Questo sacramento è anche chiamato il " lavacro di rigenerazione e di
rinnovamento nello Spirito Santo" ( Tt 3,5 ), poiché significa e realizza
quella nascita dall'acqua e dallo Spirito senza la quale nessuno "può
entrare nel Regno di Dio" ( Gv 3,5 ).
1216 "Questo lavacro è chiamato illuminazione, perché coloro che ricevono
questo insegnamento [catechetico] vengono illuminati nella mente. . . " [San
Giustino, Apologiae, 1, 61, 12]. Poiché nel Battesimo ha ricevuto il Verbo,
"la luce vera. . . che illumina ogni uomo" ( Gv 1,9 ), il battezzato, "dopo
essere stato illuminato" ( Eb 10,32 ) è divenuto "figlio della luce" ( 1Ts
5,5 ), e "luce" egli stesso ( Ef 5,8 ):
Il Battesimo è il più bello e magnifico dei doni di Dio. . . Lo chiamiamo
dono, grazia, unzione, illuminazione, veste d'immortalità, lavacro di
rigenerazione, sigillo, e tutto ciò che vi è di più prezioso. Dono, poiché è
dato a coloro che non portano nulla; grazia, perché viene elargito anche ai
colpevoli; Battesimo, perché il peccato viene seppellito nell'acqua;
unzione, perché è sacro e regale (tali sono coloro che vengono unti);
illuminazione, perché è luce sfolgorante; veste, perché copre la nostra
vergogna; lavacro, perché ci lava; sigillo, perché ci custodisce ed è il
segno della signoria di Dio [San Gregorio Nazianzeno, Orationes, 40, 3-4: PG
36, 361C].
II. Il Battesimo nell'Economia della Salvezza
Le prefigurazioni del Battesimo nell'Antica Alleanza
1217 Nella Liturgia della Notte Pasquale, in occasione della benedizione
dell'acqua battesimale, la Chiesa fa solenne memoria dei grandi eventi della
storia della salvezza che prefiguravano il mistero del Battesimo:
O Dio. . . tu operi con invisibile potenza le meraviglie della salvezza; e
in molti modi, attraverso i tempi, hai preparato l'acqua, tua creatura, ad
essere segno del Battesimo [Messale Romano, Veglia pasquale: benedizione
dell'acqua battesimale].
1218 Fin dalle origini del mondo l'acqua, questa umile e meravigliosa
creatura, è la fonte della vita e della fecondità. La Sacra Scrittura la
vede come "covata" dallo Spirito di Dio: [Cf Gen 1,2 ]
Fin dalle origini il tuo Spirito si librava sulle acque perché contenessero
in germe la forza di santificare [Messale Romano, Veglia pasquale:
benedizione dell'acqua battesimale].
1219 La Chiesa ha visto nell'Arca di Noè una prefigurazione della salvezza
per mezzo del Battesimo. Infatti, per mezzo di essa, "poche persone, otto in
tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua" ( 1Pt 3,20 ):
Nel diluvio hai prefigurato il Battesimo, perché, oggi come allora, l'acqua
segnasse la fine del peccato e l'inizio della vita nuova [Messale Romano,
Veglia pasquale: benedizione dell'acqua battesimale].
1220 Se l'acqua di fonte è simbolo di vita, l'acqua del mare è un simbolo
della morte. Per questo poteva essere figura del mistero della Croce. Per
mezzo di questo simbolismo il Battesimo significa la comunione alla morte di
Cristo.
1221 E' soprattutto la traversata del Mar Rosso, vera liberazione d'Israele
dalla schiavitù d'Egitto, che annunzia la liberazione operata dal Battesimo:
Tu hai liberato dalla schiavitù i figli di Abramo, facendoli passare illesi
attraverso il Mar Rosso, perché fossero immagine del futuro popolo dei
battezzati [Messale Romano, Veglia pasquale: benedizione dell'acqua
battesimale].
1222 Infine il Battesimo è prefigurato nella traversata del Giordano, grazie
alla quale il popolo di Dio riceve il dono della terra promessa alla
discendenza di Abramo, immagine della vita eterna. La promessa di questa
beata eredità si compie nella Nuova Alleanza.
Il Battesimo di Cristo
1223 Tutte le prefigurazioni dell'Antica Alleanza trovano la loro
realizzazione in Gesù Cristo. Egli dà inizio alla sua vita pubblica dopo
essersi fatto battezzare da san Giovanni Battista nel Giordano [Cf Mt 3,13 ]
e, dopo la sua Risurrezione, affida agli Apostoli questa missione: "Andate
dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e
del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che
vi ho comandato" ( Mt 28,19-20 ) [Cf Mc 16,15-16 ].
1224 Nostro Signore si è volontariamente sottoposto al Battesimo di san
Giovanni, destinato ai peccatori, per compiere ogni giustizia [Cf Mt 3,15 ].
Questo gesto di Gesù è una manifestazione del suo "annientamento" [Cf Fil
2,7 ]. Lo Spirito che si librava sulle acque della prima creazione, scende
ora su Cristo, come preludio della nuova creazione, e il Padre manifesta
Gesù come il suo "Figlio prediletto" [Cf Mt 3,16-17 ].
1225 E' con la sua Pasqua che Cristo ha aperto a tutti gli uomini le fonti
del Battesimo. Egli, infatti, aveva già parlato della Passione, che avrebbe
subìto a Gerusalemme, come di un "Battesimo" con il quale doveva essere
battezzato [Cf Mc 10,38; Lc 12,50 ]. Il Sangue e l'acqua sgorgati dal fianco
trafitto di Gesù crocifisso [Cf Gv 19,34 ] sono segni del Battesimo e
dell'Eucaristia, sacramenti della vita nuova: [Cf 1Gv 5,6-8 ] da quel
momento è possibile "nascere dall'acqua e dallo Spirito" per entrare nel
Regno dei cieli [Cf Gv 3,5 ].
Considera, quando sei battezzato, donde viene il Battesimo, se non dalla
croce di Cristo, dalla morte di Cristo. Tutto il mistero sta nel fatto che
egli ha patito per te. In lui tu sei redento, in lui tu sei salvato
[Sant'Ambrogio, De sacramentis, 2, 6: PL 16, 425C].
Il Battesimo nella Chiesa
1226 Dal giorno della Pentecoste la Chiesa ha celebrato e amministrato il
santo Battesimo. Infatti san Pietro, alla folla sconvolta dalla sua
predicazione, dichiara: "Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare
nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo
riceverete il dono dello Spirito Santo" ( At 2,38 ). Gli Apostoli e i loro
collaboratori offrono il Battesimo a chiunque crede in Gesù: giudei,
timorati di Dio, pagani [Cf At 2,41; At 8,12-13; At 10,48; At 16,15 ]. Il
Battesimo appare sempre legato alla fede: "Credi nel Signore Gesù e sarai
salvato tu e la tua famiglia", dichiara san Paolo al suo carceriere a
Filippi. Il racconto continua: "Subito [il carceriere] si fece battezzare
con tutti i suoi" ( At 16,31-33 ).
1227 Secondo l'Apostolo san Paolo, mediante il Battesimo il credente
comunica alla morte di Cristo; con lui è sepolto e con lui risuscita:
Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella
sua morte. Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui
nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della
gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova ( Rm
6,3-4 ) [Cf Col 2,12 ].
I battezzati si sono "rivestiti di Cristo" ( Gal 3,27 ). Mediante l'azione
dello Spirito Santo, il Battesimo è un lavacro che purifica, santifica e
giustifica [Cf 1Cor 6,11; 1Cor 12,13 ].
1228 Il Battesimo è quindi un bagno d'acqua nel quale "il seme
incorruttibile" della Parola di Dio produce il suo effetto vivificante [Cf
1Pt 1,23; 1228 Ef 5,26 ]. Sant'Agostino dirà del Battesimo: "Accedit verbum
ad elementum, et fit Sacramentum Si unisce la parola all'elemento, e nasce
il sacramento" [Sant'Agostino, In Evangelium Johannis tractatus, 80, 3].
III. Come viene celebrato il sacramento del Battesimo?
L'iniziazione cristiana
1229 Diventare cristiano richiede, fin dal tempo degli Apostoli, un cammino
e una iniziazione con diverse tappe. Questo itinerario può essere percorso
rapidamente o lentamente. Dovrà in ogni caso comportare alcuni elementi
essenziali: l'annunzio della Parola, l'accoglienza del Vangelo che provoca
una conversione, la professione di fede, il Battesimo, l'effusione dello
Spirito Santo, l'accesso alla Comunione eucaristica.
1230 Questa iniziazione ha assunto forme molto diverse nel corso dei secoli
e secondo le circostanze. Nei primi secoli della Chiesa l'iniziazione
cristiana ha co nosciuto un grande sviluppo, con un lungo periodo di
catecumenato e una serie di riti preparatori che scandivano liturgicamente
il cammino della preparazione catecumenale per concludersi con la
celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione cristiana.
1231 Dove il Battesimo dei bambini è diventato largamente la forma abituale
della celebrazione del sacramento, questa è divenuta un atto unico che, in
modo molto abbreviato, integra le tappe preparatorie dell'iniziazione
cristiana. Per la sua stessa natura il Battesimo dei bambini richiede un
catecumenato post-battesimale. Non si tratta soltanto della necessità di una
istruzione posteriore al Battesimo, ma del necessario sviluppo della grazia
battesimale nella crescita della persona. E' l'ambito proprio del catechismo
.
1232 Il Concilio Vaticano II ha ripristinato, per la Chiesa latina, "il
catecumenato degli adulti, diviso in più gradi" [Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 64]. I riti si trovano nell' Ordo initiationis
christianae adultorum (1972). Il Concilio ha inoltre permesso che "nelle
terre di missione, sia acconsentito accogliere, oltre agli elementi che si
hanno nella tradizione cristiana, anche quegli elementi di iniziazione in
uso presso ogni popolo, nella misura in cui possono essere adattati al rito
cristiano" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 64].
1233 Oggi, dunque, in tutti i riti latini e orientali, l'iniziazione
cristiana degli adulti incomincia con il loro ingresso nel catecumenato e
arriva al suo cultime nella celebrazione unitaria dei tre sacramenti del
Battesimo, della Confermazione e dell'Eucaristia [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Ad
gentes, 14; Codice di Diritto Canonico, 851; 865; 866]. Nei riti orientali
l'iniziazione cristiana dei bambini incomincia con il Battesimo
immediatamente seguito dalla Confermazione e dall'Eucaristia, mentre nel
rito romano essa continua durante alcuni anni di catechesi, per concludersi
più tardi con la Confermazione e l'Eucaristia, culmine della loro
iniziazione cristiana [Cf Codice di Diritto Canonico, 851, 2; 868].
La mistagogia della celebrazione
1234 Il significato e la grazia del sacramento del Battesimo appaiono
chiaramente nei riti della sua celebrazione. Seguendo con attenta
partecipazione i gesti e le parole di questa celebrazione, i fedeli sono
iniziati alle ricchezze che tale sacramento significa e opera in ogni nuovo
battezzato.
1235 Il segno della croce, all'inizio della celebrazione, esprime il sigillo
di Cristo su colui che sta per appartenergli e significa la grazia della
redenzione che Cristo ci ha acquistata per mezzo della sua croce.
1236 L'annunzio della Parola di Dio illumina con la verità rivelata i
candidati e l'assemblea, e suscita la risposta della fede, inseparabile dal
Battesimo. Infatti il Battesimo è in modo tutto particolare "il sacramento
della fede", poiché segna l'ingresso sacramentale nella vita di fede.
1237 Dal momento che il Battesimo significa la liberazione dal peccato e dal
suo istigatore, il diavolo, viene pronunziato uno (o più) esorcismo(i) sul
candidato. Questi viene unto con l'olio dei catecumeni, oppure il celebrante
impone su di lui la mano, ed egli rinunzia esplicitamente a Satana. Così pre
parato, può professare la fede della Chiesa alla quale sarà "consegnato" per
mezzo del Battesimo [Cf Rm 6,17 ].
1238 L' acqua battesimale viene quindi consacrata mediante una preghiera di
Epiclesi (sia al momento stesso, sia nella notte di Pasqua). La Chiesa
chiede a Dio che, per mezzo del suo Figlio, la potenza dello Spirito Santo
discenda su quest'acqua, in modo che quanti vi saranno battezzati "nascano
dall'acqua e dallo Spirito" ( Gv 3,5 ).
1239 Segue poi il rito essenziale del sacramento: il Battesimo propriamente
detto, che significa e opera la morte al peccato e l'ingresso nella vita
della Santissima Trinità attraverso la configurazione al Mistero pasquale di
Cristo. Il Battesimo viene compiuto nel modo più espressivo per mezzo della
triplice immersione nell'acqua battesimale. Ma fin dall'antichità può anche
essere conferito versando per tre volte l'acqua sul capo del candidato.
1240 Nella Chiesa latina questa triplice infusione è accompagnata dalle
parole del ministro: "N., io ti battezzo nel nome del Padre, e del Figlio, e
dello Spirito Santo". Nelle liturgie orientali, mentre il catecumeno è
rivolto verso l'Oriente, il sacerdote dice: "Il servo di Dio, N. , è
battezzato nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo". E
all'invocazione di ogni persona della Santissima Trinità, lo immerge
nell'acqua e lo risolleva.
1241 L' unzione con il sacro crisma, olio profumato consacrato dal vescovo,
significa il dono dello Spirito Santo elargito al nuovo battezzato. Egli è
divenuto un cristiano, ossia "unto" di Spirito Santo, incorporato a Cristo,
che è unto sacerdote, profeta e re [Cf Rituale romano, Rito del battesimo
dei bambini, 62].
1242 Nella liturgia delle Chiese orientali, l'unzione post-battesimale
costituisce il sacramento della Crismazione (Confermazione). Nella liturgia
romana, essa annunzia una seconda unzione con il sacro crisma che sarà
effettuata dal vescovo: cioè il sacramento della Confermazione, il quale,
per così dire, "conferma" e porta a compimento l'unzione battesimale.
1243 La veste bianca significa che il battezzato si è "rivestito di Cristo"
( Gal 3,27 ): egli è risorto con Cristo. La candela, accesa al cero
pasquale, significa che Cristo ha illuminato il neofita. In Cristo i
battezzati sono"la luce del mondo" ( Mt 5,14 ) [Cf Fil 2,15 ].
Il nuovo battezzato è ora figlio di Dio nel Figlio Unigenito. Può dire la
preghiera dei figli di Dio: il Padre nostro.
1244 La prima Comunione eucaristica. Divenuto figlio di Dio, rivestito
dell'abito nuziale, il neofita è ammesso "al banchetto delle nozze
dell'Agnello" e riceve il nutrimento della vita nuova, il Corpo e il Sangue
di Cristo. Le Chiese orientali conservano una viva coscienza dell'unità
dell'iniziazione cristiana amministrando la santa Comunione a tutti i
neo-battezzati e confermati, anche ai bambini piccoli, ricordando la parola
del Signore: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite" (
Mc 10,14 ). La Chiesa latina, che permette l'accesso alla santa Comunione
solo a coloro che hanno raggiunto l'uso di ragione, mette in luce che il
Battesimo introduce all'Eucaristia accostando all'altare il bambino
neo-battezzato per la preghiera del Padre nostro.
1245 La benedizione solenne conclude la celebrazione del Battesimo. In
occasione del Battesimo dei neonati la benedizione della madre occupa un
posto di rilievo.
IV. Chi può ricevere il Battesimo?
1246 "E' capace di ricevere il Battesimo ogni uomo e solo l'uomo non ancora
battezzato" [Codice di Diritto Canonico, 864; Corpus Canonum Ecclesiarum
Orientalium, 679].
Il Battesimo degli adulti
1247 Dalle origini della Chiesa, il Battesimo degli adulti è la situazione
più normale là dove l'annunzio del Vangelo è ancora recente. Il catecumenato
(preparazione al Battesimo) occupa in tal caso un posto importante. In
quanto iniziazione alla fede e alla vita cristiana, esso deve disporre ad
accogliere il dono di Dio nel Battesimo, nella Confermazione e
nell'Eucaristia.
1248 Il catecumenato, o formazione dei catecumeni, ha lo scopo di permettere
a questi ultimi, in risposta all'iniziativa divina e in unione con una
comunità ecclesiale, di condurre a maturità la loro conversione e la loro
fede. Si tratta di "una formazione alla vita cristiana. . . " mediante la
quale "i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro Maestro. Perciò i
catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza e alla
pratica delle norme evangeliche, e mediante i riti sacri, da celebrare in
tempi successivi, siano introdotti nella vita della fede, della Liturgia e
della carità del Popolo di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 14; cf
Rituale romano, Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti, 19 e 98].
1249 I catecumeni "sono già uniti alla Chiesa, appartengono già alla
famiglia del Cristo, e spesso vivono già una vita di fede, di speranza e di
carità" [Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 14]. "La madre Chiesa, come già
suoi, li ricopre del suo amore e delle sue cure" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 14; Codice di Diritto Canonico, 206; 788, 3].
Il Battesimo dei bambini
1250 Poiché nascono con una natura umana decaduta e contaminata dal peccato
originale, anche i bambini hanno bisogno della nuova nascita nel Battesimo
[Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1514] per essere liberati dal potere
delle tenebre e trasferiti nel regno della libertà dei figli di Dio, [Cf Col
1,12-14 ] alla quale tutti gli uomini sono chiamati. La pura gratuità della
grazia della salvezza si manifesta in modo tutto particolare nel Battesimo
dei bambini. La Chiesa e i genitori priverebbero quindi il bambino della
grazia inestimabile di diventare figlio di Dio se non gli conferissero il
Battesimo poco dopo la nascita [Cf Codice di Diritto Canonico, 867; Corpus
Canonum Ecclesiarum Orientalium, 681; 686, 1.]
1251 I genitori cristiani riconosceranno che questa pratica corrisponde pure
al loro ruolo di alimentare la vita che Dio ha loro affidato [Cf Conc. Ecum
Vat. II, Lumen gentium, 11; 41; Id., Gaudium et spes 48; Codice di Diritto
canonico, 868]
1252 L'usanza di battezzare i bambini è una tradizione della Chiesa da tempo
immemorabile. Essa è esplicitamente attestata fin dal secondo secolo. E'
tuttavia probabile che, fin dagli inizi della predicazione apostolica,
quando "famiglie" intere hanno ricevuto il Battesimo, [Cf At 16,15; At
16,33; 1252 At 18,8; 1Cor 1,16 ]. siano stati battezzati anche i bambini [Cf
Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Pastoralis actio: AAS 72
(1980), 1137-1156].
Fede e Battesimo
1253 Il Battesimo è il sacramento della fede [Cf Mc 16,16 ]. La fede però ha
bisogno della comunità dei credenti. E' soltanto nella fede della Chiesa che
ogni fedele può credere. La fede richiesta per il Battesimo non è una fede
perfetta e matura, ma un inizio, che deve svilupparsi. Al catecumeno o al
suo padrino viene domandato: "Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio?". Ed egli
risponde: "La fede!".
1254 In tutti i battezzati, bambini o adulti, la fede deve crescere dopo il
Battesimo. Per questo ogni anno, nella notte di Pasqua, la Chiesa celebra la
rinnovazione delle promesse battesimali. La preparazione al Battesimo
conduce soltanto alla soglia della vita nuova. Il Battesimo è la sorgente
della vita nuova in Cristo, dalla quale fluisce l'intera vita cristiana.
1255 Perché la grazia battesimale possa svilupparsi è importante l'aiuto dei
genitori. Questo è pure il ruolo del padrino o della madrina, che devono
essere dei credenti solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammino della
vita cristiana il neo-battezzato, bambino o adulto [Cf Codice di Diritto
Canonico, 872-874]. Il loro compito è una vera funzione ecclesiale
(officium") [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 67]. L'intera
comunità ecclesiale ha una parte di responsabilità nello sviluppo e nella
conservazione della grazia ricevuta nel Battesimo.
V. Chi può battezzare?
1256 I ministri ordinari del Battesimo sono il vescovo e il presbitero, e,
nella Chiesa latina, anche il diacono [Cf Codice di Diritto Canonico, 861,
1; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 677, 1]. In caso di necessità,
chiunque, anche un non battezzato, purché abbia l'intenzione richiesta, può
battezzare utilizzando la formula battesimale trinitaria. L'intenzione
richiesta è di voler fare ciò che fa la Chiesa quando battezza. La Chiesa
trova la motivazione di questa possibilità nella volontà salvifica
universale di Dio [Cf 1Tm 2,4 ] e nella necessità del Battesimo per la
salvezza [Cf Mc 16,16; Concilio di Firenze: Denz. -Schönm., 1315; Nicolò I,
Risposta Ad consulta vestra: ibid., 646; Codice di Diritto Canonico, 861,
2].
VI. La necessità del Battesimo
1257 Il Signore stesso afferma che il Battesimo è necessario per la salvezza
[Cf Gv 3,5 ]. Per questo ha comandato ai suoi discepoli di annunziare il
Vangelo e di battezzare tutte le nazioni [Cf Mt 28,19-20; Concilio di
Trento: Denz. -Schönm. , 1618; Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 14; Id. ,
Ad gentes, 5]. Il Battesimo è necessario alla salvezza per coloro ai quali è
stato annunziato il Vangelo e che hanno avuto la possibilità di chiedere
questo sacramento [Cf Mc 16,16 ]. La Chiesa non conosce altro mezzo
all'infuori del Battesimo per assicurare l'ingresso nella beatitudine
eterna; perciò si guarda dal trascurare la missione ricevuta dal Signore di
far rinascere "dall'acqua e dallo Spirito" tutti coloro che possono essere
battezzati. Dio ha legato la salvezza al sacramento del Battesimo, tuttavia
egli non è legato ai suoi sacramenti.
1258 Da sempre la Chiesa è fermamente convinta che quanti subiscono la morte
a motivo della fede, senza aver ricevuto il Battesimo, vengono battezzati
mediante la loro stessa morte per e con Cristo. Questo Battesimo di sangue,
come pure il desiderio del Battesimo, porta i frutti del Battesimo, anche
senza essere sacramento.
1259 Per i catecumeni che muoiono prima del Battesimo, il loro desiderio
esplicito di riceverlo unito al pentimento dei propri peccati e alla carità,
assicura loro la salvezza che non hanno potuto ricevere mediante il
sacramento.
1260 "Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è
effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo
Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che
Dio conosce, col Mistero pasquale" [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22; cf Id. , Lumen gentium, 16; Id., Ad
gentes, 7].
Ogni uomo che, pur ignorando il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, cerca la
verità e compie la volontà di Dio come la conosce, può essere salvato. E'
lecito supporre che tali persone avrebbero desiderato esplicitamente il
Battesimo, se ne avessero conosciuta la necessità.
1261 Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che
affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito dei funerali
per loro. Infatti, la grande misericordia di Dio che vuole salvi tutti gli
uomini [Cf 1Tm 2,4 ] e la tenerezza di Gesù verso i bambini, che gli ha
fatto dire: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite" ( Mc
10,14 ), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i
bambini morti senza Battesimo. Tanto più pressante è perciò l'invito della
Chiesa a non impedire che i bambini vengano a Cristo mediante il dono del
santo Battesimo.
VII. La grazia del Battesimo
1262 I diversi effetti operati dal Battesimo sono significati dagli elementi
sensibili del rito sacramentale. L'immersione nell'acqua richiama i
simbolismi della morte e della purificazione, ma anche della rigenerazione e
del rinnovamento. I due effetti principali sono dunque la purificazione dai
peccati e la nuova nascita nello Spirito Santo [Cf At 2,38; 1262 Gv 3,5 ].
Per la remissione dei peccati
1263 Per mezzo del Battesimo sono rimessi tutti i peccati, il peccato
originale e tutti i peccati personali, come pure tutte le pene del peccato
[Cf Concilio di Firenze: Denz. -Schönm., 1316]. In coloro che sono stati
rigenerati, infatti, non rimane nulla che impedisca loro di entrare nel
Regno di Dio, né il peccato di Adamo, né il peccato personale, né le
conseguenze del peccato, di cui la più grave è la separazione da Dio.
1264 Rimangono tuttavia nel battezzato alcune conseguenze temporali del
peccato, quali le sofferenze, la malattia, la morte, o le fragilità inerenti
alla vita come le debolezze del carattere, ecc., e anche una inclinazione al
peccato che la Tradizione chiama la concupiscenza, o, metaforicamente,
"l'incentivo del peccato" (fomes peccati"): "Essendo questa lasciata per la
prova, non può nuocere a quelli che non vi acconsentono e che le si
oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, non riceve la
corona se non chi ha lottato secondo le regole ( 2Tm 2,5 )" [Concilio di
Trento: ibid., 1515].
"Una nuova creatura"
1265 Il Battesimo non soltanto purifica da tutti i peccati, ma fa pure del
neofita una "nuova creatura" ( 2Cor 5,17 ), un figlio adottivo di Dio [Cf
Gal 4,5-7 ] che è divenuto partecipe della natura divina, [Cf 2Pt 1,4 ]
membro di Cristo [Cf 1Cor 6,15; 1265 1Cor 12,27 ] e coerede con lui, [Cf Rm
8,17 ] tempio ello Spirito Santo [Cf 1Cor 6,19 ].
1266 La Santissima Trinità dona al battezzato la grazia santificante, la
grazia della giustificazione che
- lo rende capace di credere in Dio, di sperare in lui e di amarlo per mezzo
delle virtù teologali;
- gli dà la capacità di vivere e agire sotto la mozione dello Spirito Santo
per mezzo dei doni dello Spirito Santo;
- gli permette di crescere nel bene per mezzo delle virtù morali.
In questo modo tutto l'organismo della vita soprannaturale del cristiano ha
la sua radice nel santo Battesimo.
Incorporati alla Chiesa, Corpo di Cristo
1267 Il Battesimo ci fa membra del Corpo di Cristo. "Siamo membra gli uni
degli altri" ( Ef 4,25 ). Il Battesimo incorpora alla Chiesa. Dai fonti
battesimali nasce l'unico popolo di Dio della Nuova Alleanza che supera
tutti i limiti naturali o umani delle nazioni, delle culture, delle razze e
dei sessi: "In realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito
per formare un solo corpo" ( 1Cor 12,13 ).
1268 I battezzati sono divenuti "pietre vive per la costruzione di un
edificio spirituale, per un sacerdozio santo" ( 1Pt 2,5 ). Per mezzo del
Battesimo sono partecipi del sacerdozio di Cristo, della sua missione
profetica e regale, sono "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione
santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere
meravigliose di lui" che li "ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile
luce" ( 1Pt 2,9 ). Il Battesimo rende partecipi del sacerdozio comune dei
fedeli.
1269 Divenuto membro della Chiesa, il battezzato non appartiene più a se
stesso, [Cf 1Cor 6,19 ] ma a colui che è morto e risuscitato per noi [Cf
2Cor 5,15 ]. Perciò è chiamato a sottomettersi agli altri, [Cf Ef 5,21; 1Cor
16,15-16 ] a servirli[Cf Gv 13,12-15 ] nella comunione della Chiesa, ad
essere "obbediente" e "sottomesso" ai capi della Chiesa, [Cf Eb 13,17 ] e a
trattarli "con rispetto e carità" [Cf 1Ts 5,12-13 ]. Come il Battesimo
comporta responsabilità e doveri, allo stesso modo il battezzato fruisce
anche di diritti in seno alla Chiesa: quello di ricevere i sacramenti, di
essere nutrito dalla Parola di Dio e sostenuto dagli altri aiuti spirituali
della Chiesa [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 37; Codice di Diritto
Canonico, 208-223; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 675, 2].
1270 "Rigenerati [dal Battesimo] per essere figli di Dio, [i battezzati]
sono tenuti a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la
Chiesa" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11] e a partecipare
all'attività apostolica e missionaria del Popolo di Dio [Cf ibid., 17; Id. ,
Ad gentes, 7; 23].
Il vincolo sacramentale dell'unità dei cristiani
1271 Il Battesimo costituisce il fondamento della comunione tra tutti i
cristiani, anche con quanti non sono ancora nella piena comunione con la
Chiesa cattolica: "Quelli infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto
debitamente il Battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene
imperfetta, con la Chiesa cattolica. . . Giustificati nel Battesimo dalla
fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del nome
di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente
riconosciuti come fratelli nel Signore" [Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis
redintegratio, 3]. "Il Battesimo quindi costituisce il vincolo sacramentale
dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati
rigenerati" [Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 3].
Un sigillo spirituale indelebile
1272 Incorporato a Cristo per mezzo del Battesimo, il battezzato viene
conformato a Cristo [Cf Rm 8,29 ]. Il Battesimo segna il cristiano con un
sigillo spirituale indelebile (carattere") della sua appartenenza a Cristo.
Questo sigillo non viene cancellato da alcun peccato, sebbene il peccato
impedisca al Battesimo di portare frutti di salvezza [Cf Concilio di Trento:
Denz. -Schönm., 1609-1619]. Conferito una volta per sempre, il Battesimo non
può essere ripetuto.
1273 Incorporati alla Chiesa per mezzo del Battesimo, i fedeli hanno
ricevuto il carattere sacramentale che li consacra per il culto religioso
cristiano [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11]. Il sigillo
battesimale abilita e impegna i cristiani a servire Dio mediante una viva
partecipazione alla santa Liturgia della Chiesa e "a esercitare il loro
sacerdozio" battesimale "con la testimonianza di una vita santa. . . e con
una operosa carità" [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11].
1274 Il " sigillo del Signore " [Dominicus character": Sant'Agostino,
Epistulae, 98, 5: PL 33, 362] è il sigillo con cui lo Spirito Santo ci ha
segnati "per il giorno della redenzione" ( Ef 4,30 ) [Cf Ef 1,13-14; 1274
2Cor 1,21-22 ]. "Il Battesimo, infatti, è il sigillo della vita eterna"
[Sant'Ireneo di Lione, Demonstratio apostolica, 3]. Il fedele che avrà
"custodito il sigillo" sino alla fine, ossia che sarà rimasto fedele alle
esigenze del proprio Battesimo, potrà morire nel "segno della fede",
[Messale Romano, Canone Romano] con la fede del proprio Battesimo,
nell'attesa della beata visione di Dio - consumazione della fede - e nella
speranza della risurrezione.
In sintesi
1275 L'iniziazione cristiana si compie attraverso l'insieme di tre
sacramenti: il Battesimo, che è l'inizio della vita nuova; la Confermazione,
che ne è il rafforzamento; e l'Eucaristia, che nutre il discepolo con il
Corpo e il Sangue di Cristo in vista della sua trasformazione in lui.
1276 "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome
del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare
tutto ciò che vi ho comandato" ( Mt 28,19-20 ).
1277 Il Battesimo costituisce la nascita alla vita nuova in Cristo. Secondo
la volontà del Signore esso è necessario per la salvezza, come la Chiesa
stessa, nella quale il Battesimo introduce.
1278 Il rito essenziale del Battesimo consiste nell'immergere nell'acqua il
candidato o nel versargli dell'acqua sul capo, mentre si pronuncia
l'invocazione della Santissima Trinità, ossia del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo.
1279 Il frutto del Battesimo o grazia battesimale è una realtà ricca che
comporta: la remissione del peccato originale e di tutti i peccati
personali; la nascita alla vita nuova mediante la quale l'uomo diventa
figlio adottivo del Padre, membro di Cristo, tempio dello Spirito Santo. Per
ciò stesso il battezzato è incorporato alla Chiesa, Corpo di Cristo, e reso
partecipe del sacerdozio di Cristo.
1280 Il Battesimo imprime nell'anima un segno spirituale indelebile, il
carattere, il quale consacra il battezzato al culto della religione
cristiana. A motivo del carattere che imprime, il Battesimo non può essere
ripetuto [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1609 e 1624].
1281 Coloro che subiscono la morte a causa della fede, i catecumeni e
tutti gli uomini che, sotto l'impulso della grazia, senza conoscere la
Chiesa, cercano sinceramente Dio e si sforzano di compiere la sua volontà,
possono essere salvati anche se non hanno ricevuto il Battesimo [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 16].
1282 Fin dai tempi più antichi, il Battesimo viene amministrato ai bambini,
essendo una grazia e un dono di Dio che non presuppongono meriti umani; i
bambini sono battezzati nella fede della Chiesa. L'ingresso nella vita
cristiana introduce nella vera libertà.
1283 Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Liturgia della Chiesa ci
invita a confidare nella misericordia di Dio, e a pregare per la loro
salvezza.
1284 In caso di necessità, chiunque può battezzare, a condizione che intenda
fare ciò che fa la Chiesa, e che versi dell'acqua sul capo del candidato
dicendo: "Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo".
Articolo 2
IL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE
1285 Con il Battesimo e l'Eucaristia, il sacramento della Confermazione
costituisce l'insieme dei "sacramenti dell'iniziazione cristiana", la cui
unità deve essere salvaguardata. E' dunque necessario spiegare ai fedeli che
la recezione di questo sacramento è necessaria per il rafforzamento della
grazia battesimale [Cf Pontificale romano, Rito della confermazione,
Premesse, 1]. Infatti, "con il sacramento della Confermazione [i battezzati]
vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una
speciale forza dallo Spirito Santo, e in questo modo sono più strettamente
obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l'opera la fede
come veri testimoni di Cristo" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11; cf
Pontificale romano, Rito della conferma- zione, Premesse, 2].
I. La Confermazione nell'Economia della Salvezza
1286 Nell' Antico Testamento, i profeti hanno annunziato che lo Spirito del
Signore si sarebbe posato sul Messia atteso [Cf Is 11,2 ] in vista della sua
missione salvifica [Cf Lc 4,16-22; Is 61,1 ]. La discesa dello Spirito Santo
su Gesù, al momento del suo Battesimo da parte di Giovanni, costituì il
segno che era lui che doveva venire, che egli era il Messia, il Figlio di
Dio [Cf Mt 3,13-17; Gv 1,33-34 ]. Concepito per opera dello Spirito Santo,
tutta la sua vita e la sua missione si svolgono in una totale comunione con
lo Spirito Santo che il Padre gli dà "senza misura" ( Gv 3,34 ).
1287 Questa pienezza dello Spirito non doveva rimanere soltanto del Messia,
ma doveva essere comunicata a tutto il popolo messianico [Cf Ez 36,25-27; Gl
3,1-2 ]. Più volte Cristo ha promesso questa effusione dello Spirito, [Cf Lc
12,12; Gv 3,5-8; Gv 7,37-39; Gv 16,7-15; 1287 At 1,8 ] promessa che ha
attuato dapprima il giorno di Pasqua [Cf Gv 20,22 ] e in seguito, in modo
più stupefacente, il giorno di Pentecoste [Cf At 2,1-4 ]. Pieni di Spirito
Santo, gli Apostoli cominciano ad "annunziare le grandi opere di Dio" ( At
2,11 ) e Pietro afferma che quella effusione dello Spirito sopra gli
Apostoli è il segno dei tempi messianici [Cf At 2,17-18 ]. Coloro che allora
hanno creduto alla predicazione apostolica e che si sono fatti battezzare,
hanno ricevuto, a loro volta, "il dono dello Spirito Santo" ( At 2,38 ).
1288 "Fin da quel tempo gli Apostoli, in adempimento del volere di Cristo,
comunicavano ai neofiti, attraverso l'imposizione delle mani, il dono dello
Spirito, destinato a completare la grazia del Battesimo [ Cf At 8,15-17; At
19,5-6 ]. Questo spiega perché nella lettera agli Ebrei viene ricordata, tra
i primi elementi della formazione cristiana, la dottrina dei battesimi e
anche dell'imposizione delle mani [Cf Eb 6,2 ]. E' appunto questa
imposizione delle mani che giustamente viene considerata dalla tradizione
cattolica come la prima origine del sacramento della Confermazione, il quale
rende, in qualche modo, perenne nella Chiesa la grazia della Pentecoste"
[Paolo VI, Cost. ap. Divinae consortium naturae].
1289 Per meglio esprimere il dono dello Spirito Santo, ben presto
all'imposizione delle mani si è aggiunta una unzione di olio profumato
(crisma). Tale unzione spiega il nome di "cristiano" che significa "unto" e
che trae la sua origine da quello di Cristo stesso, che "Dio consacrò [ha
unto] in Spirito Santo" ( At 10,38 ). Questo rito di unzione è rimasto in
uso fino ai nostri giorni sia in Oriente sia in Occidente. Perciò in Oriente
questo sacramento viene chiamato Crismazione, unzione con il crisma, o
myron, che significa "crisma". In Occidente il termine Confermazione
suggerisce che questo sacramento nel medesimo tempo conferma il battesimo e
rafforza la grazia battesimale.
Due tradizioni: l'Oriente e l'Occidente
1290 Nei primi secoli la Confermazione costituisce in genere una
celebrazione unica con il Battesimo, formando con questo, secondo
l'espressione di san Cipriano, un "sacramento doppio". Ma il moltiplicarsi,
tra le altre cause, dei Battesimi di bambini, e questo in qualsiasi periodo
dell'anno, e la crescita numerica delle parrocchie (rurali), che ampliava le
diocesi, non permettono più la presenza del vescovo a tutte le celebrazioni
battesimali. In Occidente, poiché si preferisce riservare al vescovo il
portare a compimento il Battesimo, avviene la separazione temporale dei due
sacra menti. L'Oriente ha invece conservato uniti i due sacramenti, così che
la Confermazione è conferita dal presbitero stesso che battezza. Questi
tuttavia può farlo soltanto con il "crisma" consacrato da un vescovo [Cf
Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 695, 1; 696, 1].
1291 Una consuetudine della Chiesa di Roma ha facilitato lo sviluppo della
prati ca occidentale: la duplice unzione con il sacro crisma dopo il
Battesimo. La prima unzione, compiuta dal sacerdote sul neofita, al momento
in cui esce dal lavacro battesimale, è portata a compimento da una seconda
unzione fatta dal vescovo sulla fronte di ogni neo-battezzato [Cf
Sant'Ippolito di Roma, Traditio apostolica, 21]. La prima unzione con il
sacro crisma, quella data dal sacerdote, è rimasta unita al rito del
Battesimo: significa la partecipazione del battezzato alle funzioni
profetica, sacerdotale e regale di Cristo. Se il Battesimo viene conferito
ad un adulto, vi è una sola unzione post-battesimale: quella della
Confermazione.
1292 La pratica delle Chiese orientali sottolinea maggiormente l'unità
dell'iniziazione cristiana. Quella della Chiesa latina evidenzia più
nettamente la comunione del nuovo cristiano con il proprio vescovo, garante
e servo dell'unità della sua Chiesa, della sua cattolicità e della sua
apostolicità, e, conseguentemente, il legame con le origini apostoliche
della Chiesa di Cristo.
II. I segni e il rito della Confermazione
1293 Nel rito di questo sacramento è opportuno considerare il segno dell'
unzione e ciò che l'unzione indica e imprime: il sigillo spirituale.
Nella simbolica biblica e antica, l' unzione presenta una grande ricchezza
di significati: l'olio è segno di abbondanza [Cf Dt 11,14, ecc] e di gioia,
[Cf Sal 23,5; Sal 104,15 ] purifica (unzione prima e dopo il bagno), rende
agile (l'unzione degli atleti e dei lottatori); è segno di guarigione,
poiché cura le contusioni e le piaghe [Cf Is 1,6; 1293 Lc 10,34 ] e rende
luminosi di bellezza, di salute e di forza.
1294 Questi significati dell'unzione con l'olio si ritrovano tutti nella
vita sacramentale. L'unzione prima del Battesimo con l'olio dei catecumeni
ha il significato di purificare e fortificare; l'unzione degli infermi
esprime la guarigione e il conforto. L'unzione con il sacro crisma dopo il
Battesimo, nella Confermazione e nell'Ordinazione, è il segno di una
consacrazione. Mediante la Confermazione, i cristiani, ossia coloro che sono
unti, partecipano maggiormente alla missione di Gesù Cristo e alla pienezza
dello Spirito Santo di cui egli è ricolmo, in modo che tutta la loro vita
effonda il "profumo di Cristo" ( 2Cor 2,15 ).
1295 Per mezzo di questa unzione il cresimando riceve "il marchio", il
sigillo dello Spirito Santo. Il sigillo è il simbolo della persona, [Cf Gen
38,18; 1295 Ct 8,6 ] il segno della sua autorità, [Cf Gen 41,42 ] della sua
proprietà su un oggetto [Cf Dt 32,34 ] (per questo si usava imprimere sui
soldati il sigillo del loro capo, come sugli schiavi quello del loro
padrone); esso autentica un atto giuridico [Cf 1Re 21,8 ] o un documento [Cf
Ger 32,10 ] e, in certi casi, lo rende segreto [Cf Is 29,11 ].
1296 Cristo stesso si dichiara segnato dal sigillo del Padre suo [Cf Gv 6,27
]. Anche il cristiano è segnato con un sigillo: "E' Dio stesso che ci
conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha
impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori"
( 2Cor 1,22 ) [Cf Ef 1,13; Ef 4,30 ]. Questo sigillo dello Spirito Santo
segna l'appartenenza totale a Cristo, l'essere al suo servizio per sempre,
ma anche la promessa della divina protezione nella grande prova escatologica
[ Cf Ap 7,2-3; Ap 9,4; Ez 9,4-6 ].
La celebrazione della Confermazione
1297 La consacrazione del sacro crisma è un momento importante che precede
la celebrazione della Confermazione, ma che, in un certo senso, ne fa parte.
E' il vescovo che, il Giovedì Santo, durante la Messa crismale, consacra il
sacro crisma per tutta la sua diocesi. Anche nelle Chiese d'Oriente questa
consacrazione è riservata al Patriarca:
La liturgia antiochena esprime in questi termini l'epiclesi della
consacrazione del sacro crisma (myron): " [Padre. . . manda il tuo Santo
Spirito] su di noi e su questo olio che è davanti a noi e consacralo,
affinché per tutti coloro che ne verranno unti e segnati, esso sia: myron
santo, myron sacerdotale, myron regale, unzione di letizia, la veste di
luce, il manto della salvezza, il dono spirituale, la santificazione delle
anime e dei corpi, la felicità eterna, il sigillo indelebile, lo scudo della
fede e l'elmo invincibile contro tutte le macchinazioni dell'Avversario"
[Liturgia siro-antiochena, Epiclesi della consacrazione del sacro crisma].
1298 Quando la Confermazione viene celebrata separatamente dal Battesimo,
come avviene nel rito romano, la Liturgia del sacramento ha inizio con la
rinnovazione delle promesse battesimali e con la professione di fede da
parte dei cresimandi. In questo modo risulta evidente che la Confermazione
si colloca in successione al Battesimo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum
concilium, 71]. Quando viene battezzato un adulto, egli riceve
immediatamente la Confermazione e partecipa all'Eucaristia [Cf Codice di
Diritto Canonico, 866].
1299 Nel rito romano, il vescovo stende le mani sul gruppo dei cresimandi:
gesto che, fin dal tempo degli Apostoli, è il segno del dono dello Spirito.
Spetta al vescovo invocare l'effusione dello Spirito:
Dio onnipotente, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che hai rigenerato
questi tuoi figli dall'acqua e dallo Spirito Santo liberandoli dal peccato,
in fondi in loro il tuo santo Spirito Paraclito: spirito di sapienza e di
intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di
pietà, e riempili dello spirito del tuo santo timore. Per Cristo, nostro
Signore [Pontificale romano, Rito della confermazione, 25].
1300 Segue il rito essenziale del sacramento. Nel rito latino, "il
sacramento della Confermazione si conferisce mediante l'unzione del crisma
sulla fronte, che si fa con l'imposizione della mano, e mediante le parole:
"Accipe signaculum doni Spiritus Sancti" - "Ricevi il sigillo dello
Spirito Santo che ti è dato in dono"" [Paolo VI, Cost. ap. Divinae
consortium naturae]. Presso le Chiese orientali di rito bizantino, l'unzione
con il myron viene fatta, dopo una preghiera di Epiclesi, sulle parti più
significative del corpo: la fronte, gli occhi, il naso, le orecchie, le
labbra, il petto, il dorso, le mani e i piedi; ogni unzione è accompagnata
dalla formula: "Sigillo del dono che è lo Spirito Santo".
1301 Il bacio di pace che conclude il rito del sacramento significa ed
esprime la comunione ecclesiale con il vescovo e con tutti i fedeli [Cf
Sant'Ippolito di Roma, Traditio apostolica, 21].
III. Gli effetti della Confermazione
1302 Risulta dalla celebrazione che l'effetto del sacramento della
Confermazione è la speciale effusione dello Spirito Santo, come già fu
concessa agli Apostoli il giorno di Pentecoste.
1303 Ne deriva che la Confermazione apporta una crescita e un
approfondimento della grazia battesimale:
- ci radica più profondamente nella filiazione divina grazie alla quale
diciamo: "Abbà, Padre" ( Rm 8,15 );
- ci unisce più saldamente a Cristo;
- aumenta in noi i doni dello Spirito Santo;
- rende più perfetto il nostro legame con la Chiesa; [Cf Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11]
- ci accorda "una speciale forza dello Spirito Santo" per "diffondere e
difendere con la parola e con l'azione la fede, come veri testimoni di
Cristo", per "confessare coraggiosamente il nome di Cristo" e per non
vergognarsi mai della sua croce [Cf Concilio di Firenze: Denz. -Schönm.,
1319; Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11; 12].
Ricorda che hai ricevuto il sigillo spirituale, "lo Spirito di sapienza e di
intelletto, lo Spirito di consiglio e di fortezza, lo Spirito di conoscenza
e di pietà, lo Spirito di timore di Dio", e conserva ciò che hai ricevuto.
Dio Padre ti ha segnato, ti ha confermato Cristo Signore e ha posto nel tuo
cuore quale pegno lo Spirito [Sant'Ambrogio, De mysteriis, 7, 42: PL 16,
402-403].
1304 Come il Battesimo, di cui costituisce il compimento, la Confermazione è
conferita una sola volta. Essa infatti imprime nell'anima un marchio
spirituale indelebile, il "carattere"; [Cf Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1609] esso è il segno che Gesù Cristo ha impresso sul cristiano il
sigillo del suo Spirito rivestendolo di potenza dall'alto perché sia suo
testimone [Cf Lc 24,48-49 ].
1305 Il "carattere" perfeziona il sacerdozio comune dei fedeli, ricevuto nel
Battesimo, e "il cresimato riceve il potere di professare pubblicamente la
fede cristiana, quasi per un incarico ufficiale (quasi ex officio)" [San
Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 72, 5, ad 2].
IV. Chi può ricevere questo sacramento?
1306 Può e deve ricevere il sacramento della Confermazione ogni battezzato,
che non l'abbia ancora ricevuto [Cf Codice di Diritto Canonico, 889, 1]. Dal
momento che Battesimo, Confer mazione ed Eucaristia costituiscono un tutto
unitario, ne deriva che "i fedeli sono obbligati a ricevere tempestivamente
questo sacramento"; [Codice di Diritto Canonico, 890] senza la Confermazione
e l'Eucaristia, infatti, il sacramento del Battesimo è certamente valido ed
efficace, ma l'iniziazione cristiana rimane incompiuta.
1307 La consuetudine latina da secoli indica come punto di riferimento per
ricevere la Confermazione "l'età della discrezione". Quando fossero in
pericolo di morte, tuttavia, i bambini devono essere cresimati anche se non
hanno ancora raggiunto tale età [Cf ibid., 891; 883, 3].
1308 Se talvolta si parla della Confermazione come del "sacramento della
maturità cristiana", non si deve tuttavia confondere l'età adulta della fede
con l'età adulta della crescita naturale, e neppure dimenticare che la
grazia del Battesimo è una grazia di elezione gratuita e immeritata, che non
ha bisogno di una "ratifica" per diventare effettiva. Lo ricorda san
Tommaso:
L'età fisica non condiziona l'anima. Quindi anche nell'età della puerizia
l'uomo può ottenere la perfezione dell'età spirituale di cui la Sapienza (4,
8) dice: "Vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero
degli anni". E' per questo che molti, nell'età della fanciullezza, avendo
ricevuta la forza dello Spirito Santo, hanno combattuto generosamente per
Cristo fino al sangue [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 72, 8,
ad 2].
1309 La preparazione alla Confermazione deve mirare a condurre il cristiano
verso una più intima unione con Cristo, verso una familiarità più viva con
lo Spirito Santo, la sua azione, i suoi doni e le sue mozioni, per poter
meglio assumere le responsabilità apostoliche della vita cristiana. Di
conseguenza la catechesi della Confermazione si sforzerà di risvegliare il
senso dell'appartenenza alla Chiesa di Gesù Cristo, sia alla Chiesa
universale che alla comunità parrocchiale. Su quest'ultima grava una
particolare responsabilità nella preparazione dei confermandi [Cf
Pontificale romano, Rito della confermazione, Premesse, 3].
1310 Per ricevere la Confermazione si deve essere in stato di grazia. E'
opportuno accostarsi al sacramento della Penitenza per essere purificati in
vista del dono dello Spirito Santo. Una preghiera più intensa deve preparare
a ricevere con docilità e disponibilità la forza e le grazie dello Spirito
Santo [Cf At 1,14 ].
1311 Per la Confermazione, come per il Battesimo, è conveniente che i
candidati cerchino l'aiuto spirituale di un padrino o di una madrina. E'
opportuno che sia la stessa persona scelta per il Battesimo, per
sottolineare meglio l'unità dei due sacramenti [Cf Pontificale romano, Rito
della confermazione, Premesse, 5; 6; Codice di Diritto Canonico, 893, 1. 2].
V. Il ministro della Confermazione
1312 "Il ministro originario della Confermazione" è il vescovo [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 26].
In Oriente, è ordinariamente il presbitero che battezza a conferire subito
anche la Confermazione in una sola e medesima celebrazione. Tuttavia lo fa
con il sacro crisma consacrato dal patriarca o dal vescovo: ciò esprime
l'unità apostolica della Chiesa, i cui vincoli vengono rafforzati dal
sacramento della Confermazione. Nella Chiesa latina si attua la stessa
disciplina nel Battesimo degli adulti, o quando viene ammesso alla piena
comunione con la Chiesa un battezzato che appartiene ad un'altra comunità
cristiana il cui sacramento della Confermazione non è valido [Cf Codice di
Diritto Canonico, 883, 2].
1313 Nel rito latino, il ministro ordinario della Confermazione è il vescovo
[Cf Codice di Diritto Canonico, 883, 2]. Sebbene, qualora se ne presenti la
necessità, il vescovo possa concedere ai presbiteri la facoltà di
amministrare la Confermazione, è opportuno che la conferisca egli stesso,
non dimenticando che appunto per questa ragione la celebrazione della
Confermazione è stata separata temporalmente dal Battesimo. I vescovi sono i
successori degli Apostoli, essi hanno ricevuto la pienezza del sacramento
dell'Ordine. Il fatto che questo sacramento venga amministrato da loro
evidenzia che esso ha come effetto di unire più strettamente alla Chiesa,
alle sue origini apostoliche e alla sua missione di testimoniare Cristo
coloro che lo ricevono.
1314 Se un cristiano si trova in pericolo di morte, qualsiasi presbitero può
conferirgli la Confermazione [Cf Codice di Diritto Canonico, 883, 2]. La
Chiesa infatti vuole che nessuno dei suoi figli, anche se in tenerissima
età, esca da questo mondo senza essere stato reso perfetto dallo Spirito
Santo mediante il dono della pienezza di Cristo.
In sintesi
1315 "Gli Apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la
Parola di Dio e vi inviarono Pietro e Giovanni. Essi discesero e pregarono
per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora sceso
sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del
Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito
Santo" ( At 8,14-17 ).
1316 La Confermazione perfeziona la grazia battesimale; è il sacramento che
dona lo Spirito Santo per radicarci più profondamente nella filiazione
divina, incorporarci più saldamente a Cristo, rendere più solido il nostro
legame con la Chiesa, associarci maggiormente alla sua missione e aiutarci a
testimoniare la fede cristiana con la parola accompagnata dalle opere.
1317 La Confermazione, come il Battesimo, imprime nell'anima del cristiano
un segno spirituale o carattere indelebile; perciò si può ricevere questo
sacramento una sola volta nella vita.
1318 In Oriente questo sacramento viene amministrato immediatamente dopo il
Battesimo; è seguito dalla partecipazione all'Eucaristia; questa tradizione
sottolinea l'unità dei tre sacramenti dell'iniziazione cristiana. Nella
Chiesa latina questo sacramento viene conferito quando si è raggiunta l'età
della ragione, e la sua celebrazione è normalmente riservata al vescovo,
significando così che questo sacramento rinsalda il legame ecclesiale.
1319 Un candidato alla Confermazione che ha raggiunto l'età della ragione
deve professare la fede, essere in stato di grazia, aver l'intenzione di
ricevere il sacramento ed essere preparato ad assumere il proprio ruolo di
discepolo e di testimone di Cristo, nella comunità ecclesiale e negli
impegni temporali.
1320 Il rito essenziale della Confermazione è l'unzione con il sacro Crisma
sulla fronte del battezzato (in Oriente anche su altre parti del corpo),
accompagnata dall'imposizione delle mani da parte del ministro e dalle
parole: "Accipe signaculum doni Spiritus Sancti" - "Ricevi il sigillo del
dono dello Spirito Santo che ti è dato in dono", nel rito romano;
"Signaculum doni Spiritus Sancti" - "Sigillo del dono dello Spirito Santo",
nel rito bizantino.
1321 Quando la Confermazione viene celebrata separatamente dal Battesimo, il
suo legame con questo è espresso, tra l'altro, dalla rinnovazione delle
promesse battesimali. La celebrazione della Confermazione durante la
Liturgia Eucaristica contribuisce a sottolineare l'unità dei sacramenti
dell'iniziazione cristiana.
Articolo 3
IL SACRAMENTO DELL'EUCARISTIA
1322 La santa Eucaristia completa l'iniziazione cristiana. Coloro che sono
stati elevati alla dignità del sacerdozio regale per mezzo del Battesimo e
sono stati conformati più profondamente a Cristo mediante la Confermazione,
attraverso l'Eucaristia partecipano con tutta la comunità allo stesso
sacrificio del Signore.
1323 "Il nostro Salvatore nell'ultima Cena, la notte in cui veniva tradito,
istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale
perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per
affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua
Morte e Risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di
carità, convito pasquale, "nel quale si riceve Cristo, l'anima viene
ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura"" [Conc. Ecum.
Vat. II, Sacrosanctum concilium, 47].
I. L'Eucaristia - fonte e culmine della vita ecclesiale 1323 _
1324 L'Eucaristia è "fonte e apice di tutta la vita cristiana" [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 11]. "Tutti i sacramenti, come pure tutti i
ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti
alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella Santissima
Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso
Cristo, nostra Pasqua" [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 5].
1325 "La comunione della vita divina e l'unità del popolo di Dio, su cui si
fonda la Chiesa, sono adeguatamente espresse e mirabilmente prodotte
dall'Eucaristia. In essa abbiamo il culmine sia dell'azione con cui Dio
santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono a Cristo
e per lui al Padre nello Spirito Santo" [Congregazione per il Culto divino,
Istr. Eucharisticum mysterium, 6, AAS 59 (1967), 539-573].
1326 Infine, mediante la celebrazione eucaristica, ci uniamo già alla
liturgia del cielo e anticipiamo la vita eterna, quando Dio sarà tutto in
tutti [Cf 1Cor 15,28 ].
1327 In breve, l'Eucaristia è il compendio e la somma della nostra fede: "Il
nostro modo di pensare è conforme all'Eucaristia, e l'Eucaristia, a sua
volta, si accorda con il nostro modo di pensare" [Sant'Ireneo di Lione,
Adversus haereses, 4, 18, 5].
II. Come viene chiamato questo sacramento?
1328 L'insondabile ricchezza di questo sacramento si esprime attraverso i
diversi nomi che gli si danno. Ciascuno di essi ne evoca aspetti
particolari. Lo si chiama:
Eucaristia, perché è rendimento di grazie a Dio. I termini "eucharistein" (
Lc 22,19; 1Cor 11,24 ) e "eulogein" ( Mt 26,26; Mc 14,22 ) ricordano le
benedizioni ebraiche che - soprattutto durante il pasto- proclamano le opere
di Dio: la creazione, la redenzione e la santificazione.
1329 Cena del Signore , [Cf 1Cor 11,20 ] perché si tratta della Cena che il
Signore ha consumato con i suoi discepoli la vigilia della sua Passione e
dell'anticipazione della cena delle nozze dell'Agnello [Cf Ap 19,9 ] nella
Gerusalemme celeste.
Frazione del Pane, perché questo rito, tipico della cena ebraica, è stato
utilizzato da Gesù quando benediceva e distribuiva il pane come capo della
mensa, [ Cf Mt 14,19; Mt 15,36; Mc 8,6; Mc 8,19 ] soprattutto durante
l'ultima Cena [Cf Mt 26,26; 1329 1Cor 11,24 ]. Da questo gesto i discepoli
lo riconosceranno dopo la sua Risurrezione, [Cf Lc 24,13-35 ] e con tale
espressione i primi cristiani designeranno le loro assemblee eucaristiche
[Cf At 2,42; At 2,46; At 20,7; 1329 At 2,11 ]. In tal modo intendono
significare che tutti coloro che mangiano dell'unico pane spezzato, Cristo,
entrano in comunione con lui e formano in lui un solo corpo [Cf 1Cor
10,16-17 ]. Assemblea eucaristica [synaxis"], in quanto l'Eucaristia viene
celebrata nell'assemblea dei fedeli, espressione visibile della Chiesa [Cf
1Cor 11,17-34 ].
1330 Memoriale della Passione e della Risurrezione del Signore.
Santo Sacrificio, perché attualizza l'unico sacrificio di Cristo Salvatore e
comprende anche l'offerta della Chiesa; o ancora santo sacrificio della
Messa, "sacrificio di lode" ( Eb 13,15 ), [Cf Sal 116,13; Sal 116,17 ]
sacrificio spirituale , [Cf 1Pt 2,5 ] sacrificio puro [Cf Ml 1,11 ] e santo,
poiché porta a compimento e supera tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza.
Santa e divina Liturgia, perché tutta la Liturgia della Chiesa trova il suo
centro e la sua più densa espressione nella celebrazione di questo
sacramento; è nello stesso senso che lo si chiama pure celebrazione dei
Santi Misteri . Si parla anche del Santissimo Sacramento, in quanto
costituisce il Sacramento dei sacramenti. Con questo nome si indicano le
specie eucaristiche conservate nel tabernacolo.
1331 Comunione, perché, mediante questo sacramento, ci uniamo a Cristo, il
quale ci rende partecipi del suo Corpo e del suo Sangue per formare un solo
corpo; [Cf 1Cor 10,16-17 ] viene inoltre chiamato le cose sante (ta hagia;
sancta") [Constitutiones Apostolorum, 8, 13, 12; Didaché, 9, 5; 10, 6] - è
il significato originale dell'espressione "comunione dei santi" di cui parla
il Simbolo degli Apostoli - pane degli angeli, pane del cielo, farmaco
d'immortalità , [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Ephesios, 20, 2]
viatico. . .
1332 Santa Messa, perché la Liturgia, nella quale si è compiuto il mistero
della salvezza, si conclude con l'invio dei fedeli (missio") affinché
compiano la volontà di Dio nella loro vita quotidiana.
III. L'Eucaristia nell'Economia della Salvezza
I segni del pane e del vino
1333 Al centro della celebrazione dell'Eucaristia si trovano il pane e il
vino i quali, per le parole di Cristo e per l'invocazione dello Spirito
Santo, diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Fedele al comando del
Signore, la Chiesa continua a fare, in memoria di lui, fino al suo glorioso
ritorno, ciò che egli ha fatto la vigilia della sua Passione: "Prese il
pane. . . ", "Prese il calice del vino. . . ". Diventando misteriosamente il
Corpo e il Sangue di Cristo, i segni del pane e del vino continuano a
significare anche la bontà della creazione. Così, all'offertorio, rendiamo
grazie al Creatore per il pane e per il vino, [Cf Sal 104,13-15 ] "frutto
del lavoro dell'uomo", ma prima ancora "frutto della terra" e "della vite",
doni del Creatore. Nel gesto di Melchisedek, re e sacerdote, che "offrì pane
e vino" ( Gen 14,18 ) la Chiesa vede una prefigurazione della sua propria
offerta [Cf Messale Romano, Canone Romano: "Supra quae"].
1334 Nell'Antica Alleanza il pane e il vino sono offerti in sacrificio tra
le primizie della terra, in segno di riconoscenza al Creatore. Ma ricevono
anche un nuovo significato nel contesto dell'Esodo: i pani azzimi, che
Israele mangia ogni anno a Pasqua, commemorano la fretta della partenza
liberatrice dall'Egitto; il ricordo della manna del deserto richiamerà
sempre a Israele che egli vive del pane della Parola di Dio [Cf Dt 8,3 ]. Il
pane quotidiano, infine, è il frutto della Terra promessa, pegno della
fedeltà di Dio alle sue promesse. Il "calice della benedizione" ( 1Cor 10,16
), al termine della cena pasquale degli ebrei, aggiunge alla gioia festiva
del vino una dimensione escatologica, quella dell'attesa messianica della
restaurazione di Gerusalemme. Gesù ha istituito la sua Eucaristia conferendo
un significato nuovo e definitivo alla benedizione del pane e del calice.
1335 I miracoli della moltiplicazione dei pani, allorché il Signore
pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li distribuì per mezzo dei suoi
discepoli per sfamare la folla, prefigurano la sovrabbondanza di questo
unico pane che è la sua Eucaristia [Cf Mt 14,13-21; Mt 15,32-39 ]. Il segno
dell'acqua trasformata in vino a Cana [Cf Gv 2,11 ] annunzia già l'Ora della
glorificazione di Gesù. Manifesta il compimento del banchetto delle nozze
nel Regno del Padre, dove i fedeli berranno il vino nuovo [Cf Mc 14,25 ]
divenuto il Sangue di Cristo.
1336 Il primo annunzio dell'Eucaristia ha provocato una divisione tra i
discepoli, così come l'annunzio della Passione li ha scandalizzati: "Questo
linguaggio è duro; chi può intenderlo?" ( Gv 6,60 ). L'Eucaristia e la croce
sono pietre d'inciampo. Si tratta dello stesso mistero, ed esso non cessa di
essere occasione di divisione: "Forse anche voi volete andarvene?" ( Gv 6,67
): questa domanda del Signore continua a risuonare attraverso i secoli, come
invito del suo amore a scoprire che è lui solo ad avere "parole di vita
eterna" ( Gv 6,68 ) e che accogliere nella fede il dono della sua Eucaristia
è accogliere lui stesso.
L'istituzione dell'Eucaristia
1337 Il Signore, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Sapendo che era
giunta la sua Ora di passare da questo mondo al Padre, mentre cenavano, lavò
loro i piedi e diede loro il comandamento dell'amore [Cf Gv 13,1-17 ]. Per
lasciare loro un pegno di questo amore, per non allontanarsi mai dai suoi e
renderli partecipi della sua Pasqua, istituì l'Eucaristia come memoriale
della sua morte e della sua risurrezione, e comandò ai suoi apostoli di
celebrarla fino al suo ritorno, costituendoli "in quel momento sacerdoti
della Nuova Alleanza" [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1740].
1338 I tre vangeli sinottici e san Paolo ci hanno trasmesso il racconto
dell'istituzione dell'Eucaristia; da parte sua, san Giovanni riferisce le
parole di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, parole che preparano
l'istituzione dell'Eucaristia: Cristo si definisce come il pane di vita,
disceso dal cielo [Cf Gv 6 ].
1339 Gesù ha scelto il tempo della Pasqua per compiere ciò che aveva
annunziato a Cafarnao: dare ai suoi discepoli il suo Corpo e il suo Sangue.
Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la vittima di
Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: "Andate a preparare per noi la
Pasqua, perché possiamo mangiare". . . Essi andarono. . . e prepararono la
Pasqua. Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e
disse: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima
della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si
compia nel Regno di Dio". . . Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e
lo diede loro dicendo: "Questo è il mio Corpo che è dato per voi; fate
questo in memoria di me". Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice
dicendo: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue, che viene
versato per voi" ( Lc 22,7-20 ) [Cf Mt 26,17-29; Mc 14,12-25; 1Cor 11,23-26
].
1340 Celebrando l'ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto
pasquale, Gesù ha dato alla pasqua ebraica il suo significato definitivo.
Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua
Morte e la sua Risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata
nell'Eucaristia, che porta a compimento la pasqua ebraica e anticipa la
pasqua finale della Chiesa nella gloria del Regno.
"Fate questo in memoria di me"
1341 Quando Gesù comanda di ripetere i suoi gesti e le sue parole "finché
egli venga" ( 1Cor 11,26 ), non chiede soltanto che ci si ricordi di lui e
di ciò che ha fatto. Egli ha di mira la celebrazione liturgica, per mezzo
degli Apostoli e dei loro successori, del memoriale di Cristo, della sua
vita, della sua Morte, della sua Risurrezione e della sua intercessione
presso il Padre.
1342 Fin dagli inizi la Chiesa è stata fedele al comando del Signore. Della
Chiesa di Gerusalemme è detto:
Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione
fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. . . Ogni giorno tutti
insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i
pasti con letizia e semplicità di cuore ( At 2,42; At 2,46 ).
1343 Soprattutto "il primo giorno della settimana", cioè la domenica, il
giorno della Risurrezione di Gesù, i cristiani si riunivano "per spezzare il
pane" ( At 20,7 ). Da quei tempi la celebrazione dell'Eucaristia si è
perpetuata fino ai nostri giorni, così che oggi la ritroviamo ovunque nella
Chiesa, con la stessa struttura fondamentale. Essa rimane il centro della
vita della Chiesa.
1344 Così, di celebrazione in celebrazione, annunziando il Mistero pasquale
di Gesù "finché egli venga" ( 1Cor 11,26 ), il Popolo di Dio avanza
"camminando per l'angusta via della croce" [Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes,
1] verso il banchetto celeste, quando tutti gli eletti si siederanno alla
mensa del Regno.
IV. La celebrazione liturgica dell'Eucaristia
La messa lungo i secoli
1345 Fin dal secondo secolo, abbiamo la testimonianza di san Giustino
martire riguardo alle linee fondamentali dello svolgimento della
celebrazione eucaristica. Esse sono rimaste invariate fino ai nostri giorni
in tutte le grandi famiglie liturgiche. Ecco ciò che egli scrive, verso il
155, per spiegare all'imperatore pagano Antonino Pio (138-161) ciò che fanno
i cristiani:
[Nel giorno chiamato "del Sole" ci si raduna tutti insieme, abitanti delle
città o delle campagne.
Si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, finché il
tempo consente.
Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci
ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi.
Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere] sia per noi
stessi. . . sia per tutti gli altri, dovunque si trovino, affinché, appresa
la verità, meritiamo di essere nei fatti buoni cittadini e fedeli custodi
dei precetti, e di conseguire la salvezza eterna.
Finite le preghiere, ci salutiamo l'un l'altro con un bacio.
Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d'acqua e
di vino temperato.
Egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell'universo nel nome del
Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie (in greco:
eucharistian) per essere stati fatti degni da lui di questi doni.
Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il
popolo presente acclama: "Amen".
Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha
acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei
presenti il pane, il vino e l'acqua "eucaristizzati" e ne portano agli
assenti [San Giustino, Apologiae, 1, 65 ( il testo tra parentesi è tratto
dal c. 67)].
1346 La Liturgia dell'Eucaristia si svolge secondo una struttura
fondamentale che, attraverso i secoli, si è conservata fino a noi. Essa si
articola in due grandi momenti, che formano un'unità originaria:
- la convocazione, la Liturgia della Parola, con le letture, l'omelia e la
preghiera universale;
- la Liturgia eucaristica, con la presentazione del pane e del vino,
l'azione di grazie consacratoria e la comunione.
Liturgia della Parola e Liturgia eucaristica costituiscono insieme "un solo
atto di culto"; [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 56] la mensa
preparata per noi nell'Eucaristia è infatti ad un tempo quella della Parola
di Dio e quella del Corpo del Signore [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum,
21].
1347 Non si è forse svolta in questo modo la cena pasquale di Gesù risorto
con i suoi discepoli? Lungo il cammino spiegò loro le Scritture, poi,
messosi a tavola con loro, "prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e
lo diede loro" [Cf Lc 24,13-35 ].
Lo svolgimento della celebrazione
1348 Tutti si riuniscono. I cristiani accorrono in uno stesso luogo per
l'assemblea eucaristica. Li precede Cristo stesso, che è il protagonista
principale dell'Eucaristia. E' il grande sacerdote della Nuova Alleanza. E'
lui stesso che presiede in modo invisibile ogni celebrazione eucaristica.
Proprio in quanto lo rappresenta, il vescovo o il presbitero (agendo "in
persona Christi capitis" - nella persona di Cristo Capo) presiede
l'assemblea, prende la parola dopo le letture, riceve le offerte e proclama
la preghiera eucaristica. Tutti hanno la loro parte attiva nella
celebrazione, ciascuno a suo modo: i lettori, coloro che presentano le
offerte, coloro che distribuiscono la Comunione, e il popolo intero che
manifesta la propria partecipazione attraverso l'Amen.
1349 La Liturgia della Parola comprende "gli scritti dei profeti", cioè
l'Antico Testamento, e "le memorie degli apostoli", ossia le loro lettere e
i Vangeli; all'omelia, che esorta ad accogliere questa Parola "come è
veramente, quale Parola di Dio" ( 1Ts 2,13 ) e a metterla in pratica,
seguono le intercessioni per tutti gli uomini, secondo la parola
dell'Apostolo: "Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande,
suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per
tutti quelli che stanno al potere" ( 1Tm 2,1-2 ).
1350 La presentazione delle oblate (l'offertorio): vengono recati poi
all'altare, talvolta in processione, il pane e il vino che saranno offerti
dal sacerdote in nome di Cristo nel sacrificio eucaristico, nel quale
diventeranno il suo Corpo e il suo Sangue. E' il gesto stesso di Cristo
nell'ultima Cena, "quando prese il pane e il calice". "Soltanto la Chiesa
può offrire al Creatore questa oblazione pura, offrendogli con rendimento di
grazie ciò che proviene dalla sua creazione" [Sant'Ireneo di Lione, Adversus
haereses, 4, 18, 4; cf Ml 1,11 ]. La presentazione delle oblate all'altare
assume il gesto di Melchisedek e pone i doni del Creatore nelle mani di
Cristo. E' lui che, nel proprio Sacrificio, porta alla perfezione tutti i
tentativi umani di offrire sacrifici.
1351 Fin dai primi tempi, i cristiani, insieme con il pane e con il vino per
l'Eucarestia, presentano i loro doni perché siano condivisi con coloro che
si trovano in necessità. Questa consuetudine della colletta, [Cf 1Cor 16,1 ]
sempre attuale, trae ispirazione dall'esempio di Cristo che si è fatto
povero per arricchire noi: [Cf 2Cor 8,9 ]
I facoltosi e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello
che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto.
Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per
qualche altra causa; e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di
noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno [San Giustino,
Apologiae, 1, 67, 6].
1352 L'anafora. Con la preghiera eucaristica, preghiera di rendimento di
grazie e di consacrazione, arriviamo al cuore e al culmine della
celebrazione:
nel prefazio la Chiesa rende grazie al Padre, per mezzo di Cristo, nello
Spirito Santo, per tutte le sue opere, per la creazione, la redenzione e la
santificazione. In questo modo l'intera comunità si unisce alla lode
incessante che la Chiesa celeste, gli angeli e tutti i santi cantano al Dio
tre volte Santo;
1353 nell' epiclesi essa prega il Padre di mandare il suo Santo Spirito (o
la potenza della sua benedizione): [ Cf Messale Romano, Canone Romano] sul
pane e sul vino, affinché diventino, per la sua potenza, il Corpo e il
Sangue di Gesù Cristo e perché coloro che partecipano all'Eucaristia siano
un solo corpo e un solo spirito (alcune tradizioni liturgiche situano
l'epiclesi dopo l'anamnesi);
nel racconto dell'istituzione l'efficacia delle parole e dell'azione di
Cristo, e la potenza dello Spirito Santo, rendono sacramentalmente presenti
sotto le specie del pane e del vino il suo Corpo e il suo Sangue, il suo
sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte;
1354 nell' anamnesi che segue, la Chiesa fa memoria della Passione, della
Risurrezione e del ritorno glorioso di Gesù Cristo; essa presenta al Padre
l'offerta di suo Figlio che ci riconcilia con lui;
nelle intercessioni, la Chiesa manifesta che l'Eucaristia viene celebrata in
comunione con tutta la Chiesa del cielo e della terra, dei vivi e dei
defunti, e nella comunione con i pastori della Chiesa, il Papa, il vescovo
della diocesi, il suo presbiterio e i suoi diaconi, e tutti i vescovi del
mondo con le loro Chiese.
1355 Nella Comunione, preceduta dalla preghiera del Signore e dalla frazione
del pane, i fedeli ricevono "il pane del cielo" e "il calice della
salvezza", il Corpo e il Sangue di Cristo che si è dato "per la vita del
mondo" ( Gv 6,51 ).
Poiché questo pane e questo vino sono stati "eucaristizzati", come
tradizionalmente si dice, "questo cibo è chiamato da noi Eucaristia, e a
nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti
sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la
rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato" [San Giustino,
Apologiae, 1, 66, 1-2].
V. Il sacrificio sacramentale:
azione di grazie, memoriale, presenza
1356 Se i cristiani celebrano l'Eucaristia fin dalle origini e in una forma
che, sostanzialmente, non è cambiata attraverso la grande diversità dei
tempi e delle liturgie, è perché ci sappiamo vincolati dal comando del
Signore, dato la vigilia della sua Passione: "Fate questo in memoria di me"
( 1Cor 11,24-25 ).
1357 A questo comando del Signore obbediamo celebrando il memoriale del suo
sacrificio. Facendo questo, offriamo al Padre ciò che egli stesso ci ha
dato: i doni della creazione, il pane e il vino, diventati, per la potenza
dello Spirito Santo e per le parole di Cristo, il Corpo e il Sangue di
Cristo: in questo modo Cristo è reso realmente e misteriosamente presente .
1358 Dobbiamo dunque considerare l'Eucaristia - come azione di grazie e lode
al Padre , - come memoriale del sacrificio di Cristo e del suo Corpo, - come
presenza di Cristo in virtù della potenza della sua Parola e del suo Spirito
.
L'azione di grazie e la lode al Padre
1359 L'Eucaristia, sacramento della nostra salvezza realizzata da Cristo
sulla croce, è anche un sacrificio di lode in rendimento di grazie per
l'opera della creazione. Nel sacrificio eucaristico, tutta la creazione
amata da Dio è presentata al Padre attraverso la morte e la Risurrezione di
Cristo. Per mezzo di Cristo, la Chiesa può offrire il sacrificio di lode in
rendimento di grazie per tutto ciò che Dio ha fatto di buono, di bello e di
giusto nella creazione e nell'umanità.
1360 L'Eucaristia è un sacrificio di ringraziamento al Padre, una
benedizione con la quale la Chiesa esprime la propria riconoscenza a Dio per
tutti i suoi benefici, per tutto ciò che ha operato mediante la creazione,
la redenzione e la santificazione. Eucaristia significa prima di tutto:
azione di grazie.
1361 L'Eucaristia è anche il sacrificio della lode, con il quale la Chiesa
canta la gloria di Dio in nome di tutta la creazione. Tale sacrificio di
lode è possibile unicamente attraverso Cristo: egli unisce i fedeli alla sua
persona, alla sua lode e alla sua intercessione, in modo che il sacrificio
di lode al Padre è offerto da Cristo e con lui per essere accettato in lui.
Il memoriale del sacrificio di Cristo
e del suo Corpo, la Chiesa
1362 L'Eucaristia è il memoriale della Pasqua di Cristo, l'attualizzazione e
l'offerta sacramentale del suo unico sacrificio, nella Liturgia della
Chiesa, che è il suo Corpo. In tutte le preghiere eucaristiche, dopo le
parole della istituzione, troviamo una preghiera chiamata anamnesi o
memoriale.
1363 Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo
degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio
ha compiuto per gli uomini [Cf Es 13,3 ]. La celebrazione liturgica di
questi eventi, li rende in certo modo presenti e attuali. Proprio così
Israele intende la sua liberazione dall'Egitto: ogni volta che viene
celebrata la Pasqua, gli avvenimenti dell'Esodo sono resi presenti alla
memoria dei credenti affinché conformino ad essi la propria vita.
1364 Nel Nuovo Testamento il memoriale riceve un significato nuovo. Quando
la Chiesa celebra l'Eucaristia, fa memoria della Pasqua di Cristo, e questa
diviene presente: il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte
sulla croce rimane sempre attuale: [Cf Eb 7,25-27 ] "Ogni volta che il
sacrificio della croce, "col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato
immolato", viene celebrato sull'altare, si effettua l'opera della nostra
redenzione" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 3].
1365 In quanto memoriale della Pasqua di Cristo, l'Eucaristia è anche un
sacrificio. Il carattere sacrificale dell'Eucaristia si manifesta nelle
parole stesse dell'istituzione: "Questo è il mio Corpo che è dato per voi" e
"Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per
voi" ( Lc 22,19-20 ). Nell'Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha
consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha "versato per
molti, in remissione dei peccati" ( Mt 26,28 ).
1366 L'Eucaristia è dunque un sacrificio perché ripresenta (rende presente)
il sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ne applica il
frutto:
[Cristo] Dio e Signore nostro, anche se si sarebbe immolato a Dio Padre una
sola volta morendo sull'altare della croce per compiere una redenzione
eterna, poiché, tuttavia, il suo sacerdozio non doveva estinguersi con la
morte ( Eb 7,24; 1366 Eb 7,27 ), nell'ultima Cena, la notte in cui fu
tradito ( 1Cor 11,23 ), [volle] lasciare alla Chiesa, sua amata Sposa, un
sacrificio visibile (come esige l'umana natura), con cui venisse significato
quello cruento che avrebbe offerto una volta per tutte sulla croce,
prolungandone la memoria fino alla fine del mondo ( 1Cor 11,23 ), e
applicando la sua efficacia salvifica alla remissione dei nostri peccati
quotidiani [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1740].
1367 Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell'Eucaristia sono un unico
sacrificio: "Si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso
Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì
se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi". "E poichè in
questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato
in modo incruento lo stesso Cristo, che "si offrì una sola volta in modo
cruento" sull'altare della croce questo sacrificio è veramente
propiziatorio" [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1740].
1368 L'Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa. La Chiesa, che è il
Corpo di Cristo, partecipa all'offerta del suo Capo. Con lui, essa stessa
viene offerta tutta intera. Essa si unisce alla sua intercessione presso il
Padre a favore di tutti gli uomini. Nell'Eucaristia il sacrificio di Cristo
diviene pure il sacrificio delle membra del suo Corpo. La vita dei fedeli,
la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono
uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo
acquistano un valore nuovo. Il sacrificio di Cristo riattualizzato
sull'altare offre a tutte le generazioni di cristiani la possibilità di
essere uniti alla sua offerta.
Nelle catacombe la Chiesa è spesso raffigurata come una donna in preghiera,
con le braccia spalancate, in atteggiamento di orante. Come Cristo ha steso
le braccia sulla croce, così per mezzo di lui, con lui e in lui essa si
offre e intercede per tutti gli uomini.
1369 Tutta la Chiesa è unita all'offerta e all'intercessione di Cristo.
Investito del ministero di Pietro nella Chiesa, il Papa è unito a ogni
celebrazione dell'Eucaristia nella quale viene nominato come segno e servo
dell'unità della Chiesa universale. Il vescovo del luogo è sempre
responsabile dell'Eucaristia, anche quando viene presieduta da un
presbitero; in essa è pronunziato il suo nome per significare che egli
presiede la Chiesa particolare, in mezzo al suo presbiterio e con
l'assistenza dei diaconi . La comunità a sua volta intercede per tutti i
ministri che, per lei e con lei, offrono il sacrificio eucaristico.
Si ritenga valida solo quell'Eucaristia che viene celebrata dal vescovo, o
da chi è stato da lui autorizzato [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad
Smyrnaeos, 8, 1].
E' attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei
fedeli viene reso perfetto perché viene unito al sacrificio di Cristo, unico
Mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di
tutta la Chiesa, viene offerto nell'Eucaristia in modo incruento e
sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore [Conc. Ecum. Vat. II,
Presbyterorum ordinis, 2].
1370 All'offerta di Cristo si uniscono non soltanto i membri che sono ancora
sulla terra, ma anche quelli che si trovano già nella gloria del cielo. La
Chiesa offre infatti il sacrificio eucaristico in comunione con la
Santissima Vergine Maria, facendo memoria di lei, come pure di tutti i santi
e di tutte le sante. Nell'Eucaristia la Chiesa, con Maria, è come ai piedi
della croce, unita all'offerta e all'intercessione di Cristo.
1371 Il sacrificio eucaristico è offerto anche per i fedeli defunti "che
sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati", [Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1743] affinché possano entrare nella luce e nella
pace di Cristo:
Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una sola cosa
vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all'altare del Signore
[Santa Monica, prima di morire, a Sant'Agostino e a suo fratello, cf
Sant'Agostino, Con- fessiones, 9, 11, 27].
Poi [nell'anafora] preghiamo anche per i santi padri e vescovi e in generale
per tutti quelli che si sono addormentati prima di noi, convinti che questo
sia un grande vantaggio per le anime, per le quali viene offerta la
supplica, mentre qui è presente la vittima santa e tremenda. . . Presentando
a Dio le preghiere per i defunti, anche se peccatori, . . . presentiamo il
Cristo immolato per i nostri peccati, cercando di rendere clemente per loro
e per noi il Dio amico degli uomini [San Cirillo di Gerusalemme, Catecheses
mistagogicae, 5, 9. 10: PG 33, 1116B-1117A].
1372 Sant'Agostino ha mirabilmente riassunto questa dottrina che ci
sollecita ad una partecipazione sempre più piena al sacrificio del nostro
Redentore che celebriamo nell'Eucaristia:
Tutta quanta la città redenta, cioè l'assemblea e la società dei santi,
offre un sacrificio universale a Dio per opera di quel Sommo Sacerdote che
nella passione ha offerto anche se stesso per noi, assumendo la forma di
servo, e costituendoci come corpo di un Capo tanto importante. . . Questo è
il sacrificio dei cristiani: "Pur essendo molti, siamo un solo corpo in
Cristo" ( Rm 12,5 ); e la Chiesa lo rinnova continuamente nel sacramento
dell'altare, noto ai fedeli, dove si vede che in ciò che offre, offre anche
se stessa [Sant'Agostino, De civitate Dei, 10, 6].
La presenza di Cristo operata dalla potenza della sua Parola e dello Spirito
Santo
1373 "Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di
Dio e intercede per noi" ( Rm 8,34 ), è presente in molti modi alla sua
Chiesa: [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48] nella sua Parola, nella
preghiera della Chiesa, "là dove sono due o tre riuniti" nel suo "nome" ( Mt
18,20 ), nei poveri, nei malati, nei prigionieri, [Cf Mt 25,31-46 ] nei
sacramenti di cui egli è l'autore, nel sacrificio della messa e nella
persona del ministro. Ma " soprattutto (presente) sotto le specie
eucaristiche " [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 7].
1374 Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico.
Esso pone l'Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa "quasi il
coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i
sacramenti" [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 73, 3]. Nel
Santissimo Sacramento dell'Eucaristia è "contenuto veramente, realmente,
sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con
l'anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero " [Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1651]. "Tale presenza si dice" reale" non per
esclusione, quasi che le altre non siano "reali", ma per antonomasia, perché
è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa
presente" [Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei].
1375 E' per la conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo
Sangue che Cristo diviene presente in questo sacramento. I Padri della
Chiesa hanno sempre espresso con fermezza la fede della Chiesa
nell'efficacia della Parola di Cristo e dell'azione dello Spirito Santo per
operare questa conversione. San Giovanni Crisostomo, ad esempio, afferma:
Non è l'uomo che fa diventare le cose offerte Corpo e Sangue di Cristo, ma è
Cristo stesso, che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di
Cristo, pronunzia quelle parole, ma la loro virtù e la grazia sono di Dio.
Questo è il mio Corpo, dice. Questa Parola trasforma le cose offerte [San
Giovanni Crisostomo, De proditione Judae, 1, 6: PG 49, 380C].
E sant'Ambrogio, parlando della conversione eucaristica dice:
Non si tratta dell'elemento formato da natura, ma della sostanza prodotta
dalla formula della consacrazione, ed è maggiore l'efficacia della
consacrazione di quella della natura, perché, per l'effetto della
consacrazione, la stessa natura viene trasformata... La Parola di Cristo,
che potè creare dal nulla ciò che non esisteva, non può trasformare in una
sostanza diversa ciò che esiste? Non è minore impresa dare una nuova natura
alle cose che trasformarla [Sant'Ambrogio, De mysteriis, 9, 50. 52: PL 16,
405-406].
1376 Il Concilio di Trento riassume la fede cattolica dichiarando: "Poiché
il Cristo, nostro Redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie
del pane era veramente il suo Corpo, nella Chiesa di Dio vi fu sempre la
convinzione, e questo santo Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la
consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la
sostanza del pane nella sostanza del Corpo del Cristo, nostro Signore, e di
tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa
conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla
santa Chiesa cattolica transustanziazione " [Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1642].
1377 La presenza eucaristica di Cristo ha inizio al momento della
consacrazione e continua finché sussistono le specie eucaristiche. Cristo è
tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte; perciò
la frazione del pane non divide Cristo [Cf ibid., 1641].
1378 Il culto dell'Eucaristia. Nella Liturgia della Messa esprimiamo la
nostra fede nella presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del
vino, tra l'altro con la genuflessione, o con un profondo inchino in segno
di adorazione verso il Signore. "La Chiesa cattolica professa questo culto
latreutico al sacramento eucaristico non solo durante la Messa, ma anche
fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie
consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani,
portandole in processione con gaudio della folla cristiana" [Paolo VI, Lett.
enc. Mysterium fidei].
1379 La santa riserva (tabernacolo) era inizialmente destinata a custodire
in modo degno l'Eucaristia perché potesse essere portata agli infermi e agli
assenti, al di fuori della Messa. Approfondendo la fede nella presenza reale
di Cristo nell'Eucaristia, la Chiesa ha preso coscienza del significato
dell'adorazione silenziosa del Signore presente sotto le specie
eucaristiche. Perciò il tabernacolo deve essere situato in un luogo
particolarmente degno della chiesa, e deve essere costruito in modo da
evidenziare e manifestare la verità della presenza reale di Cristo nel santo
sacramento.
1380 E' oltremodo conveniente che Cristo abbia voluto rimanere presente alla
sua Chiesa in questa forma davvero unica. Poiché stava per lasciare i suoi
sotto il suo aspetto visibile, ha voluto donarci la sua presenza
sacramentale; poiché stava per offrirsi sulla croce per la nostra salvezza,
ha voluto che noi avessimo il memoriale dell'amore con il quale ci ha amati
"sino alla fine" ( Gv 13,1 ), fino al dono della propria vita. Nella sua
presenza eucaristica, infatti, egli rimane misteriosamente in mezzo a noi
come colui che ci ha amati e che ha dato se stesso per noi, [Cf Gal 2,20 ] e
vi rimane sotto i segni che esprimono e comunicano questo amore:
La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci
aspetta in questo sacramento dell'amore. Non risparmiamo il nostro tempo per
andare ad incontrarlo nell'adorazione, nella contemplazione piena di fede e
pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la
nostra adorazione [Giovanni Paolo II, Lett. Dominicae cenae, 3].
1381 "Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue
di Cristo "non si può apprendere coi sensi, dice san Tommaso, ma con la sola
fede, la quale si appoggia all'autorità di Dio". Per questo, commentando il
passo di san Luca 22, 19: "Questo è il mio Corpo che viene dato per voi",
san Cirillo dice: Non mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto
accetta con fede le parole del Salvatore: perché essendo egli la verità, non
mentisce" [Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei, che cita San Tommaso
d'Aquino, Summa theologiae, III, 75, 1; cf San Cirillo d'Alessandria,
Commentarius in Lucam, 22, 19: PG 72, 921B].
Adoro te devote, latens Deitas. . .
Ti adoro con devozione, o Dio che ti nascondi,
che sotto queste figure veramente ti celi:
a te il mio cuore si sottomette interamente,
poiché, nel contemplarti, viene meno.
La vista, il tatto e il gusto si ingannano a tuo riguardo,
soltanto alla parola si crede con sicurezza:
Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio:
nulla è più vero della sua parola di Verità.
VI. Il banchetto pasquale
1382 La Messa è ad un tempo e inseparabilmente il memoriale del sacrificio
nel quale si perpetua il sacrificio della croce, e il sacro banchetto della
Comunione al Corpo e al Sangue del Signore. Ma la celebrazione del
sacrificio eucaristico è totalmente orientata all'unione intima dei fedeli
con Cristo attraverso la Comunione. Comunicarsi, è ricevere Cristo stesso
che si è offerto per noi.
1383 L' altare, attorno al quale la Chiesa è riunita nella celebrazione
dell'Eucaristia, rappresenta i due aspetti di uno stesso mistero: l'altare
del sacrificio e la mensa del Signore, e questo tanto più in quanto l'altare
cristiano è il simbolo di Cristo stesso, presente in mezzo all'assemblea dei
suoi fedeli sia come la vittima offerta per la nostra riconciliazione, sia
come alimento celeste che si dona a noi. "Che cosa è l'altare di Cristo se
non l'immagine del Corpo di Cristo?" - dice sant'Ambrogio, [Sant'Ambrogio,
De sacramentis, 5, 7: PL 16, 447C] e altrove: "L'altare è l'immagine del
Corpo [di Cristo], e il Corpo di Cristo sta sull'altare" [Sant'Ambrogio, De
sacramentis, 5, 7: PL 16, 447C]. La Liturgia esprime in molte preghiere
questa unità del sacrificio e della Comunione. La Chiesa di Roma, ad
esempio, prega così nella sua anafora:
Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa' che questa offerta, per le mani del
tuo angelo santo, sia portata sull'altare del cielo davanti alla tua maestà
divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando
al santo mistero del Corpo e del Sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza
di ogni grazia e benedizione del cielo [Messale romano, Canone Romano:
"Supplices te rogamus"].
"Prendete e mangiatene tutti": la Comunione
1384 Il Signore ci rivolge un invito pressante a riceverlo nel sacramento
dell'Eucaristia: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la Carne del
Figlio dell'uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete in voi la vita" ( Gv
6,53 ).
1385 Per rispondere a questo invito dobbiamo prepararci a questo momento
così grande e così santo. San Paolo esorta a un esame di coscienza:
"Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà
reo del Corpo e del Sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se
stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia
e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria
condanna" ( 1Cor 11,27-29 ). Chi è consapevole di aver commesso un peccato
grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere
alla Comunione.
1386 Davanti alla grandezza di questo sacramento, il fedele non può che fare
sua con umiltà e fede ardente la supplica del centurione: [Cf Mt 8,8 ]
"Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et
sanabitur anima mea" - "O Signore, non sono degno di partecipare alla tua
mensa: ma di' soltanto una parola e io sarò salvato" [Messale Romano, Riti
di comunione]. Nella "Divina Liturgia" di san Giovanni Crisostomo i fedeli
pregano con lo stesso spirito:
O Figlio di Dio, fammi oggi partecipe del tuo mistico convito. Non svelerò
il Mistero ai tuoi nemici, e neppure ti darò il bacio di Giuda. Ma, come il
ladrone, io ti dico: Ricordati di me, Signore, quando sarai nel tuo regno
[Liturgia di San Giovanni Crisostomo, Preparazione alla comunione].
1387 Per prepararsi in modo conveniente a ricevere questo sacramento, i
fedeli osserveranno il digiuno prescritto nella loro Chiesa [Cf Codice di
Diritto Canonico, 919]. L'atteggiamento del corpo (gesti, abiti) esprimerà
il rispetto, la solennità, la gioia di questo momento in cui Cristo diventa
nostro ospite.
1388 E' conforme al significato stesso dell'Eucaristia che i fedeli, se
hanno le disposizioni richieste, si comunichino quando partecipano
alla Messa: [Cf Codice di Diritto Canonico, 917. I fedeli nel medesimo
giorno possono ricevere la S.S. Eucaristia solo una seconda volta (cf
Pontificia Commissio Codici Iuris Canonici Authentice Interpretando,
Responsa ad proposita dubia, 1: AAS 76 (1984), p. 746] "Si raccomanda molto
quella partecipazione più perfetta alla Messa, per la quale i fedeli, dopo
la Comunione del sacerdote, ricevono il Corpo del Signore dal medesimo
Sacrificio" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 55].
1389 La Chiesa fa obbligo ai fedeli di partecipare alla divina Liturgia la
domenica e le feste [Conc. Ecum. Vat. II, Orientalium ecclesiarum, 15] e di
ricevere almeno una volta all'anno l'Eucaristia, possibilmente nel tempo
pasquale, [Cf Codice di Diritto Canonico, 920] preparati dal sacramento
della Riconciliazione. La Chiesa tuttavia raccomanda vivamente ai fedeli di
ricevere la santa Eucaristia la domenica e i giorni festivi, o ancora più
spesso, anche tutti i giorni.
1390 In virtù della presenza sacramentale di Cristo sotto ciascuna specie,
la comunione con la sola specie del pane permette di ricevere tutto il
frutto di grazia dell'Eucaristia. Per motivi pastorali questo modo di fare
la Comunione si è legittimamente stabilito come il più abituale nel rito
latino. Tuttavia "la santa Comunione esprime con maggior pienezza la sua
forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. In essa risulta infatti
più evidente il segno del banchetto eucaristico" [Principi e norme per l'uso
del Messale Romano, 240]. Questa è la forma abituale di comunicarsi nei riti
orientali.
1390 In virtù della presenza sacramentale di Cristo sotto ciascuna specie,
la comunione con la sola specie del pane permette di ricevere tutto il
frutto di grazia dell'Eucaristia. Per motivi pastorali questo modo di fare
la Comunione si è legittimamente stabilito come il più abituale nel rito
latino. Tuttavia "la santa Comunione esprime con maggior pienezza la sua
forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. In essa risulta infatti
più evidente il segno del banchetto eucaristico" [Principi e norme per l'uso
del Messale Romano, 240]. Questa è la forma abituale di comunicarsi nei riti
orientali.
I frutti della Comunione
1391 La Comunione accresce la nostra unione a Cristo. Ricevere l'Eucaristia
nella Comunione reca come frutto principale l'unione intima con Cristo Gesù.
Il Signore infatti dice: "Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue
dimora in me e io in lui" ( Gv 6,56 ). La vita in Cristo ha il suo
fondamento nel banchetto eucaristico: "Come il Padre, che ha la vita, ha
mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà
per me" ( Gv 6,57 ).
Quando, nelle feste del Signore, i fedeli ricevono il Corpo del Figlio, essi
annunziano gli uni agli altri la Buona Notizia che è donata la caparra della
vita, come quando l'angelo disse a Maria di Magdala: "Cristo è risorto!".
Ecco infatti che già ora la vita e la risurrezione sono elargite a colui che
riceve Cristo [Fanqith, Ufficio siro-antiocheno, vol. I, Comune, 237a-b].
1392 Ciò che l'alimento materiale produce nella nostra vita fisica, la
Comunione lo realizza in modo mirabile nella nostra vita spirituale. La
Comunione alla Carne del Cristo risorto, "vivificata dallo Spirito Santo e
vivificante", [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 5] conserva,
accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo. La crescita
della vita cristiana richiede di essere alimentata dalla Comunione
eucaristica, pane del nostro pellegrinaggio, fino al momento della morte,
quando ci sarà dato come viatico.
1393 La Comunione ci separa dal peccato. Il Corpo di Cristo che riceviamo
nella Comunione è "dato per noi", e il Sangue che beviamo, è "sparso per
molti in remissione dei peccati". Perciò l'Eucaristia non può unirci a
Cristo senza purificarci, nello stesso tempo, dai peccati commessi e
preservarci da quelli futuri:
"Ogni volta che lo riceviamo, annunciamo la morte del Signore" [Cf 1Cor
11,26 ]. Se annunciamo la morte, annunziamo la remissione dei peccati. Se,
ogni volta che il suo Sangue viene sparso, viene sparso per la remissione
dei peccati, devo riceverlo sempre, perché sempre mi rimetta i peccati. Io
che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina [Sant'Ambrogio, De
sacramentis, 4, 28: PL 16, 446A].
1394 Come il cibo del corpo serve a restaurare le forze perdute,
l'Eucaristia fortifica la carità che, nella vita di ogni giorno, tende ad
indebolirsi; la carità così vivificata cancella i peccati veniali [Cf
Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1638]. Donandosi a noi, Cristo ravviva
il nostro amore e ci rende capaci di troncare gli attaccamenti disordinati
alle creature e di radicarci in lui:
Cristo è morto per noi per amore. Perciò quando facciamo memoria della sua
morte, durante il sacrificio, invochiamo la venuta dello Spirito Santo quale
dono di amore. La nostra preghiera chiede quello stesso amore per cui Cristo
si è degnato di essere crocifisso per noi. Anche noi, mediante la grazia
dello Spirito Santo, possiamo essere crocifissi al mondo e il mondo a noi. .
. Avendo ricevuto il dono dell'amore, moriamo al peccato e viviamo per Dio
[San Fulgenzio di Ruspe, Contra gesta Fabiani, 28, 16-19: CCL 19A, 813-814,
cf Liturgia delle Ore, IV, Ufficio delle letture del lunedì della
ventottesima settimana].
1395 Proprio per la carità che accende in noi, l'Eucaristia ci preserva in
fu turo dai peccati mortali. Quanto più partecipiamo alla vita di Cristo e
progrediamo nella sua amicizia, tanto più ci è difficile separarci da lui
con il peccato mortale. L'Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati
mortali. Questo è proprio del sacramento della Riconciliazione. Il proprio
dell'Eucaristia è invece di essere il sacramento di coloro che sono nella
piena comunione della Chiesa.
1396 L'unità del Corpo mistico: l'Eucaristia fa la Chiesa. Coloro che
ricevono l'Eucaristia sono uniti più strettamente a Cristo. Per ciò stesso,
Cristo li unisce a tutti i fedeli in un solo corpo: la Chiesa. La Comunione
rinnova, fortifica, approfondisce questa incorporazione alla Chiesa già
realizzata mediante il Battesimo. Nel Battesimo siamo stati chiamati a
formare un solo corpo [Cf 1Cor 12,13 ]. L'Eucaristia realizza questa
chiamata: "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse
comunione con il Sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse
comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo
molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (
1Cor 10,16-17 ):
Se voi siete il Corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è
deposto il vostro mistero, ricevete il vostro mistero. A ciò che siete
rispondete: Amen, e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: "Il
Corpo di Cristo" e tu rispondi: "Amen". Sii membro del Corpo di Cristo,
perché sia veritiero il tuo Amen [Sant'Agostino, Sermones, 272: PL 38,
1247].
1397 L'Eucaristia impegna nei confronti dei poveri. Per ricevere nella
verità il Corpo e il Sangue di Cristo offerti per noi, dobbiamo riconoscere
Cristo nei più poveri, suoi fratelli: [Cf Mt 25,40 ]
Tu hai bevuto il Sangue del Signore e non riconosci tuo fratello. Tu
disonori questa stessa mensa, non giudicando degno di condividere il tuo
cibo colui che è stato ritenuto degno di partecipare a questa mensa. Dio ti
ha liberato da tutti i tuoi peccati e ti ha invitato a questo banchetto. E
tu, nemmeno per questo, sei divenuto più misericordioso [San Giovanni
Crisostomo, Homiliae in primam ad Corinthios, 27, 4: PG 61, 229-230].
1398 L'Eucaristia e l'unità dei cristiani. Davanti alla sublimità di questo
sacramento, sant'Agostino esclama: "O sacramentum pietatis! O signum
unitatis! O vinculum caritatis! - O sacramento di pietà! O segno di unità! O
vincolo di carità!" [Sant'Agostino, In Evangelium Johannis tractatus, 26, 6,
13; cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 47]. Quanto più
dolorosamente si fanno sentire le divisioni della Chiesa che impediscono la
comune partecipazione alla mensa del Signore, tanto più pressanti sono le
preghiere al Signore perché ritornino i giorni della piena unità di tutti
coloro che credono in lui.
1399 Le Chiese orientali che non sono nella piena comunione con la Chiesa
cattolica celebrano l'Eucaristia con grande amore. "Quelle Chiese,
quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della
successione apostolica, il Sacerdozio e l'Eucaristia, per mezzo dei quali
restano ancora unite a noi da strettissimi vincoli" [Conc. Ecum. Vat. II,
Unitatis redintegratio, 15]. "Una certa comunicazione in sacris nelle cose
sacre", quindi nell'Eucaristia, "presentandosi opportune circostanze e con
l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, non solo è possibile, ma anche
consigliabile" [Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 15].
1400 Le comunità ecclesiali sorte dalla Riforma, separate dalla Chiesa
cattolica, "specialmente per la mancanza del sacramento dell'Ordine, non
hanno conservata la genuina ed integra sostanza del Mistero eucaristico"
[Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 22]. Per questo motivo, non è
possibile, per la Chiesa cattolica, l'intercomunione eucaristica con queste
comunità. Tuttavia, queste comunità ecclesiali "mentre nella santa Cena
fanno memoria della morte e della Risurrezione del Signore, professano che
nella Comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta
gloriosa" [Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 22].
1401 In presenza di una grave necessità, a giudizio dell'Ordinario, i
ministri cattolici possono amministrare i sacramenti (Eucaristia, Penitenza,
Unzione degli infermi) agli altri cristiani che non sono in piena comunione
con la Chiesa cattolica, purché li chiedano spontaneamente: è necessario in
questi casi che essi manifestino la fede cat tolica a riguardo di questi
sacramenti e che si trovino nelle disposizioni richieste [Cf Codice di
Diritto Canonico, 844, 4].
VII. L'Eucaristia - "Pegno della gloria futura"
1402 In una antica preghiera, la Chiesa acclama il mistero dell'Eucaristia:
"O sacrum convivium in quo Christus sumitur. Recolitur memoria passionis
eius; mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur - O sacro
convito nel quale ci nutriamo di Cristo, si fa memoria della sua passione;
l'anima è ricolmata di grazia e ci è donato il pegno della gloria futura".
Se l'Eucaristia è il memoriale della Pasqua del Signore, se mediante la
nostra Comunione all'altare veniamo ricolmati "di ogni grazia e benedizione
del cielo", [Messale Romano, Canone Romano: "Supplices te rogamus"]
l'Eucaristia è pure anticipazione della gloria del cielo.
1403 Nell'ultima Cena il Signore stesso ha fatto volgere lo sguardo dei suoi
discepoli verso il compimento della Pasqua nel Regno di Dio: "Io vi dico che
da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo
berrò nuovo con voi nel Regno del Padre mio" ( Mt 26,29 ) [Cf Lc 22,18; 1403
Mc 14,25 ]. Ogni volta che la Chiesa celebra l'Eucaristia, ricorda questa
promessa e il suo sguardo si volge verso "Colui che viene" [Cf Ap 1,4 ].
Nella preghiera, essa invoca la sua venuta: "Marana tha" ( 1Cor 16,22 ),
"Vieni, Signore Gesù" ( Ap 22,20 ), "Venga la tua grazia e passi questo
mondo!" [Didaché, 10, 6].
1404 La Chiesa sa che, fin d'ora, il Signore viene nella sua Eucaristia, e
che egli è lì, in mezzo a noi. Tuttavia questa presenza è nascosta. E' per
questo che celebriamo l'Eucaristia "expectantes beatam spem et adventum
Salvatoris nostri Jesu Christi - nell'attesa che si compia la beata speranza
e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo", [Embolismo dopo il Padre nostro;
cf Tt 2,13 ] chiedendo "di ritrovarci insieme a godere della tua gloria
quando, asciugata ogni lacrima, i nostri occhi vedranno il tuo volto e noi
saremo simili a te, e canteremo per sempre la tua lode, in Cristo, nostro
Signore" [Messale Romano, Preghiera eucaristica III: preghiera per i
defunti].
1405 Di questa grande speranza, quella dei "nuovi cieli" e della "terra
nuova nei quali abiterà la giustizia" ( 2Pt 3,13 ), non abbiamo pegno più
sicuro, né segno più esplicito dell'Eucaristia. Ogni volta infatti che viene
celebrato questo mistero, "si effettua l'opera della nostra redenzione"
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 3] e noi spezziamo "l'unico pane che è
farmaco d'immortalità, antidoto contro la morte, alimento dell'eterna vita
in Gesù Cristo" [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Ephesios, 20, 2].
In sintesi
1406 Gesù dice: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di
questo pane vivrà in eterno... Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue
ha la vita eterna. . . dimora in me e io in lui" ( Gv 6,51; 1406 Gv 6,54; Gv
6,56 ).
1407 L'Eucaristia è il cuore e il culmine della vita della Chiesa, poiché in
essa Cristo associa la sua Chiesa e tutti i suoi membri al proprio
sacrificio di lode e di rendimento di grazie offerto al Padre una volta per
tutte sulla croce; mediante questo sacrificio egli effonde le grazie della
salvezza sul suo Corpo, che è la Chiesa.
1408 La celebrazione eucaristica comporta sempre: la proclamazione della
Parola di Dio, l'azione di grazie a Dio Padre per tutti i suoi benefici,
soprattutto per il dono del suo Figlio, la consacrazione del pane e del vino
e la partecipazione al banchetto liturgico mediante la recezione del Corpo e
del Sangue del Signore. Questi elementi costituiscono un solo e medesimo
atto di culto.
1409 L'Eucaristia è il memoriale della Pasqua di Cristo, cioè dell'opera
della salvezza compiuta per mezzo della vita, della morte e della
Risurrezione di Cristo, opera che viene resa presente dall'azione liturgica.
1410 E' Cristo stesso, sommo ed eterno sacerdote della Nuova Alleanza, che,
agendo attraverso il ministero dei sacerdoti, offre il sacrificio
eucaristico. Ed è ancora lo stesso Cristo, realmente presente sotto le
specie del pane e del vino, l'offerta del sacrificio eucaristico.
1411 Soltanto i sacerdoti validamente ordinati possono presiedere
l'Eucaristia e consacrare il pane e il vino perché diventino il Corpo e il
Sangue del Signore.
1412 I segni essenziali del sacramento eucaristico sono il pane di grano e
il vino della vite, sui quali viene invocata la benedizione dello Spirito
Santo e il sacerdote pronunzia le parole della consacrazione dette da Gesù
durante l'ultima Cena: "Questo è il mio Corpo dato per voi. . . Questo è il
calice del mio Sangue. . . ".
1413 Mediante la consacrazione si opera la transustanziazione del pane e del
vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Sotto le specie consacrate del pane e
del vino, Cristo stesso, vivente e glorioso, è presente in maniera vera,
reale e sostanziale, il suo Corpo e il suo Sangue, con la sua anima e la sua
divinità [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1640; 1651].
1414 In quanto sacrificio, l'Eucaristia viene anche offerta in riparazione
dei peccati dei vivi e dei defunti, e al fine di ottenere da Dio benefici
spirituali o temporali.
1415 Chi vuole ricevere Cristo nella Comunione eucaristica deve essere in
stato di grazia. Se uno è consapevole di aver peccato mortalmente, non deve
accostarsi all'Eucaristia senza prima aver ricevuto l'assoluzione nel
sacramento della Penitenza.
1416 La santa Comunione al Corpo e al Sangue di Cristo accresce in colui che
si comunica l'unione con il Signore, gli rimette i peccati veniali e lo
preserva dai peccati gravi. Poiché vengono rafforzati i vincoli di carità
tra colui che si comunica e Cristo, ricevere questo sacramento rafforza
l'unità della Chiesa, Corpo mistico di Cristo.
1417 La Chiesa raccomanda vivamente ai fedeli di ricevere la santa Comunione
quando partecipano alla celebrazione dell'Eucaristia; ne fa loro obbligo
almeno una volta all'anno.
1418 Poiché Cristo stesso è presente nel Sacramento dell'altare, bisogna
onorarlo con un culto di adorazione. La visita al Santissimo Sacramento "è
prova di gratitudine, segno di amore e debito di riconoscenza a Cristo
Signore" [Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei].
1419 Poiché Cristo è passato da questo mondo al Padre, nell'Eucaristia ci
dona il pegno della gloria futura presso di lui: la partecipazione al Santo
Sacrificio ci identifica con il suo Cuore, sostiene le nostre forze lungo il
pellegrinaggio di questa vita, ci fa desiderare la vita eterna e già ci
unisce alla Chiesa del Cielo, alla Santa Vergine Maria e a tutti i Santi.
PARTE SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE SECONDA - "I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA"
CAPITOLO SECONDO - I SACRAMENTI DI GUARIGIONE.
1420 Attraverso i sacramenti dell'iniziazione cristiana, l'uomo riceve la
vita nuova di Cristo. Ora, questa vita, noi la portiamo "in vasi di creta" (
2Cor 4,7 ). Adesso è ancora "nascosta con Cristo in Dio" ( Col 3,3 ). Noi
siamo ancora nella "nostra abitazione sulla terra" ( 2Cor 5,1 ), sottomessa
alla sofferenza, alla malattia e alla morte. Questa vita nuova di figlio di
Dio può essere indebolita e persino perduta a causa del peccato.
1421 Il Signore Gesù Cristo, medico delle nostre anime e dei nostri corpi,
colui che ha rimesso i peccati al paralitico e gli ha reso la salute del
corpo, [Cf Mc 2,1-12 ] ha voluto che la sua Chiesa continui, nella forza
dello Spirito Santo, la sua opera di guarigione e di salvezza, anche presso
le proprie membra. E' lo scopo dei due sacramenti di guarigione: del
sacramento della Penitenza e dell'Unzione degli infermi.
Articolo 4
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA RICONCILIAZIONE
1422 "Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla
misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si
riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato
e che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera"
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11].
I. Come viene chiamato questo sacramento?
1423 E' chiamato sacramento della conversione poiché realizza
sacramentalmente l'appello di Gesù alla conversione, [Cf Mc 1,15 ] il
cammino di ritorno al Padre [Cf Lc 15,18 ] da cui ci si è allontanati con il
peccato.
E' chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale
ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano
peccatore.
1424 E' chiamato sacramento della confessione poiché l'accusa, la
confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di
questo sacramento. In un senso profondo esso è anche una "confessione",
riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso
l'uomo peccatore.
E' chiamato sacramento del perdono poiché, attraverso l'assoluzione
sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente "il perdono e la pace"
[Rituale romano, Rito della penitenza, formula dell'assoluzione]. E'
chiamato sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore l'amore
di Dio che riconcilia: "Lasciatevi riconciliare con Dio" ( 2Cor 5,20 ).
Colui che vive dell'amore misericordioso di Dio è pronto a rispondere
all'invito del Signore: "Va' prima a riconciliarti con il tuo fratello" ( Mt
5,24 ).
II. Perché un sacramento della riconciliazione
dopo il Battesimo?
1425 "Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati
nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!" ( 1Cor
6,11 ). Bisogna rendersi conto della grandezza del dono di Dio, che ci è
fatto nei sacramenti dell'iniziazione cristiana, per capire fino a che punto
il peccato è cosa non ammessa per colui che si è "rivestito di Cristo" ( Gal
3,27 ). L'Apostolo san Giovanni però afferma anche: "Se diciamo che siamo
senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi" ( 1Gv 1,8 ).
E il Signore stesso ci ha insegnato a pregare: "Perdonaci i nostri peccati"
( Lc 11,4 ), legando il mutuo perdono delle nostre offese al perdono che Dio
accorderà alle nostre colpe.
1426 La conversione a Cristo, la nuova nascita dal Battesimo, il dono dello
Spirito Santo, il Corpo e il Sangue di Cristo ricevuti in nutrimento, ci
hanno resi "santi e immacolati al suo cospetto" ( Ef 1,4 ), come la Chiesa
stessa, sposa di Cristo, è "santa e immacolata" ( Ef 5,27 ) davanti a lui.
Tuttavia, la vita nuova ricevuta nell'iniziazione cristiana non ha soppresso
la fragilità e la debolezza della natura umana, né l'inclinazione al peccato
che la tradizione chiama concupiscenza, la quale rimane nei battezzati
perché sostengano le loro prove nel combattimento della vita cristiana,
aiutati dalla grazia di Cristo [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm.,
1515]. Si tratta del combattimento della conversione in vista della santità
e della vita eterna alla quale il Signore non cessa di chiamarci [Cf ibid.,
1545; Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 40].
III. La conversione dei battezzati
1427 Gesù chiama alla conversione. Questo appello è una componente
essenziale dell'annuncio del Regno: "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è
ormai vicino; convertitevi e credete al Vangelo" ( Mc 1,15 ). Nella
predicazione della Chiesa questo invito si rivolge dapprima a quanti non
conoscono ancora Cristo e il suo Vangelo. Il Battesimo è quindi il luogo
principale della prima e fondamentale conversione. E' mediante la fede nella
Buona Novella e mediante il Battesimo [Cf At 2,38 ] che si rinuncia al male
e si acquista la salvezza, cioè la remissione di tutti i peccati e il dono
della vita nuova.
1428 Ora, l'appello di Cristo alla conversione continua a risuonare nella
vita dei cristiani. Questa seconda conversione è un impegno continuo per
tutta la Chiesa che "comprende nel suo seno i peccatori" e che, "santa
insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla
penitenza e al suo rinnovamento" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 8].
Questo sforzo di conversione non è soltanto un'opera umana. E' il dinamismo
del "cuore contrito" ( Sal 51,19 ) attirato e mosso dalla grazia [Cf Gv
6,44; Gv 12,32 ] a rispondere all'amore misericordioso di Dio che ci ha
amati per primo [Cf 1Gv 4,10 ].
1429 Lo testimonia la conversione di san Pietro dopo il triplice
rinnegamento del suo Maestro. Lo sguardo d'infinita misericordia di Gesù
provoca le lacrime del pentimento ( Lc 22,61 ) e, dopo la Risurrezione del
Signore, la triplice confessione del suo amore per lui [Cf Gv 21,15-17 ]. La
seconda conversione ha pure una dimensione comunitaria. Ciò appare
nell'appello del Signore ad un'intera Chiesa: "Ravvediti!" ( Ap 2,5; 1429 Ap
2,16 ).
A proposito delle due conversioni sant'Ambrogio dice che, nella Chiesa, "ci
sono l'acqua e le lacrime: l'acqua del Battesimo e le lacrime della
Penitenza" [Sant'Ambrogio, Epistulae, 41, 12: PL 16, 1116B].
IV. La penitenza interiore
1430 Come già nei profeti, l'appello di Gesù alla conversione e alla
penitenza non riguarda anzitutto opere esteriori, "il sacco e la cenere", i
digiuni e le mortificazioni, ma la conversione del cuore, la penitenza
interiore. Senza di essa, le opere di penitenza rimangono sterili e
menzognere; la conversione interiore spinge invece all'espressione di questo
atteggiamento in segni visibili, gesti e opere di penitenza [Cf Gl 2,12-13;
Is 1,16-17; Mt 6,1-6; 1430 Mt 6,16-18 ].
1431 La penitenza interiore è un radicale riorientamento di tutta la vita,
un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il
peccato, un'avversione per il male, insieme con la riprovazione nei
confronti delle cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo,
essa comporta il desiderio e la risoluzione di cambiare vita con la speranza
della misericordia di Dio e la fiducia nell'aiuto della sua grazia. Questa
conversione del cuore è accompagnata da un dolore e da una tristezza
salutari, che i Padri hanno chiamato " animi cruciatus [afflizione dello
spirito]", "compunctio cordis [contrizione del cuore]" [Cf Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1676-1678; 1705; Catechismo Romano, 2, 5, 4].
1432 Il cuore dell'uomo è pesante e indurito. Bisogna che Dio dia all'uomo
un cuore nuovo [Cf Ez 36,26-27 ]. La conversione è anzitutto un'opera della
grazia di Dio che fa ritornare a lui i nostri cuori: "Facci ritornare a te,
Signore, e noi ritorneremo" ( Lam 5,21 ). Dio ci dona la forza di
ricominciare. E' scoprendo la grandezza dell'amore di Dio che il nostro
cuore viene scosso dall'orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di
offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui. Il cuore umano si
converte guardando a colui che è stato trafitto dai nostri peccati [Cf Gv
19,37; 1432 Zc 12,10 ].
Teniamo fisso lo sguardo sul sangue di Cristo, e consideriamo quanto sia
prezioso per Dio suo Padre; infatti, sparso per la nostra salvezza, offrì al
mondo intero la grazia della conversione [San Clemente di Roma, Epistula ad
Corinthios, 7, 4].
1433 Dopo la Pasqua, è lo Spirito Santo che convince "il mondo quanto al
peccato" ( Gv 16,8-9 ), cioè al fatto che il mondo non ha creduto in colui
che il Padre ha inviato. Ma questo stesso Spirito, che svela il peccato, è
il Consolatore [Cf Gv 15,26 ] che dona al cuore dell'uomo la grazia del
pentimento e della conversione [Cf At 2,36-38; cf Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Dominum et Vivificantem, 27-48].
V. Le molteplici forme della penitenza
nella vita cristiana
1434 La penitenza interiore del cristiano può avere espressioni molto varie.
La Scrittura e i Padri insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la
preghiera, l'elemosina , [Cf Tb 12,8; Mt 6,1-18 ] che esprimono la
conversione in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli
altri. Accanto alla purificazione radicale operata dal Battesimo o dal
martirio, essi indicano, come mezzo per ottenere il perdono dei peccati, gli
sforzi compiuti per riconciliarsi con il prossimo, le lacrime di penitenza,
la preoccupazione per la salvezza del prossimo, [Cf Gc 5,20 ]
l'intercessione dei santi e la pratica della carità che "copre una
moltitudine di peccati" ( 1Pt 4,8 ).
1435 La conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di
riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l'esercizio e la
difesa della giustizia e del diritto, [Cf Am 5,24; 1435 Is 1,17 ] attraverso
la confessione delle colpe ai fratelli, la correzione fraterna, la revisione
di vita, l'esame di coscienza, la direzione spirituale, l'accettazione delle
sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia.
Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura
della penitenza [Cf Lc 9,23 ].
1436 Eucaristia e Penitenza. La conversione e la penitenza quotidiane
trovano la loro sorgente e il loro alimento nell'Eucaristia, poiché in essa
è reso presente il sacrificio di Cristo che ci ha riconciliati con Dio; per
suo mezzo vengono nutriti e fortificati coloro che vivono della vita di
Cristo; essa "è come l'antidoto con cui essere liberati dalle colpe di ogni
giorno e preservati dai peccati mortali" [Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1638].
1437 La lettura della Sacra Scrittura, la preghiera della Liturgia delle Ore
e del Padre Nostro, ogni atto sincero di culto o di pietà ravviva in noi lo
spirito di conversione e di penitenza e contribuisce al perdono dei nostri
peccati.
1438 I tempi e i giorni di penitenza nel corso dell'anno liturgico (il tempo
della quaresima, ogni venerdì in memoria della morte del Signore) sono
momenti forti della pratica penitenziale della Chiesa [Cf Conc. Ecum. Vat.
II, Sacrosanctum concilium, 109-110; Codice di Diritto Canonico, 1249-1253;
Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 880-883]. Questi tempi sono
particolarmente adatti per gli esercizi spirituali, le liturgie
penitenziali, i pellegrinaggi in segno di penitenza, le privazioni
volontarie come il digiuno e l'elemosina, la condivisione fraterna (opere
caritative e missionarie).
1439 Il dinamismo della conversione e della penitenza è stato
meravigliosamente descritto da Gesù nella parabola detta "del figlio
prodigo" il cui centro è "il padre misericordioso" ( Lc 15,11-24 ): il
fascino di una libertà illusoria, l'abbandono della casa paterna; la miseria
estrema nella quale il figlio viene a trovarsi dopo aver dilapidato la sua
fortuna; l'umiliazione profonda di vedersi costretto a pascolare i porci, e,
peggio ancora, quella di desiderare di nutrirsi delle carrube che mangiavano
i maiali; la riflessione sui beni perduti; il pentimento e la decisione di
dichiararsi colpevole davanti a suo padre; il cammino del ritorno;
l'accoglienza generosa da parte del padre; la gioia del padre: ecco alcuni
tratti propri del processo di conversione. L'abito bello, l'anello e il
banchetto di festa sono simboli della vita nuova, pura, dignitosa, piena di
gioia che è la vita dell'uomo che ritorna a Dio e in seno alla sua famiglia,
la Chiesa. Soltanto il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell'amore
di suo Padre, ha potuto rivelarci l'abisso della sua misericordia in una
maniera così piena di semplicità e di bellezza.
VI. Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione 1439 _
1440 Il peccato è anzitutto offesa a Dio, rottura della comunione con lui.
Nello stesso tempo esso attenta alla comunione con la Chiesa. Per questo
motivo la conversione arreca ad un tempo il perdono di Dio e la
riconciliazione con la Chiesa, ciò che il sacramento della Penitenza e della
Riconciliazione esprime e realizza liturgicamente [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 11].
Dio solo perdona il peccato
1441 Dio solo perdona i peccati [Cf Mc 2,7 ]. Poiché Gesù è il Figlio di
Dio, egli dice di se stesso: "Il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra
di rimettere i peccati" ( Mc 2,10 ) ed esercita questo potere divino: "Ti
sono rimessi i tuoi peccati!" ( Mc 2,5; Lc 7,48 ). Ancor di più: in virtù
della sua autorità divina dona tale potere agli uomini [Cf Gv 20,21-23 ]
affinché lo esercitino nel suo nome.
1442 Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua
preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del
perdono e della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo
sangue. Ha tuttavia affidato l'esercizio del potere di assolvere i peccati
al ministero apostolico. A questo è affidato il "ministero della
riconciliazione" ( 2Cor 5,18 ). L'apostolo è inviato "nel nome di Cristo",
ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica: "Lasciatevi
riconciliare con Dio" ( 2Cor 5,20 ).
Riconciliazione con la Chiesa
1443 Durante la sua vita pubblica, Gesù non ha soltanto perdonato i peccati;
ha pure manifestato l'effetto di questo perdono: egli ha reintegrato i
peccatori perdonati nella comunità del Popolo di Dio, dalla quale il peccato
li aveva allontanati o persino esclusi. Un segno chiaro di ciò è il fatto
che Gesù ammette i peccatori alla sua tavola; più ancora, egli stesso siede
alla loro mensa, gesto che esprime in modo sconvolgente il perdono di Dio
[Cf Lc 15 ] e, nello stesso tempo, il ritorno in seno al Popolo di Dio [ Cf
Lc 19,9 ].
1444 Rendendo gli Apostoli partecipi del suo proprio potere di perdonare i
peccati, il Signore dà loro anche l'autorità di riconciliare i peccatori con
la Chiesa. Tale dimensione ecclesiale del loro ministero trova la sua più
chiara espressione nella solenne parola di Cristo a Simon Pietro: "A te darò
le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà
legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei
cieli" ( Mt 16,19 ). Questo "incarico di legare e di sciogliere, che è stato
dato a Pietro, risulta essere stato pure concesso al collegio degli
Apostoli, unito col suo capo" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 22].
1445 Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete
dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi
accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella
sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione
con Dio.
Il sacramento del perdono
1446 Cristo ha istituito il sacramento della Penitenza per tutti i membri
peccatori della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il
Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia
battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale. A costoro il
sacramento della Penitenza offre una nuova possibilità di convertirsi e di
recuperare la grazia della giustificazione. I Padri della Chiesa presentano
questo sacramento come "la seconda tavola [di salvezza] dopo il naufragio
della grazia perduta" [Tertulliano, De paenitentia, 4, 2; cf Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1542].
1447 Nel corso dei secoli la forma concreta, secondo la quale la Chiesa ha
esercitato questo potere ricevuto dal Signore, ha subito molte variazioni.
Durante i primi secoli, la riconciliazione dei cristiani che avevano
commesso peccati particolarmente gravi dopo il loro Battesimo (per esempio
l'idolatria, l'omicidio o l'adulterio), era legata ad una disciplina molto
rigorosa, secondo la quale i penitenti dovevano fare pubblica penitenza per
i loro peccati, spesso per lunghi anni, prima di ricevere la
riconciliazione. A questo "ordine dei penitenti" (che riguardava soltanto
certi peccati gravi) non si era ammessi che raramente e, in talune regioni,
una sola volta durante la vita. Nel settimo secolo, ispirati dalla
tradizione monastica d'Oriente, i missionari irlandesi portarono nell'Europa
continentale la pratica "privata" della penitenza, che non esige il
compimento pubblico e prolungato di opere di penitenza prima di ricevere la
riconciliazione con la Chiesa. Il sacramento si attua ormai in una maniera
più segreta tra il penitente e il sacerdote. Questa nuova pratica prevedeva
la possibilità della reiterazione e apriva così la via ad una frequenza
regolare di questo sacramento. Essa permetteva di integrare in una sola
celebrazione sacramentale il perdono dei peccati gravi e dei peccati
veniali. E' questa, a grandi linee, la forma di penitenza che la Chiesa
pratica fino ai nostri giorni.
1448 Attraverso i cambiamenti che la disciplina e la celebrazione di questo
sacramento hanno conosciuto nel corso dei secoli, si discerne la medesima
struttura fondamentale. Essa comporta due elementi ugualmente essenziali: da
una parte, gli atti dell'uomo che si converte sotto l'azione dello Spirito
Santo: cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; dall'altra
parte, l'azione di Dio attraverso l'intervento della Chiesa. La Chiesa che,
mediante il vescovo e i suoi presbiteri, concede nel nome di Gesù Cristo il
perdono dei peccati e stabilisce la modalità della soddisfazione, prega
anche per il peccatore e fa penitenza con lui. Così il peccatore viene
guarito e ristabilito nella comunione ecclesiale.
1449 La formula di assoluzione in uso nella Chiesa latina esprime gli
elementi essenziali di questo sacramento: il Padre delle misericordie è la
sorgente di ogni perdono. Egli realizza la riconciliazione dei peccatori
mediante la Pasqua del suo Figlio e il dono del suo Spirito, attraverso la
preghiera e il ministero della Chiesa:
Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e
Risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione
dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la
pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo [Rituale romano, Rito della penitenza, formula
dell'assoluzione].
VII. Gli atti del penitente
1450 "La penitenza induce il peccatore a sopportare di buon animo ogni
sofferenza; nel suo cuore vi sia la contrizione, nella sua bocca la
confessione, nelle sue opere tutta l'umiltà e la feconda soddisfazione"
[Catechismo Romano, 2, 5, 21; cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1673].
La contrizione
1451 Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa
è "il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati
dal proposito di non peccare più in avvenire" [Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1676].
1452 Quando proviene dall'amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione
è detta "perfetta" (contrizione di carità). Tale contrizione rimette le
colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora
comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla
confessione sacramentale [Cf Concilio di Trento: Denz.-Schönm., 1677].
1453 La contrizione detta "imperfetta" (o "attrizione") è, anch'essa, un
dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo. Nasce dalla considerazione
della bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna e delle
altre pene la cui minaccia incombe sul peccatore (contrizione da timore).
Quando la coscienza viene così scossa, può aver inizio un'evoluzione
interiore che sarà portata a compimento, sotto l'azione della grazia,
dall'assoluzione sacramentale. Da sola, tuttavia, la contrizione imperfetta
non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel
sacramento della Penitenza [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1677].
1454 E' bene prepararsi a ricevere questo sacramento con un esame di
coscienza fatto alla luce della Parola di Dio. I testi più adatti a questo
scopo sono da cercarsi nel Decalogo e nella catechesi morale dei Vangeli e
delle lettere degli Apostoli: il Discorso della montagna, gli insegnamenti
apostolici [Cf Rm 12-15; 1Cor 12-13; 1454 Gal 5; Ef 4-6 ].
La confessione dei peccati
1455 La confessione dei peccati (l'accusa), anche da un punto di vista
semplicemente umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli
altri. Con l'accusa, l'uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso
colpevole; se ne assume la responsabilità e, in tal modo, si apre nuovamente
a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo
avvenire.
1456 La confessione al sacerdote costituisce una parte essenziale del
sacramento della Penitenza: "E' necessario che i penitenti enumerino nella
confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un
diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e
commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo, [ Cf Es
20,17; Mt 5,28 ] perché spesso feriscono più gravemente l'anima e si
rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi": [Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1680]
I cristiani [che] si sforzano di confessare tutti i peccati che vengono loro
in mente, senza dubbio li mettono tutti davanti alla divina misericordia
perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e tacciono
consapevolmente qualche peccato, è come se non sottoponessero nulla alla
divina bontà perché sia perdonato per mezzo del sacerdote. "Se infatti
l'ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non può
curare quello che non conosce" [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1680; cf
San Girolamo, Commentarii in Ecclesiasten, 10, 11: PL 23, 1096].
1457 Secondo il precetto della Chiesa, "ogni fedele, raggiunta l'età della
discrezione, è tenuto all'obbligo di confessare fedelmente i propri peccati
gravi, almeno una volta nell'anno" [Codice di Diritto Canonico, 989; cf
Concilio di Trento: Denz. -Schönm. , 1683; 1708]. Colui che è consapevole di
aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, anche
se prova una grande contrizione, senza aver prima ricevuto l'assoluzione
sacramentale, [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm. , 1647; 1661] a meno
che non abbia un motivo grave per comunicarsi e non gli sia possibile
accedere a un confessore [Cf Codice di Diritto Canonico, 916; Corpus Canonum
Ecclesiarum Orientalium, 711]. I fanciulli devono accostarsi al sacramento
della Penitenza prima di ricevere per la prima volta la Santa Comunione [Cf
Codice di Diritto Canonico, 914].
1458 Sebbene non sia strettamente necessaria, la confessione delle colpe
quotidiane (peccati veniali) è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa
[Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1680; Codice di Diritto Canonico,
988, 2]. In effetti, la confessione regolare dei peccati veniali ci aiuta a
formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a
lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella vita dello Spirito.
Ricevendo più frequentemente, attraverso questo sacramento, il dono della
misericordia del Padre, siamo spinti ad essere misericordiosi come lui: [Cf
Lc 6,36 ]
Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già d'accordo con Dio. Dio
condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. L'uomo
e il peccatore sono due cose distinte: l'uomo è opera di Dio, il peccatore è
opera tua, o uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò
che egli ha fatto. Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora
cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le
opere buone cominciano col riconoscimento delle opere cattive. Operi la
verità, e così vieni alla Luce [Sant'Agostino, In Evangelium Johannis
tractatus, 12, 13].
La soddisfazione
1459 Molti peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per
riparare (ad esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di
chi è stato calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige.
Ma, in più, il peccato ferisce e indebolisce il peccatore stesso, come anche
le sue relazioni con Dio e con il prossimo. L'assoluzione toglie il peccato,
ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato [Cf
Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1712]. Risollevato dal peccato, il
peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque
fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve "soddisfare" in
maniera adeguata o "espiare" i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama
anche "penitenza".
1460 La penitenza che il confessore impone deve tener conto della situazione
personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve
corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati
commessi. Può consistere nella preghiera, in un'offerta, nelle opere di
misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in
sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che
dobbiamo portare. Tali penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che,
solo, ha espiato per i nostri peccati [Cf Rm 3,25; 1460 1Gv 2,1-2 ] una
volta per tutte. Esse ci permettono di diventare i coeredi di Cristo
risorto, dal momento che "partecipiamo alle sue sofferenze" ( Rm 8,17 ): [Cf
Concilio di Trento: Denz. -Schönm. , 1690]
Ma questa soddisfazione, che compiamo per i nostri peccati, non è talmente
nostra da non esistere per mezzo di Gesù Cristo: noi, infatti, che non
possiamo nulla da noi stessi, col suo aiuto possiamo tutto in lui che ci dà
la forza [Cf Fil 4,13 ]. Quindi l'uomo non ha di che gloriarsi; ma ogni
nostro vanto è riposto in Cristo in cui. .. offriamo soddisfazione, facendo
"opere degne della conversione" ( Lc 3,8 ), che da lui traggono il loro
valore, da lui sono offerte al Padre e grazie a lui sono accettate dal Padre
[Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1691].
VIII. Il ministro di questo sacramento
1461 Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della
riconciliazione, [Cf Gv 20,23; 1461 2Cor 5,18 ] i vescovi, loro successori,
e i presbiteri, collaboratori dei vescovi, continuano ad esercitare questo
ministero. Infatti sono i vescovi e i presbiteri che hanno, in virtù del
sacramento dell'Ordine, il potere di perdonare tutti i peccati "nel nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo".
1462 Il perdono dei peccati riconcilia con Dio ma anche con la Chiesa. Il
vescovo, capo visibile della Chiesa particolare, è dunque considerato a buon
diritto, sin dai tempi antichi, come colui che principalmente ha il potere e
il ministero della riconciliazione: è il moderatore della disciplina
penitenziale [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 26]. I presbiteri, suoi
collaboratori, esercitano tale potere nella misura in cui ne hanno ricevuto
l'ufficio sia dal proprio vescovo (o da un superiore religioso), sia dal
Papa, in base al diritto della Chiesa [Cf Codice di Diritto Canonico, 844;
967-969; 972; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 722, 3-4].
1463 Alcuni peccati particolarmente gravi sono colpiti dalla scomunica, la
pena ecclesiastica più severa, che impedisce di ricevere i sacramenti e di
compiere determinati atti ecclesiastici, e la cui assoluzione, di
conseguenza, non può essere accordata, secondo il diritto della Chiesa, che
dal Papa, dal vescovo del luogo o da presbiteri da loro autorizzati [Cf
Codice di Diritto Canonico, 1331; 1354-1357; Corpus Canonum Ecclesiarum
Orientalium, 1431; 1434; 1420]. In caso di pericolo di morte, ogni
sacerdote, anche se privo della facoltà di ascoltare le confessioni, può
assolvere da qualsiasi peccato [Cf Codice di Diritto Canonico, 976; Corpus
Canonum Ecclesiarum Orientalium, 725] e da qualsiasi scomunica.
1464 I sacerdoti devono incoraggiare i fedeli ad accostarsi al sacramento
della Penitenza e devono mostrarsi disponibili a celebrare questo sacramento
ogni volta che i cristiani ne facciano ragionevole richiesta [Cf Codice di
Diritto Canonico, 986; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 735; Conc.
Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 13].
1465 Celebrando il sacramento della Penitenza, il sacerdote compie il
ministero del Buon Pastore che cerca la pecora perduta, quello del Buon
Samaritano che medica le ferite, del Padre che attende il figlio prodigo e
lo accoglie al suo ritorno, del giusto Giudice che non fa distinzione di
persone e il cui giudizio è ad un tempo giusto e misericordioso. Insomma, il
sacerdote è il segno e lo strumento dell'amore misericordioso di Dio verso
il peccatore.
1466 Il confessore non è il padrone, ma il servitore del perdono di Dio. Il
ministro di questo sacramento deve unirsi "all'intenzione e alla carità di
Cristo" [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 13]. Deve avere una
provata conoscenza del comportamento cristiano, l'esperienza delle realtà
umane, il rispetto e la delicatezza nei confronti di colui che è caduto;
deve amare la verità, essere fedele al magistero della Chiesa e condurre con
pazienza il penitente verso la guarigione e la piena maturità. Deve pregare
e fare penitenza per lui, affidandolo alla misericordia del Signore.
1467 Data la delicatezza e la grandezza di questo ministero e il rispetto
dovuto alle persone, la Chiesa dichiara che ogni sacerdote che ascolta le
confessioni è obbligato, sotto pene molto severe, a mantenere un segreto
assoluto riguardo ai peccati che i suoi penitenti gli hanno confessato [Cf
Codice di Diritto Canonico, 1388, 1; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium,
1456]. Non gli è lecito parlare neppure di quanto viene a conoscere,
attraverso la confessione, della vita dei penitenti. Questo segreto, che non
ammette eccezioni, si chiama il "sigillo sacramentale", poiché ciò che il
penitente ha manifestato al sacerdote rimane "sigillato" dal sacramento.
IX. Gli effetti di questo sacramento
1468 "Tutto il valore della penitenza consiste nel restituirci alla grazia
di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia" [Catechismo Romano,
2, 5, 18]. Il fine e l'effetto di questo sacramento sono dunque la
riconciliazione con Dio. In coloro che ricevono il sacramento della
Penitenza con cuore contrito e in una disposizione religiosa, ne conseguono
"la pace e la serenità della coscienza insieme a una vivissima consolazione
dello spirito" [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1674]. Infatti, il
sacramento della riconciliazione con Dio opera una autentica "risurrezione
spirituale", restituisce la dignità e i beni della vita dei figli di Dio, di
cui il più prezioso è l'amicizia di Dio [Cf Lc 15,32 ].
1469 Questo sacramento ci riconcilia con la Chiesa. Il peccato incrina o
infrange la comunione fraterna. Il sacramento della Penitenza la ripara o la
restaura. In questo senso, non guarisce soltanto colui che viene ristabilito
nella comunione ecclesiale, ma ha pure un effetto vivificante sulla vita
della Chiesa che ha sofferto a causa del peccato di uno dei suoi membri [Cf
1Cor 12,26 ]. Ristabilito o rinsaldato nella comunione dei santi, il
peccatore viene fortificato dallo scambio dei beni spirituali tra tutte le
membra vive del Corpo di Cristo, siano esse esse ancora nella condizione di
pellegrini o siano siano già nella patria celeste [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 48-50].
Bisogna aggiungere che tale riconciliazione con Dio ha come conseguenza, per
così dire, altre riconciliazioni, che rimediano ad altrettante rotture,
causate dal peccato: il penitente perdonato si riconcilia con se stesso nel
fondo più intimo del proprio essere, in cui ricupera la propria verità
interiore; si riconcilia con i fratelli, da lui in qualche modo offesi e
lesi; si riconcilia con la Chiesa, si riconcilia con tutto il creato
[Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 31].
1470 In questo sacramento, il peccatore, rimettendosi al giudizio
misericordioso di Dio, anticipa in un certo modo il giudizio al quale sarà
sottoposto al termine di questa vita terrena. E' infatti ora, in questa
vita, che ci è offerta la possibilità di scegliere tra la vita e la morte,
ed è soltanto attraverso il cammino della conversione che possiamo entrare
nel Regno, dal quale il peccato grave esclude [Cf 1Cor 5,11; Gal 5,19-21; Ap
22,15 ]. Convertendosi a Cristo mediante la penitenza e la fede, il
peccatore passa dalla morte alla vita "e non va incontro al giudizio" ( Gv
5,24 ).
X. Le indulgenze
1471 La dottrina e la pratica delle indulgenze nella Chiesa sono
strettamente legate agli effetti del sacramento della Penitenza.
Che cos'è l'indulgenza?
"L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i
peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele,
debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento
della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente
dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi.
L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto
dalla pena temporale dovuta per i peccati" [Paolo VI, Cost. ap.
Indulgentiarum doctrina, Normae 1-3, AAS 59 (1967), 5-24]. Le indulgenze
possono essere applicate ai vivi o ai defunti.
Le pene del peccato
1472 Per comprendere questa dottrina e questa pratica della Chiesa bisogna
tener presente che il peccato ha una duplice conseguenza. Il peccato grave
ci priva della comunione con Dio e perciò ci rende incapaci di conseguire la
vita eterna, la cui privazione è chiamata la "pena eterna" del peccato.
D'altra parte, ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano
alle creature, che ha bisogno di purifica zione, sia quaggiù, sia dopo la
morte, nello stato chiamato Purgatorio. Tale purificazione libera dalla
cosiddetta "pena temporale" del peccato. Queste due pene non devono essere
concepite come una specie di vendetta, che Dio infligge dall'esterno, bensì
come derivanti dalla natura stessa del peccato. Una conversione, che procede
da una fervente carità, può arrivare alla totale purificazione del
peccatore, così che non sussista più alcuna pena [Cf Concilio di Trento:
Denz. -Schönm., 1712-1713; 1820].
1473 Il perdono del peccato e la restaurazione della comunione con Dio
comportano la remissione delle pene eterne del peccato. Rimangono, tuttavia,
le pene temporali del peccato. Il cristiano deve sforzarsi, sopportando
pazientemente le sofferenze e le prove di ogni genere e, venuto il giorno,
affrontando serenamente la morte, di accettare come una grazia queste pene
temporali del peccato; deve impegnarsi, attraverso le opere di misericordia
e di carità, come pure mediante la preghiera e le varie pratiche di
penitenza, a spogliarsi completamente dell'"uomo vecchio" e a rivestire
"l'uomo nuovo" [Cf Ef 4,24 ].
Nella comunione dei santi
1474 Il cristiano che si sforza di purificarsi del suo peccato e di
santificarsi con l'aiuto della grazia di Dio, non si trova solo. "La vita
dei singoli figli di Dio in Cristo e per mezzo di Cristo viene congiunta con
legame meraviglioso alla vita di tutti gli altri fratelli cristiani nella
soprannaturale unità del Corpo mistico di Cristo, fin quasi a formare una
sola mistica persona" [Paolo VI, Cost. ap. Indulgentiarum doctrina, 5].
1475 Nella comunione dei santi "tra i fedeli, che già hanno raggiunto la
patria celeste o che stanno espiando le loro colpe nel Purgatorio, o che
ancora sono pellegrini sulla terra, esiste certamente un vincolo perenne di
carità ed un abbondante scambio di tutti i beni" [Paolo VI, Cost. ap.
Indulgentiarum doctrina, 5]. In questo ammirabile scambio, la santità
dell'uno giova agli altri, ben al di là del danno che il peccato dell'uno ha
potuto causare agli altri. In tal modo, il ricorso alla comunione dei santi
permette al peccatore contrito di essere in più breve tempo e più
efficacemente purificato dalle pene del peccato.
1476 Questi beni spirituali della comunione dei santi sono anche chiamati il
tesoro della Chiesa, che non "si deve considerare come la somma di beni
materiali, accumulati nel corso dei secoli, ma come l'infinito ed
inesauribile valore che le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il
Padre ed offerti perché tutta l'umanità fosse liberata dal peccato e
pervenisse alla comunione con il Padre; è lo stesso Cristo redentore, in cui
sono e vivono le soddisfazioni ed i meriti della sua redenzione" [Paolo VI,
Cost. ap. Indulgentiarum doctrina, 5].
1477 "Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso,
incommensurabile e sempre nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le buone
opere del la beata Vergine Maria e di tutti i santi, i quali, seguendo le
orme di Cristo Signore per grazia sua, hanno santificato la loro vita e
condotto a compimento la missione affidata loro dal Padre; in tal modo,
realizzando la loro salvezza, hanno anche cooperato alla salvezza dei propri
fratelli nell'unità del Corpo mistico" [Paolo VI, Cost. ap. Indulgentiarum
doctrina, 5].
Ottenere l'indulgenza di Dio mediante la Chiesa
1478 L'indulgenza si ottiene mediante la Chiesa che, in virtù del potere di
legare e di sciogliere accordatole da Gesù Cristo, interviene a favore di un
cristiano e gli dischiude il tesoro dei meriti di Cristo e dei santi perché
ottenga dal Padre delle misericordie la remissione delle pene temporali
dovute per i suoi peccati. Così la Chiesa non vuole soltanto venire in aiuto
a questo cristiano, ma anche spingerlo a compiere opere di pietà, di
penitenza e di carità [Cf Paolo VI, Cost. ap. Indulgentiarum doctrina, 8;
Concilio di Trento: Denz. -Schönm. , 1835].
1479 Poiché i fedeli defunti in via di purificazione sono anch'essi membri
della medesima comunione dei santi, noi possiamo aiutarli, tra l'altro,
ottenendo per loro delle indulgenze, in modo tale che siano sgravati dalle
pene temporali dovute per i loro peccati.
XI. La celebrazione del sacramento della Penitenza
1480 Come tutti i sacramenti, la Penitenza è un'azione liturgica. Questi
sono ordinariamente gli elementi della celebrazione: il saluto e la
benedizione del sacerdote, la lettura della Parola di Dio per illuminare la
coscienza e suscitare la contrizione, e l'esortazione al pentimento; la
confessione che riconosce i peccati e li manifesta al sacerdote;
l'imposizione e l'accettazione della penitenza; l'assoluzione da parte del
sacerdote; la lode con rendimento di grazie e il congedo con la benedizione
da parte del sacerdote.
1481 La liturgia bizantina usa più formule di assoluzione, a carattere
deprecativo, le quali mirabilmente esprimono il mistero del perdono: "Il Dio
che, attraverso il profeta Natan, ha perdonato a Davide quando confessò i
propri peccati, e a Pietro quando pianse amaramente, e alla peccatrice
quando versò lacrime sui suoi piedi, e al pubblicano e al prodigo, questo
stesso Dio ti perdoni, attraverso me, peccatore, in questa vita e
nell'altra, e non ti condanni quando apparirai al suo tremendo tribunale,
egli che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen".
1482 Il sacramento della Penitenza può anche aver luogo nel quadro di una
celebrazione comunitaria, nella quale ci si prepara insieme alla confessione
e insieme si rende grazie per il perdono ricevuto. In questo caso, la
confessione personale dei peccati e l'assoluzione individuale sono inserite
in una liturgia della Parola di Dio, con letture e omelia, esame di
coscienza condotto in comune, richiesta comunitaria del perdono, preghiera
del "Padre Nostro" e ringraziamento comune. Tale celebrazione comunitaria
esprime più chiaramente il carattere ecclesiale della penitenza. Tuttavia,
in qualunque modo venga celebrato, il sacramento della Penitenza è sem pre,
per sua stessa natura, un'azione liturgica, quindi ecclesiale e pubblica [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 26-27].
1483 In casi di grave necessità si può ricorrere alla celebrazione
comunitaria della riconciliazione con confessione generale e assoluzione
generale. Tale grave necessità può presentarsi qualora vi sia un imminente
pericolo di morte senza che il o i sacerdoti abbiano il tempo sufficiente
per ascoltare la confessione di ciascun penitente. La necessità grave può
verificarsi anche quando, in considerazione del numero dei penitenti, non vi
siano confessori in numero sufficiente per ascoltare debitamente le
confessioni dei singoli entro un tempo ragionevole, così che i penitenti,
senza loro colpa, rimarrebbero a lungo privati della grazia sacramentale o
della santa Comunione. In questo caso i fedeli, perché sia valida
l'assoluzione, devono fare il proposito di confessare individualmente i
propri peccati gravi a tempo debito [Cf Codice di Diritto Canonico, 962, 1].
Spetta al vescovo diocesano giudicare se ricorrano le condizioni richieste
per l'assoluzione generale [Cf Codice di Diritto Canonico, 962, 1]. Una
considerevole affluenza di fedeli in occasione di grandi feste o di
pellegrinaggi non costituisce un caso di tale grave necessità [Cf Codice di
Diritto Canonico, 962, 1].
1484 "La confessione individuale e completa, con la relativa assoluzione,
resta l'unico modo ordinario grazie al quale i fedeli si riconciliano con
Dio e con la Chiesa, a meno che un'impossibilità fisica o morale non li
dispensi da una tale confessione" [Rituale romano, Rito della penitenza,
31]. Ciò non è senza motivazioni profonde. Cristo agisce in ogni sacramento.
Si rivolge personalmente a ciascun peccatore: "Figliolo, ti sono rimessi i
tuoi peccati" ( Mc 2,5 ); è il medico che si china su ogni singolo ammalato
che ha bisogno di lui [Cf Mc 2,17 ] per guarirlo; lo rialza e lo reintegra
nella comunione fraterna. La confessione personale è quindi la forma più
significativa della riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
In sintesi
1485 La sera di Pasqua, il Signore Gesù si mostrò ai suoi Apostoli e disse
loro: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno
rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" ( Gv 20,22-23 ).
1486 Il perdono dei peccati commessi dopo il Battesimo è accordato mediante
un sacramento apposito chiamato sacramento della conversione, della
confessione, della penitenza o della riconciliazione.
1487 Colui che pecca ferisce l'onore di Dio e il suo amore, la propria
dignità di uomo chiamato ad essere figlio di Dio e la salute spirituale
della Chiesa di cui ogni cristiano deve essere una pietra viva.
1488 Agli occhi della fede, nessun male è più grave del peccato, e niente ha
conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo
intero.
1489 Ritornare alla comunione con Dio dopo averla perduta a causa del
peccato, è un movimento nato dalla grazia di Dio ricco di misericordia e
sollecito per la salvezza degli uomini. Bisogna chiedere questo dono
prezioso per sé come per gli altri.
1490 Il cammino di ritorno a Dio, chiamato conversione e pentimento, implica
un dolore e una repulsione per i peccati commessi, e il fermo proposito di
non peccare più in avvenire. La conversione riguarda dunque il passato e il
futuro; essa si nutre della speranza nella misericordia divina.
1491 Il sacramento della Penitenza è costituito dall'insieme dei tre atti
compiuti dal penitente, e dall'assoluzione da parte del sacerdote. Gli atti
del penitente sono: il pentimento, la confessione o manifestazione dei
peccati al sacerdote e il proposito di compiere la soddisfazione e le opere
di soddisfazione.
1492 Il pentimento (chiamato anche contrizione) deve essere ispirato da
motivi dettati dalla fede. Se il pentimento nasce dall'amore di carità verso
Dio, lo si dice "perfetto"; se è fondato su altri motivi, lo si chiama
"imperfetto".
1493 Colui che vuole ottenere la riconciliazione con Dio e con la Chiesa,
deve confessare al sacerdote tutti i peccati gravi che ancora non ha
confessato e di cui si ricorda dopo aver accuratamente esaminato la propria
coscienza. Sebbene non sia in sé necessaria, la confessione delle colpe
veniali è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa.
1494 Il confessore propone al penitente il compimento di certi atti di
"soddisfazione" o di "penitenza", al fine di riparare il danno causato dal
peccato e ristabilire gli atteggiamenti consoni al discepolo di Cristo.
1495 Soltanto i sacerdoti che hanno ricevuto dall'autorità della Chiesa la
facoltà di assolvere possono perdonare i peccati nel nome di Cristo.
1496 Gli effetti spirituali del sacramento della Penitenza sono: - la
riconciliazione con Dio mediante la quale il penitente ricupera la grazia; -
la riconciliazione con la Chiesa; - la remissione della pena eterna meritata
a causa dei peccati mortali; - la remissione, almeno in parte, delle pene
temporali, conseguenze del peccato; - la pace e la serenità della coscienza,
e la consolazione spirituale; - l'accrescimento delle forze spirituali per
il combattimento cristiano.
1497 La confessione individuale e completa dei peccati gravi seguita
dall'assoluzione rimane l'unico mezzo ordinario per la riconciliazione con
Dio e con la Chiesa.
1498 Mediante le indulgenze i fedeli possono ottenere per se stessi, e anche
per le anime del Purgatorio, la remissione delle pene temporali, conseguenze
dei peccati.
Articolo 5
L'UNZIONE DEGLI INFERMI
1499 "Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei presbiteri,
tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato,
perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi
spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al
bene del popolo di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11].
I. Suoi fondamenti nell'Economia della Salvezza
La malattia nella vita umana
1500 La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi
che mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l'uomo fa l'esperienza
della propria impotenza, dei propri limiti e della propria finitezza. Ogni
malattia può farci intravvedere la morte.
1501 La malattia può condurre all'angoscia, al ripiegamento su di sé,
talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può
anche rendere la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria
vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è. Molto spesso
la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui.
Il malato di fronte a Dio
1502 L'uomo dell'Antico Testamento vive la malattia di fronte a Dio. E'
davanti a Dio che egli versa le sue lacrime sulla propria malattia; [Cf Sal
38 ] è da lui, il Signore della vita e della morte, che egli implora la
guarigione [Cf Sal 6,3; Is 38 ]. La malattia diventa cammino di conversione
[Cf Sal 38,5; 1502 Sal 39,9; Sal 38,12 ] e il perdono di Dio dà inizio alla
guarigione [Cf Sal 32,5; Sal 107,20; 1502 Mc 2,5-12 ]. Israele sperimenta
che la malattia è legata, in un modo misterioso, al peccato e al male, e che
la fedeltà a Dio, secondo la sua Legge, ridona la vita: "perché io sono il
Signore, colui che ti guarisce!" ( Es 15,26 ). Il profeta intuisce che la
sofferenza può anche avere un valore redentivo per i peccati altrui [Cf Is
53,11 ]. Infine Isaia annuncia che Dio farà sorgere per Sion un tempo in cui
perdonerà ogni colpa e guarirà ogni malattia [Cf Is 33,24 ].
Cristo-medico
1503 La compassione di Cristo verso i malati e le sue numerose guarigioni di
infermi di ogni genere [Cf Mt 4,24 ] sono un chiaro segno del fatto che "Dio
ha visitato il suo popolo" ( Lc 7,16 ) e che il Regno di Dio è vicino. Gesù
non ha soltanto il potere di guarire, ma anche di perdonare i peccati: [Cf
Mc 2,5-12 ] è venuto a guarire l'uomo tutto intero, anima e corpo; è il
medico di cui i malati hanno bisogno [Cf Mc 2,17 ]. La sua compassione verso
tutti coloro che soffrono si spinge così lontano che egli si identifica con
loro: "Ero malato e mi avete visitato" ( Mt 25,36 ). Il suo amore di
predilezione per gli infermi non ha cessato, lungo i secoli, di rendere i
cristiani particolarmente premurosi verso tutti coloro che soffrono nel
corpo e nello spirito. Essa sta all'origine degli instancabili sforzi per
alleviare le loro pene.
1504 Spesso Gesù chiede ai malati di credere [Cf Mc 5,34; Mc 5,36; Mc 9,23
]. Si serve di segni per guarire: saliva e imposizione delle mani, [Cf Mc
7,32-36; Mc 8,22-25 ] fango e abluzione [Cf Gv 9,6 s]. I malati cercano di
toccarlo [Cf Mc 1,41; Mc 3,10; Mc 6,56 ] "perché da lui usciva una forza che
sanava tutti" ( Lc 6,19 ). Così, nei sacramenti, Cristo continua a
"toccarci" per guarirci.
1505 Commosso da tante sofferenze, Cristo non soltanto si lascia toccare dai
malati, ma fa sue le loro miserie: "Egli ha preso le nostre infermità e si è
addossato le nostre malattie" ( Mt 8,17 ) [Cf Is 53,4 ]. Non ha guarito però
tutti i malati. Le sue guarigioni erano segni della venuta del Regno di Dio.
Annunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul peccato e sulla
morte attraverso la sua Pasqua. Sulla croce, Cristo ha preso su di sé tutto
il peso del male [Cf Is 53,4-6 ] e ha tolto il "peccato del mondo" ( Gv 1,29
), di cui la malattia non è che una conseguenza. Con la sua passione e la
sua morte sulla Croce, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza: essa
può ormai configurarci a lui e unirci alla sua passione redentrice.
"Guarite gli infermi..."
1506 Cristo invita i suoi discepoli a seguirlo prendendo anch'essi la loro
croce [Cf Mt 10,38 ]. A_ Seguendolo, assumono un nuovo modo di vedere la
malattia e i malati. Gesù li associa alla sua vita di povertà e di servizio.
Li rende partecipi del suo ministero di compassione e di guarigione: "E
partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni,
ungevano di olio molti infermi e li guarivano" ( Mc 6,12-13 ).
1507 Il Signore risorto rinnova questo invio (Nel mio nome. . . imporranno
le mani ai malati e questi guariranno": Mc 16,17-18 ) e lo conferma per
mezzo dei segni che la Chiesa compie invocando il suo nome. Questi segni
manifestano in modo speciale che Gesù è veramente "Dio che salva".
1508 Lo Spirito Santo dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione per
manifestare la forza della grazia del Risorto. Tuttavia, neppure le
preghiere più intense ottengono la guarigione di tutte le malattie. Così san
Paolo deve imparare dal Signore che "ti basta la mia grazia; la mia potenza
infatti si manifesta pienamente nella debolezza" ( 2Cor 12,9 ), e che le
sofferenze da sopportare possono avere come senso quello per cui "io
completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del
suo corpo che è la Chiesa" ( Col 1,24 ).
1509 "Guarite gli infermi!" ( Mt 10,8 ). Questo compito la Chiesa l'ha
ricevuto dal Signore e cerca di attuarlo sia attraverso le cure che presta
ai malati sia mediante la preghiera di intercessione con la quale li
accompagna. Essa crede nella presenza vivificante di Cristo, medico delle
anime e dei corpi. Questa presenza è particolarmente operante nei sacramenti
e in modo tutto speciale nell'Eucaristia, pane che dà la vita eterna e al
cui legame con la salute del corpo san Paolo allude.
1510 La Chiesa apostolica conosce tuttavia un rito specifico in favore degli
infermi, attestato da san Giacomo: "Chi è malato, chiami a sé i presbiteri
della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del
Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo
rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati" ( Gc 5,14-15 ).
La Tradizione ha riconosciuto in questo rito uno dei sette sacramenti della
Chiesa [Cf Innocenzo I, Lettera Si instituta ecclesiastica: Denz. -Schönm.,
216; Concilio di Fi- renze: ibid. , 1324-1325; Concilio di Trento: ibid.,
1695-1696; 1716-1717].
Un sacramento degli infermi
1511 La Chiesa crede e professa che esiste, tra i sette sacramenti, un
sacramento destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati
dalla malattia: l'Unzione degli infermi:
Questa unzione sacra dei malati è stata istituita come vero e proprio
sacramento del Nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo. Accennato da
Marco, è stato raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e
fratello del Signore [Concilio di Trento: Denz. - Schönm., 1695; cf Mc 6,13;
1511 Gc 5,14-15 ].
1512 Nella tradizione liturgica, tanto in Oriente quanto in Occidente, si
hanno fin dall'antichità testimonianze di unzioni di infermi praticate con
olio benedetto. Nel corso dei secoli, l'Unzione degli infermi è stata
conferita sempre più esclusivamente a coloro che erano in punto di morte.
Per questo motivo aveva ricevuto il nome di "Estrema Unzione". Malgrado
questa evoluzione la Liturgia non ha mai tralasciato di pregare il Signore
affinché il malato riacquisti la salute, se ciò può giovare alla sua
salvezza [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1696].
1513 La Costituzione apostolica "Sacram unctionem infirmorum" del 30
novembre 1972, in linea con il Concilio Vaticano II [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 73] ha stabilito che, per l'avvenire, sia osservato
nel rito romano quanto segue:
Il sacramento dell'Unzione degli infermi viene conferito ai malati in grave
pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto
- olio di oliva o altro olio vegetale - dicendo una sola volta: "Per questa
santa unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la
grazia dello Spirito Santo, e liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua
bontà ti sollevi" [Paolo VI, Cost. ap. Sacram unctionem infirmorum; cf
Codice di Diritto Canonico, 847, 1.].
II. Chi riceve e chi amministra questo sacramento?
In caso di malattia grave. . .
1514 L'Unzione degli infermi "non è il sacramento di coloro soltanto che
sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverla si ha
certamente già quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, incomincia ad
essere in pericolo di morte" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium,
73; cf Codice di Diritto Canonico, 1004, 1; 1005; 1007; Corpus Canonum
Ecclesiarum Orientalium, 738].
1515 Se un malato che ha ricevuto l'Unzione riacquista la salute, può, in
caso di un'altra grave malattia, ricevere nuovamente questo sacramento. Nel
corso della stessa malattia il sacramento può essere ripetuto se si verifica
un peggioramento. E' opportuno ricevere l'Unzione degli infermi prima di un
intervento chirurgico rischioso. Lo stesso vale per le persone anziane la
cui debolezza si accentua.
"... chiami a sé i presbiteri della Chiesa"
1516 Soltanto i sacerdoti (vescovi e presbiteri) sono i ministri
dell'Unzione degli infermi [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1697;
1719; Codice di Diritto Canonico, 1003; Corpus Canonum Ecclesiarum
Orientalium, 739, 1]. E' dovere dei pastori istruire i fedeli sui benefici
di questo sacramento. I fedeli incoraggino i malati a ricorrere al sacerdote
per ricevere tale sacramento. I malati si preparino a riceverlo con buone
disposizioni, aiutati dal loro pastore e da tutta la comunità ecclesiale,
che è invitata a circondare in modo tutto speciale i malati con le sue
preghiere e le sue attenzioni fraterne.
III. Come si celebra questo sacramento?
1517 Come tutti i sacramenti, l'Unzione degli infermi è una celebrazione
liturgica e comunitaria, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium,
27] sia che abbia luogo in famiglia, all'ospedale o in chiesa, per un solo
malato o per un gruppo di infermi. E' molto opportuno che sia celebrata
durante l'Eucaristia, memoriale della Pasqua del Signore. Se le circostanze
lo consigliano, la celebrazione del sacramento può essere preceduta dal
sacramento della Penitenza e seguita da quello dell'Eucaristia. In quanto
sacramento della Pasqua di Cristo, l'Eucaristia dovrebbe sempre essere
l'ultimo sacramento del pellegrinaggio terreno, il "viatico" per il
"passaggio" alla vita eterna.
1518 Parola e sacramento costituiscono un tutto inseparabile. La Liturgia
della Parola, preceduta da un atto penitenziale, apre la celebrazione. Le
parole di Cristo, la testimonianza degli Apostoli ravvivano la fede del
malato e della comunità per chiedere al Signore la forza del suo Spirito.
1519 La celebrazione del sacramento comprende principalmente i seguenti
elementi: "i presbiteri della Chiesa" ( Gc 5,14 ) impongono - in silenzio le
mani ai malati; pregano sui malati nella fede della Chiesa: [Cf Gc 5,15 ] è
l'epiclesi propria di questo sacramento; quindi fanno l'unzione con l'olio,
benedetto, possibilmente, dal vescovo.
Queste azioni liturgiche indicano quale grazia tale sacramento conferisce ai
malati.
IV. Gli effetti della celebrazione di questo sacramento 1520 _
1520 Un dono particolare dello Spirito Santo. La grazia fondamentale di
questo sacramento è una grazia di conforto, di pace e di coraggio per
superare le difficoltà proprie dello stato di malattia grave o della
fragilità della vecchiaia. Questa grazia è un dono dello Spirito Santo che
rinnova la fiducia e la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del
maligno, cioè contro la tentazione di scoraggiamento e di angoscia di fronte
alla morte [Cf Eb 2,15 ]. Questa assistenza del Signore attraverso la forza
del suo Spirito vuole portare il malato alla guarigione dell'anima, ma anche
a quella del corpo, se tale è la volontà di Dio [Cf Concilio di Firenze:
Denz. -Schönm., 1325]. Inoltre, "se ha commesso peccati, gli saranno
perdonati" ( Gc 5,15 ) [Cf Concilio di Trento: ibid., 1717].
1521 L' unione alla Passione di Cristo. Per la grazia di questo sacramento
il malato riceve la forza e il dono di unirsi più intimamente alla passione
di Cristo: egli viene in certo qual modo consacrato per portare frutto
mediante la configurazione alla Passione redentrice del Salvatore. La
sofferenza, conseguenza del peccato originale, riceve un senso nuovo:
diviene partecipazione all'opera salvifica di Gesù.
1522 Una grazia ecclesiale. I malati che ricevono questo sacramento,
unendosi "spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo",
contribuiscono "al bene del popolo di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 11]. Celebrando questo sacramento, la Chiesa, nella comunione dei
santi, intercede per il bene del malato. E l'infermo, a sua volta, per la
grazia di questo sacramento, contribuisce alla santificazione della Chiesa e
al bene di tutti gli uomini per i quali la Chiesa soffre e si offre, per
mezzo di Cristo, a Dio Padre.
1523 Una preparazione all'ultimo passaggio. Se il sacramento dell'Unzione
degli infermi è conferito a tutti coloro che soffrono di malattie e di
infermità gravi, a maggior ragione è dato a coloro che stanno per uscire da
questa vita (in exitu vitae constituti"), per cui lo si è anche chiamato
"sacramentum exeuntium" [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1698].
L'Unzione degli infermi porta a compimento la nostra conformazione alla
Morte e alla Risurrezione di Cristo, iniziata dal Battesimo. Essa completa
le sante unzioni che segnano tutta la vita cristiana; quella del Battesimo
aveva suggellato in noi la vita nuova; quella della Confermazione ci aveva
fortificati per il combattimento di questa vita. Quest'ultima unzione
munisce la fine della nostra esistenza terrena come di un solido baluardo in
vista delle ultime lotte prima dell'ingresso nella Casa del Padre [Cf ibid.,
1694].
V. Il viatico, ultimo sacramento del cristiano
1524 A coloro che stanno per lasciare questa vita, la Chiesa offre, oltre
all'Unzione degli infermi, l'Eucaristia come viatico. Ricevuta in questo
momento di passaggio al Padre, la Comunione al Corpo e al Sangue di Cristo
ha un significato e un'importanza particolari. E' seme di vita eterna e
potenza di risurrezione, secondo le parole del Signore: "Chi mangia la mia
carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo
giorno" ( Gv 6,54 ). Sacramento di Cristo morto e risorto, l'Eucaristia è,
qui, sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al
Padre [Cf Gv 13,1 ].
1525 Come i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell'Eucaristia
costituiscono una unità chiamata "i sacramenti dell'iniziazione cristiana",
così si può dire che la Penitenza, la Sacra Unzione e l'Eucaristia, in
quanto viatico, costituiscono, al termine della vita cristiana, "i
sacramenti che preparano alla Patria" o i sacramenti che concludono il
pellegrinaggio terreno.
In sintesi
1526 "Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di
lui, dopo averlo unto con olio,
nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il
Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati"( Gc
5,14-15 ).
1527 Il sacramento dell'Unzione degli infermi ha lo scopo di conferire una
grazia speciale al cristiano che sperimenta le difficoltà inerenti allo
stato di malattia grave o alla vecchiaia.
1528 Il momento opportuno per ricevere la sacra Unzione è certamente quello
in cui il fedele comincia a trovarsi in pericolo di morte per malattia o
vecchiaia.
1529 Ogni volta che un cristiano cade gravemente malato, può ricevere la
sacra Unzione, come pure quando, dopo averla già ricevuta, si verifica un
aggravarsi della malattia.
1530 Soltanto i sacerdoti (presbiteri e vescovi) possono amministrare il
sacramento dell'Unzione degli infermi; per conferirlo usano olio benedetto
dal vescovo, o, all'occorrenza, dallo stesso presbitero celebrante.
1531 L'essenziale della celebrazione di questo sacramento consiste
nell'unzione sulla fronte e sulle mani del malato (nel rito romano) o su
altre parti del corpo (in Oriente), unzione accompagnata dalla preghiera
liturgica del sacerdote celebrante che implora la grazia speciale di questo
sacramento.
1532 La grazia speciale del sacramento dell'Unzione degli infermi ha come
effetti:
- l'unione del malato alla passione di Cristo, per il suo bene e per quello
di tutta la Chiesa;
- il conforto, la pace e il coraggio per sopportare cristianamente le
sofferenze della malattia o della vecchiaia;
- il perdono dei peccati, se il malato non ha potuto ottenerlo con il
sacramento della Penitenza;
- il recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale;
- la preparazione al passaggio alla vita eterna.
PARTE SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE SECONDA - "I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA"
CAPITOLO TERZO - I SACRAMENTI DEL SERVIZIO DELLA COMUNIONE
1533 Il Battesimo, la Confermazione e l'Eucaristia sono i sacramenti
dell'iniziazione cristiana. Essi fondano la vocazione comune di tutti i
discepoli di Cristo, vocazione alla santità e alla missione di evangelizzare
il mondo. Conferiscono le grazie necessarie per vivere secondo lo Spirito in
questa vita di pellegrini in cammino verso la patria.
1534 Due altri sacramenti, l'Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla
salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo
avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione
particolare nella Chiesa e servono all'edificazione del popolo di Dio.
1535 In questi sacramenti, coloro che sono già stati consacrati mediante il
Battesimo e la Confermazione per il sacerdozio comune di tutti i fedeli, [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10] possono ricevere consacrazioni
particolari. Coloro che ricevono il sacramento dell'Ordine sono consacrati
per essere "posti, in nome di Cristo, a pascere la Chiesa con la parola e la
grazia di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11]. Da parte loro, "i
coniugi cristiani sono corroborati e come consacrati da uno speciale
sacramento per i doveri e la dignità del loro stato" [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 48].
Articolo 6
IL SACRAMENTO DELL'ORDINE
1536 L'Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo
ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine
dei tempi: è, dunque, il sacramento del ministero apostolico. Comporta tre
gradi: l'episcopato, il presbiterato e il diaconato.
[Per l'istituzione e la missione del ministero apostolico da parte di
Cristo, vedi sotto. Qui si tratta soltanto della via sacramentale attraverso
la quale tale ministero viene trasmesso].
I. Perché il nome di sacramento dell'Ordine?
1537 La parola Ordine, nell'antichità romana, designava dei corpi costituiti
in senso civile, soprattutto il corpo di coloro che governano. "Ordinatio" -
ordinazione - indica l'integrazione in un "ordo" - ordine -. Nella Chiesa ci
sono corpi costituiti che la Tradizione, non senza fondamenti
scritturistici, [Cf Eb 5,6; Eb 7,11; Sal 110,4 ] chiama sin dai tempi
antichi con il nome di "taxeis" (in greco), di "ordines": così la Liturgia
parla dell'"ordo episcoporum" - ordine dei vescovi, - dell'"ordo
presbyterorum" - ordine dei presbiteri - dell'"ordo diaconorum" - ordine dei
diaconi. Anche altri gruppi ricevono questo nome di "ordo": i catecumeni, le
vergini, gli sposi, le vedove. . .
1538 L'integrazione in uno di questi corpi ecclesiali avveniva con un rito
chiamato ordinatio, atto religioso e liturgico che consisteva in una
consacrazione, una benedizione o un sacramento. Oggi la parola "ordinatio" è
riservata all'atto sacramentale che integra nell'ordine dei vescovi, dei
presbiteri e dei diaconi e che va al di là di una semplice elezione,
designazione, delega o istituzione da parte della comunità, poiché
conferisce un dono dello Spirito Santo che permette di esercitare una
"potestà sacra" (sacra potestas"), [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
10] la quale non può venire che da Cristo stesso, mediante la sua Chiesa.
L'ordinazione è chiamata anche "consecratio" - consacrazione - poiché è una
separazione e una investitura da parte di Cristo stesso, per la sua Chiesa.
L' imposizione delle mani del vescovo, insieme con la preghiera
consacratoria, costituisce il segno visibile di tale consacrazione.
II. Il sacramento dell'Ordine
nell'Economia della Salvezza
Il sacerdozio dell'Antica Alleanza
1539 Il popolo eletto fu costituito da Dio come "un regno di sacerdoti e una
nazione santa" ( Es 19,6 ) [Cf Is 61,6 ]. Ma all'interno del popolo di
Israele, Dio scelse una delle dodici tribù, quella di Levi, riservandola per
il servizio liturgico; [Cf Nm 1,48-53 ] Dio stesso è la sua parte di eredità
[Cf Gs 13,33 ]. Un rito proprio ha consacrato le origini del sacerdozio
dell'Antica Alleanza [Cf Es 29,1-30; Lv 8 ]. In essa i sacerdoti sono
costituiti "per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per
offrire doni e sacrifici per i peccati" [Cf Eb 5,1 ].
1540 Istituito per annunciare la Parola di Dio [Cf Ml 2,7-9 ] e per
ristabilire la comunione con Dio mediante i sacrifici e la preghiera, tale
sacerdozio è tuttavia impotente a operare la salvezza, avendo bisogno di
offrire continuamente sacrifici e non potendo portare ad una santificazione
definitiva, [Cf Eb 5,3; Eb 7,27; Eb 10,1-4 ] che soltanto il sacrificio di
Cristo avrebbe operato.
1541 La Liturgia della Chiesa vede tuttavia nel sacerdozio di Aronne e nel
servizio dei leviti, come pure nell'istituzione dei settanta "Anziani", [Cf
Nm 11,24-25 ] delle prefigurazioni del ministero ordinato della Nuova
Alleanza. Così, nel rito latino, la Chiesa si esprime nella preghiera
consacratoria dell'ordinazione dei vescovi:
O Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. . . Con la parola di salvezza
hai dato norme di vita nella tua Chiesa: tu, dal principio, hai eletto
Abramo come padre dei giusti, hai costituito capi e sacerdoti per non
lasciare mai senza ministero il tuo santuario. . [Pontificale romano,
Ordinazione del Vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, 52].
1542 Nell'ordinazione dei sacerdoti, la Chiesa prega:
Signore, Padre santo. . . Nell'Antica Alleanza presero forma e figura vari
uffici istituiti per il servizio liturgico. A Mosè e ad Aronne, da te
prescelti per reggere e santificare il tuo popolo, associasti collaboratori
che li seguivano nel grado e nella dignità. Nel cammino dell'esodo
comunicasti a settanta uomini saggi e prudenti lo spirito di Mosè tuo servo,
perché egli potesse guidare più agevolmente con il loro aiuto il tuo popolo.
Tu rendesti partecipi i figli di Aronne della pienezza del loro padre,
perché non mancasse mai nella tua tenda il servizio sacerdotale [Pontificale
romano, Ordinazione del Vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, 52].
1543 E nella preghiera consacratoria per l'ordinazione dei diaconi, la
Chiesa confessa:
Dio onnipotente. . . Tu hai formato la Chiesa. . . hai disposto che mediante
i tre gradi del ministero da te istituito cresca e si edifichi il nuovo
tempio, come in antico scegliesti i figli di Levi a servizio del tabernacolo
santo [Pontificale romano, Ordinazione del Vescovo, dei presbiteri e dei
diaconi, 52].
L'unico sacerdozio di Cristo
1544 Tutte le prefigurazioni del sacerdozio dell'Antica Alleanza trovano il
loro compimento in Cristo Gesù, unico "mediatore tra Dio e gli uomini" ( 1Tm
2,5 ). Melchisedek, "sacerdote del Dio altissimo" ( Gen 14,18 ), è
considerato dalla Tradizione cristiana come una prefigurazione del
sacerdozio di Cristo, unico "sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek" (
Eb 5,10; Eb 6,20 ), "santo, innocente, senza macchia" ( Eb 7,26 ), il quale
"con un'unica oblazione. . . ha reso perfetti per sempre quelli che vengono
santificati" ( Eb 10,14 ), cioè con l'unico sacrificio della sua croce.
1545 Il sacrificio redentore di Cristo è unico, compiuto una volta per
tutte. Tuttavia è reso presente nel sacrificio eucaristico della Chiesa. Lo
stesso vale per l'unico sacerdozio di Cristo: esso è reso presente dal
sacerdozio ministeriale senza che venga diminuita l'unicità del sacerdozio
di Cristo. "Infatti solo Cristo è il vero sacerdote, mentre gli altri sono i
suoi ministri" [San Tommaso d'Aquino, In ad Hebraeos, 7, 4].
Due partecipazioni all'unico sacerdozio di Cristo
1546 Cristo, sommo sacerdote e unico mediatore, ha fatto della Chiesa "un
Regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" ( Ap 1,6 ) [Cf Ap 5,9-10; 1Pt
2,5; 1546 1Pt 2,9 ].
Tutta la comunità dei credenti è, come tale, sacerdotale. I fedeli
esercitano il loro sacerdozio battesimale attraverso la partecipazione,
ciascuno secondo la vocazione sua propria, alla missione di Cristo,
Sacerdote, Profeta e Re. E' per mezzo dei sacramenti del Battesimo e della
Confermazione che i fedeli "vengono consacrati a formare... un sacerdozio
santo" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10].
1547 Il sacerdozio ministeriale o gerarchico dei vescovi e dei sacerdoti e
il sacerdozio comune di tutti i fedeli, anche se "l'uno e l'altro, ognuno a
suo proprio modo, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo", differiscono
tuttavia essenzialmente, pur essendo "ordinati l'uno all'altro" [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 10]. In che senso? Mentre il sacerdozio comune dei
fedeli si realizza nello sviluppo della grazia battesimale - vita di fede,
di speranza e di carità, vita secondo lo Spirito - il sacerdozio
ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo
della grazia battesimale di tutti i cristiani. E' uno dei mezzi con i quali
Cristo continua a costruire e a guidare la sua Chiesa. Proprio per questo
motivo viene trasmesso mediante un sacramento specifico, il sacramento
dell'Ordine.
In persona di Cristo Capo
1548 Nel servizio ecclesiale del ministero ordinato è Cristo stesso che è
presente alla sua Chiesa in quanto Capo del suo Corpo, Pastore del suo
gregge, Sommo Sacerdote del sacrificio redentore, Maestro di Verità. E' ciò
che la Chiesa esprime dicendo che il sacerdote, in virtù del sacramento
dell'Ordine, agisce "in persona Christi capitis" - in persona di Cristo
Capo: [Cf Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10; 28; Id., Sacrosanctum concilium, 33; Id. ,
Christus Dominus, 11; Id. , Presbyterorum ordinis, 2; 6]
E' il medesimo Sacerdote, Cristo Gesù, di cui realmente il ministro fa le
veci. Costui se, in forza della consacrazione sacerdotale che ha ricevuto, è
in verità assimilato al Sommo Sacerdote, gode della potestà di agire con la
potenza dello stesso Cristo che rappresenta (virtute ac persona ipsius
Christi") [Pio XII, Lett. enc. Mediator Dei]. Cristo è la fonte di ogni
sacerdozio: infatti il sacerdote della Legge [Antica] era figura di lui,
mentre il sacerdote della nuova Legge agisce in persona di lui [San Tommaso
d'Aquino, Summa theologiae, III, 22, 4].
1549 Attraverso il ministero ordinato, specialmente dei vescovi e dei
sacerdoti, la presenza di Cristo quale Capo della Chiesa è resa visibile in
mezzo alla comunità dei credenti [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
21]. Secondo la bella espressione di sant'Ignazio di Antiochia, il vescovo è
" typos tou Patros ", è come l'immagine vivente di Dio Padre [Sant'Ignazio
di Antiochia, Epistula ad Trallianos, 3, 1; cf Epistula ad Magnesios, 6, 1].
1550 Questa presenza di Cristo nel ministro non deve essere intesa come se
costui fosse premunito contro ogni debolezza umana, lo spirito di dominio,
gli errori, persino il peccato. La forza dello Spirito Santo non garantisce
nello stesso modo tutti gli atti dei ministri. Mentre nell'amministrazione
dei sacramenti viene data questa garanzia, così che neppure il peccato del
ministro può impedire il frutto della grazia, esistono molti altri atti in
cui l'impronta umana del ministro lascia tracce che non sono sempre il segno
della fedeltà al Vangelo e che di conseguenza possono nuocere alla fecondità
apostolica della Chiesa.
1551 Questo sacerdozio è ministeriale . "Questo ufficio che il Signore ha
affidato ai pastori del suo popolo è un vero servizio " [Conc. Ecum. Vat.
II, Lumen gentium, 24]. Esso è interamente riferito a Cristo e agli uomini.
Dipende interamente da Cristo e dal suo unico sacerdozio ed è stato
istituito in favore degli uomini e della comunità della Chiesa. Il
sacramento dell'Ordine comunica "una potestà sacra", che è precisamente
quella di Cristo. L'esercizio di tale autorità deve dunque misurarsi sul
modello di Cristo, che per amore si è fatto l'ultimo e il servo di tutti [Cf
Mc 10,43-45; 1Pt 5,3 ]. "Il Signore ha esplicitamente detto che la
sollecitudine per il suo gregge era una prova di amore verso di lui" [San
Giovanni Crisostomo, De sacerdotio, 2, 4: PG 48, 635D; cf Gv 21,15-17 ].
"A nome di tutta la Chiesa"
1552 Il sacerdozio ministeriale non ha solamente il compito di rappresentare
Cristo - Capo della Chiesa - di fronte all'assemblea dei fedeli; esso agisce
anche a nome di tutta la Chiesa allorché presenta a Dio la preghiera della
Chiesa [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 33] e soprattutto
quando offre il sacrificio eucaristico [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 10].
1553 "A nome di tutta la Chiesa". Ciò non significa che i sacerdoti siano i
delegati della comunità. La preghiera e l'offerta della Chiesa sono
inseparabili dalla preghiera e dall'offerta di Cristo, suo Capo. E' sempre
il culto di Cristo nella e per mezzo della sua Chiesa. E' tutta la Chiesa,
Corpo di Cristo, che prega e si offre, "per ipsum et cum ipso et in ipso" -
per lui, con lui e in lui - nell'unità dello Spirito Santo, a Dio Padre.
Tutto il Corpo, "caput et membra" - capo e membra - prega e si offre; per
questo coloro che, nel Corpo, sono i ministri in senso proprio, vengono
chiamati ministri non solo di Cristo, ma anche della Chiesa. Proprio perché
rappresenta Cristo, il sacerdozio ministeriale può rappresentare la Chiesa.
III. I tre gradi del sacramento dell'Ordine
1554 "Il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in
diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi,
presbiteri, diaconi" [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10]. La
dottrina cattolica, espressa nella Liturgia, nel magistero e nella pratica
costante della Chiesa, riconosce che esistono due gradi di partecipazione
ministeriale al sacerdozio di Cristo: l'episcopato e il presbiterato. Il
diaconato è finalizzato al loro aiuto e al loro servizio. Per questo il
termine " sacerdos " - sacerdote - designa, nell'uso attuale, i vescovi e i
presbiteri, ma non i diaconi. Tuttavia, la dottrina cattolica insegna che i
gradi di partecipazione sacerdotale (episcopato e presbiterato) e il grado
di servizio (diaconato) sono tutti e tre conferiti da un atto sacramentale
chiamato "ordinazione", cioè dal sacramento dell'Ordine:
Tutti rispettino i diaconi come lo stesso Gesù Cristo, e il vescovo come
l'immagine del Padre, e i presbiteri come il senato di Dio e come il
collegio apostolico: senza di loro non c'è Chiesa [ Sant'Ignazio di
Antiochia, Epistula ad Trallianos, 3, 1].
L'ordinazione episcopale - pienezza
del sacramento dell'Ordine
1555 "Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella
Chiesa, secondo la testimonianza della Tradizione, tiene il primo posto
l'ufficio di quelli che, costituiti nell'episcopato, per successione che
risale all'origine, possiedono i tralci del seme apostolico" [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 20].
1556 Per adempiere alla loro alta missione, "gli Apostoli sono stati
arricchiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo
discendente su loro, ed essi stessi, con l'imposizione delle mani, hanno
trasmesso questo dono dello Spirito ai loro collaboratori, dono che è stato
trasmesso fino a noi nella consacrazione episcopale" [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 20].
1557 Il Concilio Vaticano II insegna che "con la consacrazione episcopale
viene conferita la pienezza del sacramento dell'Ordine, quella cioè che
dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene
chiamata il sommo sacerdozio, il vertice ["Summa"] del sacro ministero"
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 20].
1558 "La consacrazione episcopale conferisce pure, con l'ufficio di
santificare, gli uffici di insegnare e di governare... Infatti... con
l'imposizione delle mani e con le parole della consacrazione la grazia dello
Spirito Santo viene conferita e viene impresso un sacro carattere, in
maniera che i vescovi, in modo eminente e visibile, sostengono le parti
dello stesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice, e agiscono in sua persona
["in Eius persona agant"]" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 20]. "Perciò
i vescovi, per virtù dello Spirito Santo, che loro è stato dato, sono
divenuti i veri e autentici maestri della fede, i pontefici e i pastori"
[Conc. Ecum. Vat. II, Christus Dominus, 2].
1559 "Uno viene costituito membro del corpo episcopale in virtù della
consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col capo del
collegio e con i membri" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 22]. Il
carattere e la natura collegiale dell'ordine episcopale si manifestano, tra
l'altro, nell'antica prassi della Chiesa che per la consacrazione di un
nuovo vescovo vuole la partecipazione di più vescovi [Cf ibid]. Per
l'ordinazione legittima di un vescovo, oggi è richiesto un intervento
speciale del Vescovo di Roma, per il fatto che egli è il supremo vincolo
visibile della comunione delle Chiese particolari nell'unica Chiesa e il
garante della loro libertà.
1560 Ogni vescovo ha, quale vicario di Cristo, l'ufficio pastorale della
Chiesa particolare che gli è stata affidata, ma nello stesso tempo porta
collegialmente con tutti i fratelli nell'episcopato la sollecitudine per
tutte le Chiese: "Se ogni vescovo è propriamente pastore soltanto della
porzione del gregge affidata alle sue cure, la sua qualità di legittimo
successore degli Apostoli, per istituzione divina, lo rende solidarmente
responsabile della missione apostolica della Chiesa" [Pio XII, Lett. enc.
Fidei donum; cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 23; Id., Christus
Dominus, 4; 36; 37; Id. , Ad gentes, 5; 6; 38].
1561 Quanto è stato detto spiega perché l'Eucaristia celebrata dal vescovo
ha un significato tutto speciale come espressione della Chiesa riunita
attorno all'altare sotto la presidenza di colui che rappresenta visibilmente
Cristo, Buon Pastore e Capo della sua Chiesa [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Sacrosanctum concilium, 41; Id. , Lumen gentium, 26].
L'ordinazione dei presbiteri - cooperatori dei vescovi
1562 "Cristo, consacrato e mandato nel mondo dal Padre, per mezzo dei suoi
Apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i
loro successori, cioè i vescovi, i quali hanno legittimamente affidato,
secondo diversi gradi, l'ufficio del loro ministero a vari soggetti nella
Chiesa" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 28]. "La [loro] funzione
ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri, affinché
questi, costituiti nell'Ordine del presbiterato, fossero cooperatori
dell'Ordine episcopale, per il retto assolvimento della missione apostolica
affidata da Cristo" [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 2].
1563 "La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente unita all'Ordine
episcopale, partecipa dell'autorità con la quale Cristo stesso fa crescere,
santifica e governa il proprio Corpo. Per questo motivo, il sacerdozio dei
presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell'iniziazione cristiana, viene
conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù
dell'unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che
li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella
persona di Cristo Capo" [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 2].
1564 "I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e
dipendendo dai vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a
loro uniti nell'onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell'Ordine, a
immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote, [Cf Eb 5,1-10; Eb 7,24; Eb
9,11-28 ] sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e
celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento "
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 28].
1565 In virtù del sacramento dell'Ordine i sacerdoti partecipano alla
dimensione universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli. "Il
dono spirituale che. . . hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara ad
una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale
missione di salvezza, "fino agli ultimi confini della terra"", [Conc. Ecum.
Vat. II, Presbyterorum ordinis, 10] "pronti nel loro animo a predicare
dovunque il Vangelo" [Conc. Ecum. Vat. II, Optatam totius, 20].
1566 Essi "soprattutto esercitano la loro funzione sacra nel culto o
assemblea eucaristica, dove, agendo in persona di Cristo, e proclamando il
suo mistero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro Capo e nel
sacrificio della Messa rendono presente e applicano, fino alla venuta del
Signore, l'unico sacrificio del Nuovo Testamento, il sacrificio cioè di
Cristo, che una volta per tutte si offre al Padre quale vittima immacolata"
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 28]. Da questo unico sacrificio tutto
il loro ministero sacerdotale trae la sua forza [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Presbyterorum ordinis, 2].
1567 "I presbiteri, saggi collaboratori dell'ordine episcopale e suoi aiuto
e strumento, chiamati al servizio del Popolo di Dio, costituiscono col loro
vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi. Nelle
singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il
vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, condividono in parte
le sue funzioni e la sua sollecitudine e le esercitano con dedizione
quotidiana" [ Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 28]. I sacerdoti non
possono esercitare il loro ministero se non in dipendenza dal vescovo e in
comunione con lui. La promessa di obbedienza che fanno al vescovo al momento
dell'ordinazione e il bacio di pace del vescovo al termine della liturgia
dell'ordinazione significano che il vescovo li considera come suoi
collaboratori, suoi figli, suoi fratelli e suoi amici, e che, in cambio,
essi gli devono amore e obbedienza.
1568 "I presbiteri, costituiti nell'ordine del presbiterato mediante
l'ordinazione, sono tutti tra loro uniti da intima fraternità sacramentale;
ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui
servizio sono assegnati sotto il proprio vescovo" [Conc. Ecum. Vat. II,
Presbyterorum ordinis, 8]. L'unità del presbiterio trova un'espressione
liturgica nella consuetudine secondo la quale, durante il rito
dell'ordinazione, i presbiteri, dopo il vescovo, impongono anch'essi le
mani.
L'ordinazione dei diaconi - "per il servizio"
1569 "In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono
imposte le mani "non per il sacerdozio, ma per il servizio"" [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 29; cf Id. , Christus Dominus, 15]. Per
l'ordinazione al diaconato soltanto il vescovo impone le mani, significando
così che il diacono è legato in modo speciale al vescovo nei compiti della
sua "diaconia" [Cf Sant'Ippolito di Roma, Traditio apostolica, 8].
1570 I diaconi partecipano in una maniera particolare alla missione e alla
grazia di Cristo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 41; Id. ,
Apostolicam actuositatem, 16]. Il sacramento dell'Ordine imprime in loro un
segno (carattere") che nulla può cancellare e che li configura a Cristo, il
quale si è fatto "diacono", cioè il servo di tutti [Cf Mc 10,45; 1570 Lc
22,27; San Policarpo di Smirne, Epistula ad Philippenses, 5, 2]. Compete ai
diaconi, tra l'altro, assistere il vescovo e i presbiteri nella celebrazione
dei divini misteri, soprattutto dell'Eucaristia, distribuirla, assistere e
benedire il matrimonio, proclamare il Vangelo e predicare, presiedere ai
funerali e dedicarsi ai vari servizi della carità [Cf Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 29; Id. , Sacrosanctum concilium, 35, 4; Id. ,
Ad gentes, 16].
1571 Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa latina ha ripristinato il
diaconato "come un grado proprio e permanente della gerarchia", [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 29] mentre le Chiese d'Oriente lo avevano sempre
conservato. Il diaconato permanente, che può essere conferito a uomini
sposati, costituisce un importante arricchimento per la missione della
Chiesa. In realtà, è conveniente e utile che gli uomini che nella Chiesa
adempiono un ministero veramente diaconale, sia nella vita liturgica e
pastorale, sia nelle opere sociali e caritative "siano fortificati per mezzo
dell'imposizione delle mani, trasmessa dal tempo degli Apostoli, e siano più
strettamente uniti all'altare, per poter esplicare più fruttuosamente il
loro ministero con l'aiuto della grazia sacramentale del diaconato" [Conc.
Ecum. Vat. II, Ad gentes, 16].
IV. La celebrazione di questo sacramento
1572 La celebrazione dell'ordinazione di un vescovo, di presbiteri o di
diaconi, data la sua importanza per la vita della Chiesa particolare,
richiede il concorso del maggior numero possibile di fedeli. Avrà luogo
preferibilmente la domenica e nella cattedrale, con quella solennità che si
addice alla circostanza. Le tre ordinazioni, del vescovo, del presbitero, e
del diacono, hanno la medesima configurazione. Il loro posto è in seno alla
liturgia eucaristica.
1573 Il rito essenziale del sacramento dell'Ordine è costituito, per i tre
gradi, dall'imposizione delle mani, da parte del vescovo, sul capo
dell'ordinando come pure dalla specifica preghiera consacratoria che domanda
a Dio l'effusione dello Spirito Santo e dei suoi doni adatti al ministero
per il quale il candidato viene ordinato [Cf Pio XII, Cost. ap. Sacramentum
Ordinis: Denz. -Schönm., 3858].
1574 Come in tutti i sacramenti, accompagnano la celebrazione alcuni riti
annessi. Pur variando notevolmente nelle diverse tradizioni liturgiche, essi
hanno in comune la proprietà di esprimere i molteplici aspetti della grazia
sacramentale. Così, nel rito latino, i riti di introduzione - la
presentazione e l'elezione dell'ordinando, l'omelia del vescovo,
l'interrogazione dell'ordinando, le litanie dei santi - attestano che la
scelta del candidato è stata fatta in conformità alla prassi della Chiesa e
preparano l'atto solenne della consacrazione. A questa fanno seguito altri
riti che esprimono e completano in maniera simbolica il mistero che si è
compiuto: per il vescovo e il pre sbitero l'unzione del santo crisma, segno
dell'unzione speciale dello Spirito Santo che rende fecondo il loro
ministero; la consegna del libro dei Vangeli, dell'anello, della mitra e del
pastorale al vescovo, come segno della sua missione apostolica di annunziare
la Parola di Dio, della sua fedeltà alla Chiesa, sposa di Cristo, del suo
compito di pastore del gregge del Signore; la consegna, al sacerdote, della
patena e del calice, "l'offerta del popolo santo", che egli è chiamato a
presentare a Dio; la consegna del libro dei Vangeli al diacono, che ha
ricevuto la missione di annunziare il Vangelo di Cristo.
V. Chi può conferire questo sacramento?
1575 E' Cristo che ha scelto gli Apostoli e li ha resi partecipi della sua
missione e della sua autorità. Innalzato alla destra del Padre, non
abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre per mezzo
degli Apostoli e ancora lo conduce sotto la guida di quegli stessi pastori
che continuano oggi la sua opera [Cf Messale Romano, Prefazio degli Apostoli
I]. E' dunque Cristo che stabilisce alcuni come apostoli, altri come pastori
[Cf Ef 4,11 ]. Egli continua ad agire per mezzo dei vescovi [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 21].
1576 Poiché il sacramento dell'Ordine è il sacramento del ministero
apostolico, spetta ai vescovi in quanto successori degli Apostoli
trasmettere "questo dono dello Spirito", [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 21] "il seme apostolico" [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
21]. I vescovi validamente ordinati, che sono cioè nella linea della
successione apostolica, conferiscono validamente i tre gradi del sacramento
dell'Ordine [Cf Innocenzo III, Lettera Eius exemplo: Denz. -Schönm., 794;
Concilio Lateranense IV: ibid., 802; Codice di Diritto Canonico, 1012;
Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 744; 747].
VI. Chi può ricevere questo sacramento?
1577 "Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato
di sesso maschile ["vir"]" [Codice di Diritto Canonico, 1024]. Il Signore
Gesù ha scelto degli uomini ["viri"] per formare il collegio dei dodici
Apostoli, [Cf Mc 3,14-19, Lc 6,12-16 ] e gli Apostoli hanno fatto lo stesso
quando hanno scelto i collaboratori [Cf 1Tm 3,1-13; 2Tm 1,6; Tt 1,5-9 ] che
sarebbero loro succeduti nel ministero [S. Clemente di Roma, Epistula ad
Corinthios, 42, 4; 44, 3]. Il collegio dei vescovi, con i quali i presbiteri
sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di
Cristo il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa
scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l'ordinazione delle donne
non è possibile [Cf Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 26-27;
Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Inter insigniores: AAS 69
(1977), 98-116].
1578 Nessuno ha un diritto a ricevere il sacramento dell'Ordine. Infatti
nessuno può attribuire a se stesso questo ufficio. Ad esso si è chiamati da
Dio [Cf Eb 5,4 ]. Chi crede di riconoscere i segni della chiamata di Dio al
ministero ordinato, deve sottomettere umilmente il proprio desiderio
all'autorità della Chiesa, alla quale spetta la responsabilità e il diritto
di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini. Come ogni grazia, questo
sacramento non può essere ricevuto che come un dono immeritato.
1579 Tutti i ministri ordinati della Chiesa latina, ad eccezione dei diaconi
permanenti, sono normalmente scelti fra gli uomini credenti che vivono da
celibi e che intendono conservare il celibato "per il Regno dei cieli" ( Mt
19,12 ). Chiamati a consacrarsi con cuore indiviso al Signore e alle "sue
cose", [Cf 1Cor 7,32 ] essi si donano interamente a Dio e agli uomini. Il
celibato è un segno di questa vita nuova al cui servizio il ministro della
Chiesa viene consacrato; abbracciato con cuore gioioso, esso annuncia in
modo radioso il Regno di Dio [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis,
16].
1580 Nelle Chiese Orientali, da secoli, è in vigore una disciplina diversa:
mentre i vescovi sono scelti unicamente fra coloro che vivono nel celibato,
uomini sposati possono essere ordinati diaconi e presbiteri. Tale prassi è
da molto tempo considerata come legittima; questi presbiteri esercitano un
ministero fruttuoso in seno alle loro comunità [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Presbyterorum ordinis, 16]. D'altro canto il celibato dei presbiteri è in
grande onore nelle Chiese Orientali, e numerosi sono i presbiteri che
l'hanno scelto liberamente, per il Regno di Dio. In Oriente come in
Occidente, chi ha ricevuto il sacramento dell'Ordine non può più sposarsi.
VII. Gli effetti del sacramento dell'Ordine
Il carattere indelebile
1581 Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale
dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua
Chiesa. Per mezzo dell'ordinazione si viene abilitati ad agire come
rappresentanti di Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione di
sacerdote, profeta e re.
1582 Come nel caso del Battesimo e della Confermazione, questa
partecipazione alla funzione di Cristo è accordata una volta per tutte. Il
sacramento dell'Ordine conferisce, anch'esso, un carattere spirituale
indelebile e non può essere ripetuto né essere conferito per un tempo
limitato [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1767; Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 21; 28; 29; Id. , Presbyterorum ordinis, 2].
1583 Un soggetto validamente ordinato può, certo, per gravi motivi, essere
dispensato dagli obblighi e dalle funzioni connessi all'ordinazione o gli
può essere fatto divieto di esercitarli, [Cf Codice di Diritto Canonico,
290-293; 1336, 1, 3. 5; 1338, 2] ma non può più ridiventare laico in senso
stretto, poiché il carattere impresso dall'ordinazione rimane per sempre. La
vocazione e la missione ricevute nel giorno della sua ordinazione, lo
segnano in modo permanente.
1584 Poiché in definitiva è Cristo che agisce e opera la salvezza mediante
il ministro ordinato, l'indegnità di costui non impedisce a Cristo di agire.
Sant'Agostino lo dice con forza:
Un ministro superbo va messo assieme al diavolo; ma non per questo viene
contaminato il dono di Cristo, che attraverso di lui continua a fluire nella
sua purezza e per mezzo di lui arriva limpido a fecondare la terra. . . La
virtù spirituale del sacramento è infatti come la luce: giunge pura a coloro
che devono essere illuminati, e anche se deve passare attraverso degli
esseri immondi, non viene contaminata [Sant'Agostino, In Evangelium Johannis
tractatus, 5, 15].
La grazia dello Spirito Santo
1585 La grazia dello Spirito Santo propria di questo sacramento consiste in
una configurazione a Cristo Sacerdote, Maestro e Pastore del quale
l'ordinato è costituito ministro.
1586 Per il vescovo è innanzitutto una grazia di fortezza (Il tuo Spirito
che regge e guida": Preghiera consacratoria del vescovo nel rito latino): la
grazia di guidare e di difendere con forza e prudenza la sua Chiesa come un
padre e un pastore, con un amore gratuito verso tutti e una predilezione per
i poveri, gli ammalati e i bisognosi [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Christus
Dominus, 13 e 16]. Questa grazia lo spinge ad annunciare a tutti il Vangelo,
ad essere il modello del suo gregge, a precederlo sul cammino della
santificazione identificandosi nell'Eucaristia con Cristo Sacerdote e
Vittima, senza temere di dare la vita per le sue pecore:
Concedi, Padre che conosci i cuori, a questo servo che hai scelto per
l'episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di esercitare in maniera
irreprensibile e in tuo onore la massima dignità sacerdotale, servendoti
notte e giorno; di rendere il tuo volto incessantemente propizio e di
offrirti i doni della tua santa Chiesa; di avere, in virtù dello spirito del
sommo sacerdozio, il potere di rimettere i peccati secondo il tuo comando,
di distribuire i compiti secondo la tua volontà e di sciogliere ogni legame
in virtù del potere che hai dato agli Apostoli; di esserti accetto per la
sua mansuetudine e per la purezza del suo cuore, offrendoti un profumo soave
per mezzo di Gesù Cristo tuo Figlio. . [Sant'Ippolito di Roma, Traditio
apostolica, 3].
1587 Il dono spirituale conferito dall'ordinazione presbiterale è espresso
da questa preghiera propria del rito bizantino. Il vescovo, imponendo le
mani, dice tra l'altro:
Signore, riempi di Spirito Santo colui che ti sei degnato di elevare alla
dignità sacerdotale, affinché sia degno di stare irreprensibile davanti al
tuo altare, di annunciare il Vangelo del tuo Regno, di compiere il ministero
della tua parola di verità, di offrirti doni e sacrifici spirituali, di
rinnovare il tuo popolo mediante il lavacro della rigenerazione; in modo che
egli stesso vada incontro al nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, tuo
unico Figlio, nel giorno della sua seconda venuta, e riceva dalla tua
immensa bontà la ricompensa di un fedele adempimento del suo ministero
[Eucologia della liturgia bizantina].
1588 Quanto ai diaconi, la grazia sacramentale dà loro la forza necessaria
per servire il popolo di Dio nella "diaconia" della Liturgia, della Parola e
della carità, in comunione con il vescovo e il suo presbiterio [Cf Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 29].
1589 Dinanzi alla grandezza della grazia e dell'ufficio sacerdotali, i santi
dottori hanno avvertito l'urgente appello alla conversione al fine di
corrispondere con tutta la loro vita a Colui di cui sono divenuti ministri
mediante il sacramento. Così, san Gregorio Nazianzeno, giovanissimo
sacerdote, esclama:
Bisogna cominciare col purificare se stessi prima di purificare gli altri;
bisogna essere istruiti per poter istruire; bisogna divenire luce per
illuminare, avvicinarsi a Dio per avvicinare a lui gli altri, essere
santificati per santificare, condurre per mano e consigliare con
intelligenza [San Gregorio Nazianzeno, Orationes, 2, 71: PG 35, 480B]. So di
chi siamo i ministri, a quale altezza ci troviamo e chi è Colui verso il
quale ci dirigiamo. Conosco la grandezza di Dio e la debolezza dell'uomo, ma
anche la sua forza [San Gregorio Nazianzeno, Orationes, 2, 71: PG 35, 480B].
[ Chi è dunque il sacerdote? E'] il difensore della verità, si eleva con gli
angeli, glorifica con gli arcangeli, fa salire sull'altare del cielo le
vittime dei sacrifici, condivide il sacerdozio di Cristo, riplasma la
creatura, restaura [in essa] l'immagine [di Dio], la ricrea per il mondo di
lassù, e, per dire ciò che vi è di più di sublime, è divinizzato e divinizza
[San Gregorio Nazianzeno, Orationes, 2, 71: PG 35, 480B].
E il santo Curato d'Ars: "E' il sacerdote che continua l'opera di redenzione
sulla terra". . . "Se si comprendesse bene il sacerdote qui in terra, si
morirebbe non di spavento, ma di amore"... "Il Sacerdozio è l'amore del
cuore di Gesù" [B. Nodet, Jean-Marie Vianney, Curé d'Ars, 100].
In sintesi
1590 San Paolo dice al suo discepolo Timoteo: "Ti ricordo di ravvivare il
dono di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani" ( 2Tm 1,6 ), e "se
uno aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro" ( 1Tm 3,1 ). A Tito
diceva: "Per questo ti ho lasciato a Creta, perché regolassi ciò che rimane
da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni
che ti ho dato" ( Tt 1,5 ).
1591 Tutta la Chiesa è un popolo sacerdotale. Grazie al battesimo, tutti i
fedeli partecipano al sacerdozio di Cristo. Tale partecipazione si chiama
"sacerdozio comune dei fedeli". Sulla sua base e al suo servizio esiste
un'altra partecipazione alla missione di Cristo: quella del ministero
conferito dal sacramento dell'Ordine, la cui funzione è di servire a nome e
in persona di Cristo Capo in mezzo alla comunità.
1592 Il sacerdozio ministeriale differisce essenzialmente dal sacerdozio
comune dei fedeli poiché conferisce un potere sacro per il servizio dei
fedeli. I ministri ordinati esercitano il loro servizio presso il popolo di
Dio attraverso l'insegnamento [munus docendi], il culto divino [munus
liturgicum] e il governo pastorale [munus regendi].
1593 Fin dalle origini, il ministero ordinato è stato conferito ed
esercitato in tre gradi: quello dei vescovi, quello dei presbiteri e quello
dei diaconi. I ministeri conferiti dall'ordinazione sono insostituibili per
la struttura organica della Chiesa: senza il vescovo, i presbiteri e i
diaconi, non si può parlare di Chiesa [Cf Sant'Ignazio di Antiochia,
Epistula ad Trallianos, 3, 1].
1594 Il vescovo riceve la pienezza del sacramento dell'Ordine che lo
inserisce nel Collegio episcopale e fa di lui il capo visibile della Chiesa
particolare che gli è affidata. I vescovi, in quanto successori degli
Apostoli e membri del Collegio, hanno parte alla responsabilità apostolica e
alla missione di tutta la Chiesa sotto l'autorità del Papa, successore di
san Pietro.
1595 I presbiteri sono uniti ai vescovi nella dignità sacerdotale e nello
stesso tempo dipendono da essi nell'esercizio delle loro funzioni pastorali;
sono chiamati ad essere i saggi collaboratori dei vescovi; riuniti attorno
al loro vescovo formano il "presbiterio", che insieme con lui porta la
responsabilità della Chiesa particolare. Essi ricevono dal vescovo la
responsabilità di una comunità parrocchiale o di una determinata funzione
ecclesiale.
1596 I diaconi sono ministri ordinati per gli incarichi di servizio della
Chiesa; non ricevono il sacerdozio ministeriale, ma l'ordinazione conferisce
loro funzioni importanti nel ministero della Parola, del culto divino, del
governo pastorale e del servizio della carità, compiti che devono assolvere
sotto l'autorità pastorale del loro vescovo.
1597 Il sacramento dell'Ordine è conferito mediante l'imposizione delle mani
seguita da una preghiera consacratoria solenne che chiede a Dio per
l'ordinando le grazie dello Spirito Santo richieste per il suo ministero.
L'ordinazione imprime un carattere sacramentale indelebile.
1598 La Chiesa conferisce il sacramento dell'Ordine soltanto a uomini
(viris) battezzati, le cui attitudini per l'esercizio del ministero sono
state debitamente riconosciute. Spetta all'autorità della Chiesa la
responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini.
1599 Nella Chiesa latina il sacramento dell'Ordine per il presbiterato è
conferito normalmente solo a candidati disposti ad abbracciare liberamente
il celibato e che manifestano pubblicamente la loro volontà di osservarlo
per amore del Regno di Dio e del servizio degli uomini.
1600 Spetta ai vescovi conferire il sacramento dell'Ordine nei tre gradi.
Articolo 7
IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO
1601 "Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro
la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e
alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato
da Cristo Signore alla dignità di sacramento" [Codice di Diritto Canonico,
1055, 1].
I. Il matrimonio nel disegno di Dio
1602 La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell'uomo e della donna ad
immagine e somiglianza di Dio [Cf Gen 1,26-27 ] e si chiude con la visione
delle "nozze dell'Agnello" ( Ap 19,7; Ap 19,9 ). Da un capo all'altro la
Scrittura parla del Matrimonio e del suo "mistero", della sua istituzione e
del senso che Dio gli ha dato, della sua origine e del suo fine, delle sue
diverse realizzazioni lungo tutta la storia della salvezza, delle sue
difficoltà derivate dal peccato e del suo rinnovamento "nel Signore" ( 1Cor
7,39 ), nella Nuova Alleanza di Cristo e della Chiesa [Cf Ef 5,31-32 ].
Il matrimonio nell'ordine della creazione
1603 "L'intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore
e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale. . . Dio
stesso è l'autore del matrimonio" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
48]. La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell'uomo e
della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il matrimonio non è
un'istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto
subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e
attitudini spirituali. Queste diversità non devono far dimenticare i tratti
comuni e permanenti. Sebbene la dignità di questa istituzione non traspaia
ovunque con la stessa chiarezza, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
47] esiste tuttavia in tutte le culture un certo senso della grandezza
dell'unione matrimoniale, poiché "la salvezza della persona e della società
umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della
comunità coniugale e familiare" [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
47].
1604 Dio, che ha creato l'uomo per amore, lo ha anche chiamato all'amore,
vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l'uomo è
creato ad immagine e somiglianza di Dio [Cf Gen 1,27 ] che è Amore [Cf 1Gv
4,8; 1Gv 4,16 ]. Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore
diventa un'immagine dell'amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama
l'uomo. E' cosa buona, molto buona, agli occhi del Creatore [Cf Gen 1,31 ].
E questo amore che Dio benedice è destinato ad essere fecondo e a
realizzarsi nell'opera comune della custodia della creazione: "Dio li
benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e
soggiogatela"" ( Gen 1,28 ).
1605 Che l'uomo e la donna siano creati l'uno per l'altro, lo afferma la
Sacra Scrittura: "Non è bene che l'uomo sia solo". La donna, "carne della
sua carne", sua eguale, del tutto prossima a lui, gli è donata da Dio come
un "aiuto", rappresentando così Dio dal quale viene il nostro aiuto [ Cf Sal
121,2 ]. "Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a
sua moglie e i due saranno una sola carne" ( Gen 2,24 ) [Cf Gen 2,18-25 ].
Che ciò significhi un'unità indefettibile delle loro due esistenze, il
Signore stesso lo mostra ricordando quale sia stato, "all'origine", il
disegno del Creatore: "Così che non sono più due, ma una carne sola" ( Mt
19,6 ).
Il matrimonio sotto il regime del peccato
1606 Ogni uomo fa l'esperienza del male, attorno a sé e in se stesso. Questa
esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l'uomo e la donna. Da
sempre la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito di
dominio, dall'infedeltà, dalla gelosia e da conflitti che possono arrivare
fino all'odio e alla rottura. Questo disordine può manifestarsi in modo più
o meno acuto, e può essere più o meno superato, secondo le culture, le
epoche, gli individui, ma sembra proprio avere un carattere universale.
1607 Secondo la fede, questo disordine che noi constatiamo con dolore, non
deriva dalla natura dell'uomo e della donna, né dalla natura delle loro
relazioni, ma dal peccato . Rottura con Dio, il primo peccato ha come prima
conseguenza la rottura della comunione originale dell'uomo e della donna. Le
loro relazioni sono distorte da accuse reciproche; [Cf Gen 3,12 ] la loro
mutua attrattiva, dono proprio del Creatore, [Cf Gen 2,22 ] si cambia in
rapporti di dominio e di bramosia; [Cf Gen 3,16 b] la splendida vocazione
dell'uomo e della donna ad essere fecondi, a moltiplicarsi e a soggiogare la
terra [Cf Gen 1,28 ] è gravata dai dolori del parto e dalle fatiche del
lavoro [ Cf Gen 3,16-19 ].
1608 Tuttavia, anche se gravemente sconvolto, l'ordine della creazione
permane. Per guarire le ferite del peccato, l'uomo e la donna hanno bisogno
dell'aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha
loro mai rifiutato [Cf Gen 3,21 ]. Senza questo aiuto l'uomo e la donna non
possono giungere a realizzare l'unione delle loro vite, in vista della quale
Dio li ha creati "all'inizio".
Il matrimonio sotto la pedagogia della Legge
1609 Nella sua misericordia, Dio non ha abbandonato l'uomo peccatore. Le
sofferenze che derivano dal peccato, "i dolori del parto" ( Gen 3,16 ), il
lavoro "con il sudore del volto" ( Gen 3,19 ), costituiscono anche dei
rimedi che attenuano i danni del peccato. Dopo la caduta, il matrimonio
aiuta a vincere il ripiegamento su di sé, l'egoismo, la ricerca del proprio
piacere, e ad aprirsi all'altro, all'aiuto vicendevole, al dono di sé.
1610 La coscienza morale riguardante l'unità e l'indissolubilità del
matrimonio si è sviluppata sotto la pedagogia della Legge antica. La
poligamia dei patriarchi e dei re non è ancora esplicitamente rifiutata.
Tuttavia, la Legge data a Mosè mira a proteggere la donna contro
l'arbitrarietà del dominio da parte dell'uomo, sebbene anch'essa porti,
secondo la Parola del Signore, le tracce della "durezza del cuore"
dell'uomo, a motivo della quale Mosè ha permesso il ripudio della donna [Cf
Mt 19,8; 1610 Dt 24,1 ].
1611 Vedendo l'Alleanza di Dio con Israele sotto l'immagine di un amore
coniugale esclusivo e fedele, [Cf Os 1-3; Is 54; Is 62; Ger 2-3; 1611 Ger
31; Ez 16; Ez 23 ] i profeti hanno preparato la coscienza del Popolo eletto
ad una intelligenza approfondita dell'unicità e dell'indissolubilità del
matrimonio [Cf Ml 2,13-17 ]. I libri di Rut e di Tobia offrono testimonianze
commoventi di un alto senso del matrimonio, della fedeltà e della tenerezza
degli sposi. La Tradizione ha sempre visto nel Cantico dei Cantici
un'espressione unica dell'amore umano, in quanto è riflesso dell'amore di
Dio, amore "forte come la morte" che "le grandi acque non possono spegnere"
( Ct 8,6-7 ).
Il matrimonio nel Signore
1612 L'alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo Israele aveva preparato
l'Alleanza Nuova ed eterna nella quale il Figlio di Dio, incarnandosi e
offrendo la propria vita, in certo modo si è unito tutta l'umanità da lui
salvata, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22] preparando così "le
nozze dell'Agnello" (Ap 19,7; Ap 19,9).
1613 Alle soglie della sua vita pubblica, Gesù compie il suo primo segno -
su richiesta di sua Madre - durante una festa nuziale [Cf Gv 2,1-11 ]. La
Chiesa attribuisce una grande importanza alla presenza di Gesù alle nozze di
Cana. Vi riconosce la conferma della bontà del matrimonio e l'annuncio che
ormai esso sarà un segno efficace della presenza di Cristo.
1614 Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso
originale dell'unione dell'uomo e della donna, quale il Creatore l'ha voluta
all'origine: il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la propria moglie, era
una concessione motivata dalla durezza del cuore; [Cf Mt 19,8 ] l'unione
matrimoniale dell'uomo e della donna è indissolubile: Dio stesso l'ha
conclusa. "Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi" ( Mt
19,6 ).
1615 Questa inequivocabile insistenza sull'indissolubilità del vincolo
matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come un'esigenza
irrealizzabile [Cf Mt 19,10 ]. Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un
fardello impossibile da portare e troppo gravoso, [Cf Mt 11,29-30 ] più
pesante della Legge di Mosè. Venendo a ristabilire l'ordine iniziale della
creazione sconvolto dal peccato, egli stesso dona la forza e la grazia per
vivere il matrimonio nella nuova dimensione del Regno di Dio. Seguendo
Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce [Cf Mc
8,34 ] gli sposi potranno "capire" [Cf Mt 19,11 ] il senso originale del
matrimonio e viverlo con l'aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio
cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita
cristiana.
1616 E' ciò che l'Apostolo Paolo lascia intendere quando dice: "Voi, mariti,
amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso
per lei, per renderla santa" ( Ef 5,25-26 ), e aggiunge subito: "Per questo
l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due
formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a
Cristo e alla Chiesa!" ( Ef 5,31-32 ).
1617 Tutta la vita cristiana porta il segno dell'amore sponsale di Cristo e
della Chiesa. Già il Battesimo, che introduce nel Popolo di Dio, è un
mistero nuziale: è, per così dire, il lavacro di nozze [Cf Ef 5,26-27 ] che
precede il banchetto di nozze, l'Eucaristia. Il Matrimonio cristiano
diventa, a sua volta, segno efficace, sacramento dell'alleanza di Cristo e
della Chiesa. Poiché ne significa e ne comunica la grazia, il matrimonio fra
battezzati è un vero sacramento della Nuova Alleanza [Cf Concilio di Trento:
Denz. -Schönm., 1800; Codice di Diritto Canonico, 1055, 2].
La verginità per il Regno
1618 Cristo è il centro di ogni vita cristiana. Il legame con lui occupa il
primo posto rispetto a tutti gli altri legami, familiari o sociali [Cf Lc
14,26; 1618 Mc 10,28-31 ]. Fin dall'inizio della Chiesa, ci sono stati
uomini e donne che hanno rinunciato al grande bene del matrimonio per
seguire "l'Agnello dovunque va"( Ap 14,4 ), per preoccuparsi delle cose del
Signore e cercare di piacergli, [Cf 1Cor 7,32 ] per andare incontro allo
Sposo che viene [Cf Mt 25,6 ]. Cristo stesso ha invitato certuni a seguirlo
in questo genere di vita, di cui egli rimane il modello:
Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne
sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si
sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire, capisca ( Mt
19,12 ).
1619 La verginità per il Regno dei cieli è uno sviluppo della grazia
battesimale, un segno possente della preminenza del legame con Cristo,
dell'attesa ardente del suo ritorno, un segno che ricorda pure come il
matrimonio sia una realtà del mondo presente che passa [Cf Mc 12,25; 1Cor
7,31 ].
1620 Entrambi, il sacramento del Matrimonio e la verginità per il Regno di
Dio, provengono dal Signore stesso. E' lui che dà loro senso e concede la
grazia indispensabile per viverli conformemente alla sua volontà [Cf Mt
19,3-12 ]. La stima della verginità per il Regno [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 42; Id., Perfectae caritatis, 12; Id. , Optatam totius, 10] e
il senso cristiano del Matrimonio sono inseparabili e si favoriscono
reciprocamente:
Chi denigra il matrimonio, sminuisce anche la gloria della verginità; chi lo
loda, aumenta l'ammirazione che è dovuta alla verginità. . . Infatti, ciò
che sembra bello solo in rapporto a ciò che è brutto non può essere molto
bello; quello che invece è la migliore delle cose considerate buone, è la
cosa più bella in senso assoluto [San Giovanni Crisostomo, De virginitate,
10, 1: PG 48, 540A; cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
16].
II. La celebrazione del Matrimonio
1621 Nel rito latino, la celebrazione del Matrimonio tra due fedeli
cattolici ha luogo normalmente durante la Santa Messa, a motivo del legame
di tutti i sacramenti con il Mistero pasquale di Cristo [Cf Conc. Ecum. Vat.
II, Sacrosanctum concilium, 61]. Nell'Eucaristia si realizza il memoriale
della Nuova Alleanza, nella quale Cristo si è unito per sempre alla Chiesa,
sua diletta sposa per la quale ha dato se stesso [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 6]. E' dunque conveniente che gli sposi suggellino il loro
consenso a donarsi l'uno all'altro con l'offerta delle loro proprie vite,
unendola all'offerta di Cristo per la sua Chiesa, resa presente nel
sacrificio eucaristico, e ricevendo l'Eucaristia, affinché, nel comunicare
al medesimo Corpo e al medesimo Sangue di Cristo, essi "formino un corpo
solo" in Cristo [Cf 1Cor 10,17 ].
1622 "In quanto gesto sacramentale di santificazione, la celebrazione
liturgica del Matrimonio. . . deve essere per sé valida, degna e fruttuosa"
[Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 67]. Conviene quindi
che i futuri sposi si dispongano alla celebrazione del loro Matrimonio
ricevendo il sacramento della Penitenza.
1623 Secondo la tradizione latina sono gli sposi, come ministri della grazia
di Cristo, a conferirsi mutualmente il sacramento del Matrimonio esprimendo
davanti alla Chiesa il loro consenso. Nelle tradizioni delle Chiese
orientali, i sacerdoti, vescovi o presbiteri, sono testimoni del reciproco
consenso scambiato tra gli sposi ma anche la loro benedizione è necessaria
per la validità del sacramento.
1624 Le diverse liturgie sono ricche di preghiere di benedizione e di
epiclesi che chiedono a Dio la sua grazia e la benedizione sulla nuova
coppia, specialmente sulla sposa. Nell'epiclesi di questo sacramento gli
sposi ricevono lo Spirito Santo come Comunione di amore di Cristo e della
Chiesa [Cf Ef 5,32 ]. E' lui il sigillo della loro alleanza, la sorgente
sempre offerta del loro amore, la forza in cui si rinnoverà la loro fedeltà.
III. Il consenso matrimoniale
1625 I protagonisti dell'alleanza matrimoniale sono un uomo e una donna
battezzati, liberi di contrarre il matrimonio e che esprimono liberamente il
loro consenso. "Essere libero" vuol dire:
- non subire costrizioni;
- non avere impedimenti in base ad una legge naturale o ecclesiastica.
1626 La Chiesa considera lo scambio del consenso tra gli sposi come
l'elemento indispensabile "che costituisce il matrimonio" [Codice di Diritto
Canonico, 1057, 1]. Se il consenso manca, non c'è matrimonio.
1627 Il consenso consiste in un "atto umano col quale i coniugi mutuamente
si danno e si ricevono": [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48; cf
Codice di Diritto Canonico, 1057, 2] "Io prendo te come mia sposa" - "Io
prendo te come mio sposo" [Rituale romano, Il sacramento del matrimonio,
45]. Questo consenso che lega gli sposi tra loro, trova il suo compimento
nel fatto che i due diventano "una carne sola" [Cf Gen 2,24; Mc 10,8; Ef
5,31 ].
1628 Il consenso deve essere un atto della volontà di ciascuno dei
contraenti, libero da violenza o da grave costrizione esterna [Cf Codice di
Diritto Canonico, 1103]. Nessuna potestà umana può sostituirsi a questo
consenso [Cf ibid., 1057, 1]. Se tale libertà manca, il matrimonio è
invalido.
1629 Per questo motivo (o per altre cause che rendono nullo e non avvenuto
il matrimonio): [Cf Codice di Diritto Canonico, 1095-1107] la Chiesa può,
dopo esame della situazione da parte del tribunale ecclesiastico competente,
dichiarare "la nullità del matrimonio", vale a dire che il matrimonio non è
mai esistito. In questo caso i contraenti sono liberi di sposarsi, salvo
rispettare gli obblighi naturali derivati da una precedente unione [Cf
ibid., 1071].
1630 Il sacerdote (o il diacono) che assiste alla celebrazione del
matrimonio, accoglie il consenso degli sposi a nome della Chiesa e dà la
benedizione della Chiesa. La presenza del ministro della Chiesa (e anche dei
testimoni) esprime visibilmente che il matrimonio è una realtà ecclesiale.
1631 E' per questo motivo che la Chiesa normalmente richiede per i suoi
fedeli la forma ecclesiastica della celebrazione del matrimonio [Cf Concilio
di Trento: Denz. -Schönm., 1813-1816; Codice di Diritto Canonico, 1108].
Diverse ragioni concorrono a spiegare questa determinazione:
- Il matrimonio sacramentale è un atto liturgico. E' quindi conveniente che
venga celebrato nella Liturgia pubblica della Chiesa.
- Il matrimonio introduce in un ordo - ordine - ecclesiale, crea dei diritti
e dei doveri nella Chiesa, fra gli sposi e verso i figli.
- Poiché il matrimonio è uno stato di vita nella Chiesa, è necessario che vi
sia certezza sul matrimonio (da qui l'obbligo di avere dei testimoni).
- Il carattere pubblico del consenso protegge il "Sì" una volta dato e aiuta
a rimanervi fedele.
1632 Perché il "Sì" degli sposi sia un atto libero e responsabile, e
l'alleanza matrimoniale abbia delle basi umane e cristiane solide e
durature, la preparazione al matrimonio è di fondamentale importanza.
L'esempio e l'insegnamento dati dai genitori e dalle famiglie restano il
cammino privilegiato di questa preparazione.
Il ruolo dei pastori e della comunità cristiana come "famiglia di Dio" è
indispensabile per la trasmissione dei valori umani e cristiani del
matrimonio e della famiglia, [Cf Codice di Diritto Canonico, 1063] tanto più
che nel nostro tempo molti giovani conoscono l'esperienza di focolari
distrutti che non assicurano più sufficientemente questa iniziazione:
I giovani devono essere adeguatamente e tempestivamente istruiti,
soprattutto in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell'amore
coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che, formati nella
stima della castità, possano ad età conveniente passare da un onesto
fidanzamento alle nozze [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 49].
I matrimoni misti e la disparità di culto
1633 In numerosi paesi si presenta assai di frequente la situazione del
matrimonio misto (fra cattolico e battezzato non cattolico). Essa richiede
un'attenzione particolare dei coniugi e dei pastori. Il caso di matrimonio
con disparità di culto (fra cattolico e non-battezzato) esige una
circospezione ancora maggiore.
1634 La diversità di confessione fra i coniugi non costituisce un ostacolo
insormontabile per il matrimonio, allorché essi arrivano a mettere in comune
ciò che ciascuno di loro ha ricevuto nella propria comunità, e ad apprendere
l'uno dall'altro il modo in cui ciascuno vive la sua fedeltà a Cristo. Ma le
difficoltà dei matrimoni misti non devono neppure essere sottovalutate. Esse
sono dovute al fatto che la separazione dei cristiani non è ancora superata.
Gli sposi rischiano di risentire il dramma della disunione dei cristiani
all'interno stesso del loro focolare. La disparità di culto può aggravare
ulteriormente queste difficoltà. Divergenze concernenti la fede, la stessa
concezione del matrimonio, ma anche mentalità religiose differenti possono
costituire una sorgente di tensioni nel matrimonio, soprattutto a proposito
dell'educazione dei figli. Una tentazione può allora presentarsi:
l'indifferenza religiosa.
1635 Secondo il diritto in vigore nella Chiesa latina, un matrimonio misto
necessita, per la sua liceità, dell' espressa licenza dell'autorità
ecclesiastica [Cf Codice di Diritto Canonico, 1124]. In caso di disparità di
culto è richiesta, per la validità del matrimonio, una espressa dispensa
dall'impedimento [Cf ibid., 1086]. Questa licenza o questa dispensa
suppongono che entrambe le parti conoscano e non escludano i fini e le
proprietà essenziali del matrimonio; inoltre che la parte cattolica confermi
gli impegni, portati a conoscenza anche della parte acattlica, di conservare
la propria fede e di assicurare il Battesimo e l'educazione dei figli nella
Chiesa cattolica [Cf ibid., 1125].
1636 In molte regioni, grazie al dialogo ecumenico, le comunità cristiane
interessate hanno potuto organizzare una pastorale comune per i matrimoni
misti. Suo compito è di aiutare queste coppie a vivere la loro situazione
particolare alla luce della fede. Essa deve anche aiutarle a superare le
tensioni fra gli obblighi dei coniugi l'uno nei confronti dell'altro e verso
le loro comunità ecclesiali. Deve incoraggiare lo sviluppo di ciò che è loro
comune nella fede, e il rispetto di ciò che li separa.
1637 Nei matrimoni con disparità di culto lo sposo cattolico ha un compito
particolare: infatti "il marito non credente viene reso santo dalla moglie
credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente" (
1Cor 7,14 ). E' una grande gioia per il coniuge cristiano e per la Chiesa se
questa "santificazione" conduce alla libera conversione dell'altro coniuge
alla fede cristiana [Cf 1Cor 7,16 ]. L'amore coniugale sincero, la pratica
umile e paziente delle virtù familiari e la preghiera perseverante possono
preparare il coniuge non credente ad accogliere la grazia della conversione.
IV. Gli effetti del sacramento del Matrimonio
1638 "Dalla valida celebrazione del matrimonio sorge tra i coniugi un
vincolo di sua natura perpetuo ed esclusivo; inoltre nel matrimonio
cristiano i coniugi, per i compiti e la dignità del loro stato, vengono
corroborati e come consacrati da uno speciale sacramento " [Codice di
Diritto Canonico, 1134].
Il vincolo matrimoniale
1639 Il consenso, mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono
mutuamente, è suggellato da Dio stesso [Cf Mc 10,9 ]. Dalla loro alleanza
"nasce, anche davanti alla società, l'istituto (del matrimonio) che ha
stabilità per ordinamento divino" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
48]. L'alleanza degli sposi è integrata nell'alleanza di Dio con gli uomini:
"L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino" [Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 48].
1640 Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il
matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto.
Questo vincolo, che risulta dall'atto umano libero degli sposi e dalla
consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad
un'alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa
pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina [Cf Codice di
Diritto Canonico, 1141].
La grazia del sacramento del Matrimonio
1641 "I coniugi cristiani. . . hanno, nel loro stato di vita e nel loro
ordine, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 11]. Questa grazia propria del sacramento del Matrimonio è
destinata a perfezionare l'amore dei coniugi, a rafforzare la loro unità
indissolubile. In virtù di questa grazia essi "si aiutano a vicenda per
raggiungere la santità nella vita coniugale, nell'accettazione e
nell'educazione della prole" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11].
1642 Cristo è la sorgente di questa grazia. "Come un tempo Dio venne
incontro al suo popolo con un patto di amore e di fedeltà, così ora il
Salvatore degli uomini e Sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi
cristiani attraverso il sacramento del Matrimonio" [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 48]. Egli rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo
prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di
perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri, [ Cf Gal
6,2 ] di essere "sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo" ( Ef
5,21 ) e di amarsi di un amore soprannaturale, delicato e fecondo. Nelle
gioie del loro amore e della loro vita familiare egli concede loro, fin da
quaggiù, una pregustazione del banchetto delle nozze dell'Agnello:
Come sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa
unisce, l'offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli
annunciano e il Padre celeste ratifica?. . . Quale giogo quello di due
fedeli uniti in un'unica speranza, in un unico desiderio, in un'unica
osservanza, in un unico servizio! Entrambi sono figli dello stesso Padre,
servi dello stesso Signore; non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e
quanto alla carne. Anzi, sono veramente due in una sola carne e dove la
carne è unica, unico è lo spirito [Tertulliano, Ad uxorem, 2, 9; cf Giovanni
Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 13].
V. I beni e le esigenze dell'amore coniugale
1643 "L'amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le
componenti della persona - richiamo del corpo e dell'istinto, forza del
sentimento e dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà -;
esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là
dell'unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuore solo e
un'anima sola; esso esige l' indissolubilità e la fedeltà della donazione
reciproca definitiva e si apre sulla fecondità. In una parola, si tratta di
caratteristiche normali di ogni amore coniugale, ma con un significato nuovo
che non solo le purifica e le consolida, ma anche le eleva al punto da farne
l'espressione di valori propriamente cristiani" [Giovanni Paolo II, Esort.
ap. Familiaris consortio, 13].
L'unità e l'indissolubilità del matrimonio
1644 L'amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l'unità e
l'indissolubilità della loro comunità di persone che ingloba tutta la loro
vita: "Così che non sono più due, ma una carne sola" ( Mt 19,6 ) [Cf Gen
2,24 ]. Essi "sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione
attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco
dono totale" [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 19].
Questa comunione umana è confermata, purificata e condotta a perfezione
mediante la comunione in Cristo Gesù, donata dal sacramento del Matrimonio.
Essa si approfondisce mediante la vita della comune fede e l'Eucaristia
ricevuta insieme.
1645 "L'unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera
lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell'uomo che della donna,
che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore" [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 49]. La poligamia è contraria a questa pari dignità e
all'amore coniugale che è unico ed esclusivo [Cf Giovanni Paolo II, Esort.
ap. Familiaris consortio, 19].
La fedeltà dell'amore coniugale
1646 L'amore coniugale esige dagli sposi, per sua stessa natura, una fedeltà
inviolabile. E' questa la conseguenza del dono di se stessi che gli sposi si
fanno l'uno all'altro. L'amore vuole essere definitivo. Non può essere "fino
a nuovo ordine". "Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due
persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e
ne reclamano l'indissolubile unità" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
48].
1647 La motivazione più profonda si trova nella fedeltà di Dio alla sua
alleanza, di Cristo alla sua Chiesa. Dal sacramento del Matrimonio gli sposi
sono abilitati a rappresentare tale fedeltà e a darne testimonianza. Dal
sacramento, l'indissolubilità del Matrimonio riceve un senso nuovo e più
profondo.
1648 Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la vita
a un essere umano. E' perciò quanto mai necessario annunciare la buona
novella che Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli sposi
sono partecipi di questo amore, che egli li conduce e li sostiene, e che
attraverso la loro fedeltà possono essere i testimoni dell'amore fedele di
Dio. I coniugi che, con la grazia di Dio, danno questa testimonianza, spesso
in condizioni molto difficili, meritano la gratitudine e il sostegno della
comunità ecclesiale [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
20].
1649 Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale
diventa pra ticamente impossibile per le più varie ragioni. In tali casi la
Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della
coabitazione. I coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio;
non sono liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile
situazione, la soluzione migliore sarebbe, se possibile, la riconciliazione.
La comunità cristiana è chiamata ad aiutare queste persone a vivere
cristianamente la loro situazione, nella fedeltà al vincolo del loro
matrimonio che resta indissolubile [Cf ibid., 83; Codice di Diritto
Canonico, 1151-1155].
1650 Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al
divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova
unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Chi
ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di
lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio":
Mc 10,11-12 ), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era
valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente,
essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge
di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per
tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono
esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il
sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si
sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a
Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.
1651 Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che
spesso conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli,
i sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta
sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa,
alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati:
Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio
della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di
carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare
i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di
penitenza, per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio
[Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 84].
L'apertura alla fecondità
1652 "Per sua indole naturale, l'istituto stesso del matrimonio e l'amore
coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in
queste trovano il loro coronamento": [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
48]
I figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono
moltissimo al bene degli stessi genitori. Lo stesso Dio che disse: "Non è
bene che l'uomo sia solo" ( Gen 2,18 ) e che "creò all'inizio l'uomo maschio
e femmina" ( Mt 19,4 ), volendo comunicare all'uomo una certa speciale
partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l'uomo e la donna,
dicendo loro: "Crescete e moltiplicatevi" ( Gen 1,28 ). Di conseguenza la
vera pratica dell'amore coniugale e tutta la struttura della vita familiare
che ne nasce, senza posporre gli altri fini del matrimonio, a questo tendono
che i coniugi, con fortezza d'animo, siano disposti a cooperare con l'amore
del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e
arricchisce la sua famiglia [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48].
1653 La fecondità dell'amore coniugale si estende ai frutti della vita
morale, spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro figli
attraverso l'educazione. I genitori sono i primi e principali educatori dei
loro figli [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gravissimum educationis, 3]. In questo
senso il compito fondamentale del matrimonio e della famiglia è di essere al
servizio della vita [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
28].
1654 I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono
nondimeno avere una vita coniugale piena di senso, umanamente e
cristianamente. Il loro matrimonio può risplendere di una fecondità di
carità, di accoglienza e di sacrificio.
VI. La Chiesa domestica
1655 Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla Santa Famiglia di
Giuseppe e di Maria. La Chiesa non è altro che la "famiglia di Dio". Fin
dalle sue origini, il nucleo della Chiesa era spesso costituito da coloro
che, insieme con tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti [Cf At 18,8
]. Allorché si convertivano, desideravano che anche tutta la loro famiglia
fosse salvata [Cf At 16,31 e 11, 14]. Queste famiglie divenute credenti
erano piccole isole di vita cristiana in un mondo incredulo.
1656 Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla
fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di
fede viva e irradiante. E' per questo motivo che il Concilio Vaticano II,
usando un'antica espressione, chiama la famiglia "Ecclesia domestica" Chiesa
domestica [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11; cf Giovanni Paolo II,
Esort. ap. Familiaris consortio, 21]. E' in seno alla famiglia che "i
genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l'esempio, i
primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e
quella sacra in modo speciale" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11].
1657 E' qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio
battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri
della famiglia, "con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il
ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e
l'operosa carità" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11]. Il focolare è
così la prima scuola di vita cristiana e "una scuola di umanità più ricca"
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 52]. E' qui che si apprende la fatica
e la gioia del lavoro, l'amore fraterno, il perdono generoso, sempre
rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l'offerta
della propria vita.
1658 Bisogna anche ricordare alcune persone che, a causa delle condizioni
concrete in cui devono vivere - e spesso senza averlo voluto - sono
particolarmente vicine al cuore di Gesù e meritano quindi affetto e
premurosa sollecitudine da parte della Chiesa e in modo speciale dei
pastori: il gran numero di persone celibi. Molte di loro restano senza
famiglia umana, spesso a causa delle condizioni di povertà. Ve ne sono di
quelle che vivono la loro situazione nello spirito delle Beatitudini,
servendo Dio e il prossimo in maniera esemplare. A tutte loro bisogna aprire
le porte dei focolari, "Chiese domestiche", e della grande famiglia che è la
Chiesa. "Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e
famiglia per tutti, specialmente per quanti sono "affaticati e oppressi" (
Mt 11,28 )" [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 85].
In sintesi
1659 San Paolo dice: "Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha
amato la Chiesa. . . Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a
Cristo e alla Chiesa" ( Ef 5,25; Ef 5,32 ).
1660 L'alleanza matrimoniale, mediante la quale un uomo e una donna
costituiscono fra loro un'intima comunione di vita e di amore, è stata
fondata e dotata di sue proprie leggi dal Creatore. Per sua natura è
ordinata al bene dei coniugi così come alla generazione e all'educazione
della prole. Tra battezzati essa è stata elevata da Cristo Signore alla
dignità di sacramento [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48; Codice
di Diritto Canonico, 1055, 1].
1661 Il sacramento del Matrimonio è segno dell'unione di Cristo e della
Chiesa. Esso dona agli sposi la grazia di amarsi con l'amore con cui Cristo
ha amato la sua Chiesa; la grazia del sacramento perfeziona così l'amore
umano dei coniugi, consolida la loro unità indissolubile e li santifica nel
cammino della vita eterna [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1799].
1662 Il matrimonio si fonda sul consenso dei contraenti, cioè sulla volontà
di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un'alleanza
d'amore fedele e fecondo.
1663 Poiché il matrimonio stabilisce i coniugi in uno stato pubblico di vita
nella Chiesa, è opportuno che la sua celebrazione sia pubblica, inserita in
una celebrazione liturgica, alla presenza del sacerdote (o del testimone
qualificato della Chiesa), dei testimoni e dell'assemblea dei fedeli.
1664 L'unità, l'indissolubilità e l'apertura alla fecondità sono essenziali
al matrimonio. La poligamia è incompatibile con l'unità del matrimonio; il
divorzio separa ciò che Dio ha unito; il rifiuto della fecondità priva la
vita coniugale del suo "preziosissimo dono", il figlio [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 50].
1665 Il nuovo matrimonio dei divorziati, mentre è ancora vivo il coniuge
legittimo, contravviene al disegno e alla Legge di Dio insegnati da Cristo.
Costoro non sono separati dalla Chiesa, ma non possono accedere alla
Comunione eucaristica. Vivranno la loro vita cristiana particolarmente
educando i loro figli nella fede.
1666 Il focolare cristiano è il luogo in cui i figli ricevono il primo
annuncio della fede. Ecco perché la casa familiare è chiamata a buon diritto
"la Chiesa domestica", comunità di grazia e di preghiera, scuola delle virtù
umane e della carità cristiana.
PARTE SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE SECONDA - "I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA"
CAPITOLO QUARTO - LE ALTRE CELEBRAZIONI LITURGICHE
Articolo 1
I SACRAMENTALI
1667 "La santa Madre Chiesa ha istituito i sacramentali. Questi sono segni
sacri per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono
significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti
soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a
ricevere l'effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie
circostanze della vita" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 60; cf
Codice di Diritto Canonico, 1166; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium,
867].
I tratti caratteristici dei sacramentali
1668 Essi sono istituiti dalla Chiesa per la santificazione di alcuni
ministeri ecclesiastici, di alcuni stati di vita, di circostanze molto varie
della vita cristiana, così come dell'uso di cose utili all'uomo. Secondo le
decisioni pastorali dei vescovi, possono anche rispondere ai bisogni, alla
cultura e alla storia propri del popolo cristiano di una regione o di
un'epoca. Comportano sempre una preghiera, spesso accompagnata da un
determinato segno, come l'imposizione della mano, il segno della croce,
l'aspersione con l'acqua benedetta (che richiama il Battesimo).
1669 Essi derivano dal sacerdozio battesimale: ogni battezzato è chiamato ad
essere una "benedizione" [Cf Gen 12,2 ] e a benedire [Cf Lc 6,28; Rm 12,14;
1669 1Pt 3,9 ]. Per questo anche i laici possono presiedere alcune
benedizioni; [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 79; Codice di
Diritto Canonico, 1168] più una benedizione riguarda la vita ecclesiale e
sacramentale, più la sua presidenza è riservata al ministero ordinato
[Vescovi, sacerdoti o diaconi; cf Rituale Romano, Benedizionale, 16, 18].
1670 I sacramentali non conferiscono la grazia dello Spirito Santo alla
maniera dei sacramenti; però mediante la preghiera della Chiesa preparano a
ricevere la grazia e dispongono a cooperare con essa. "Ai fedeli ben
disposti è dato di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per
mezzo della grazia divina che fluisce dal Mistero pasquale della Passione,
Morte e Risurrezione di Cristo, Mistero dal quale derivano la loro efficacia
tutti i sacramenti e i sacramentali; e così ogni uso onesto delle cose
materiali può essere indirizzato alla santificazione dell'uomo e alla lode
di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 61].
Le varie forme di sacramentali
1671 Fra i sacramentali ci sono innanzi tutto le benedizioni (di persone,
della mensa, di oggetti, di luoghi). Ogni benedizione è lode di Dio e
preghiera per ottenere i suoi doni. In Cristo, i cristiani sono benedetti da
Dio Padre "con ogni benedizione spirituale" ( Ef 1,3 ). Per questo la Chiesa
impartisce la benedizione invocando il nome di Gesù, e facendo normalmente
il santo segno della croce di Cristo.
1672 Alcune benedizioni hanno una portata duratura: hanno per effetto di
consacrare delle persone a Dio e di riservare oggetti e luoghi all'uso
liturgico. Fra quelle che sono destinate a persone - da non confondere con
l'ordinazione sacramentale - figurano la benedizione dell'abate o
dell'abbadessa di un monastero, la consacrazione delle vergini e delle
vedove, il rito della professione religiosa e le benedizioni per alcuni
ministeri ecclesiastici (lettori, accoliti, catechisti, ecc). Come esempio
delle benedizioni che riguardano oggetti, si può segnalare la dedicazione o
la benedizione di una chiesa o di un altare, la benedizione degli olii
santi, dei vasi e delle vesti sacre, delle campane, ecc.
1673 Quando la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù
Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l'influenza del
Maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo. Gesù l'ha
praticato; è da lui che la Chiesa deriva il potere e il compito di
esorcizzare [Cf Mc 1,25 ss; Mc 3,15; Mc 6,7; Mc 6,13; 1673 Mc 16,17 ]. In
una forma semplice, l'esorcismo è praticato durante la celebrazione del
Battesimo. L'esorcismo solenne, chiamato "grande esorcismo", può essere
praticato solo da un presbitero e con il permesso del vescovo. In ciò
bisogna procedere con prudenza, osservando rigorosamente le norme stabilite
dalla Chiesa. L'esorcismo mira a scacciare i demoni o a liberare
dall'influenza demoniaca, e ciò mediante l'autorità spirituale che Gesù ha
affidato alla sua Chiesa. Molto diverso è il caso di malattie, soprattutto
psichiche, la cui cura rientra nel campo della scienza medica. E'
importante, quindi, accertarsi, prima di celebrare l'esorcismo, che si
tratti di una presenza del Maligno e non di una malattia [Cf Codice di
Diritto Canonico, 1172].
La religiosità popolare
1674 Oltre che della Liturgia dei sacramenti e dei sacramentali, la
catechesi deve tener conto delle forme della pietà dei fedeli e della
religiosità popolare. Il senso religioso del popolo cristiano, in ogni
tempo, ha trovato la sua espressione nelle varie forme di pietà che
circondano la vita sacramentale della Chiesa, quali la venerazione delle
reliquie, le visite ai santuari, i pellegrinaggi, le processioni, la "via
crucis", le danze religiose, il rosario, le medaglie, ecc [Cf Concilio di
Nicea II: Denz. -Schönm., 601; 603; Concilio di Trento: ibid., 1822].
1675 Queste espressioni sono un prolungamento della vita liturgica della
Chiesa, ma non la sostituiscono: "Bisogna che tali esercizi, tenuto conto
dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la
sacra liturgia, derivino in qualche modo da essa, e ad essa, data la sua
natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano" [Conc. Ecum.
Vat. II, Sacrosanctum concilium, 13].
1676 E' necessario un discernimento pastorale per sostenere e favorire la
religiosità popolare e, all'occorrenza, per purificare e rettificare il
senso religioso che sta alla base di tali devozioni e per far progredire
nella conoscenza del Mistero di Cristo [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap.
Catechesi tradendae, 54]. Il loro esercizio è sottomesso alla cura e al
giudizio dei vescovi e alle norme generali della Chiesa.
La religiosità popolare, nell'essenziale, è un insieme di valori che, con
saggezza cristiana, risponde ai grandi interrogativi dell'esistenza. Il buon
senso popolare cattolico è fatto di capacità di sintesi per l'esistenza. E'
così che esso unisce, in modo creativo, il divino e l'umano, Cristo e Maria,
lo spirito e il corpo, la comunione e l'istituzione, la persona e la
comunità, la fede e la patria, l'intelligenza e il sentimento. Questa
saggezza è un umanesimo cristiano che afferma radicalmente la dignità di
ogni essere in quanto figlio di Dio, instaura una fraternità fondamentale,
insegna a porsi in armonia con la natura e anche a comprendere il lavoro, e
offre delle motivazioni per vivere nella gioia e nella serenità, pur in
mezzo alle traversie dell'esistenza. Questa saggezza è anche, per il popolo,
un principio di discernimento, un istinto evangelico che gli fa
spontaneamente percepire quando il Vangelo è al primo posto nella Chiesa, o
quando esso è svuotato del suo contenuto e soffocato da altri interessi
[Documento di Puebla [1979] 448; cf Paolo VI, Esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 48].
In sintesi
1677 Si chiamano sacramentali i sacri segni istituiti dalla Chiesa il cui
scopo è di preparare gli uomini a ricevere il frutto dei sacramenti e di
santificare le varie circostanze della vita.
1678 Fra i sacramentali, le benedizioni occupano un posto importante. Esse
comportano ad un tempo la lode di Dio per le sue opere e i suoi doni, e
l'intercessione della Chiesa affinché gli uomini possano usare i doni di Dio
secondo lo spirito del Vangelo.
1679 Oltre che della Liturgia, la vita cristiana si nutre di varie forme di
pietà popolare, radicate nelle diverse culture. Pur vigilando per
illuminarle con la luce della fede, la Chiesa favorisce le forme di
religiosità popolare, che esprimono un istinto evangelico e una saggezza
umana e arricchiscono la vita cristiana.
Articolo 2
LE ESEQUIE CRISTIANE
1680 Tutti i sacramenti, e principalmente quelli dell'iniziazione cristiana,
hanno per scopo l'ultima Pasqua del figlio di Dio, quella che, attraverso la
morte, lo introduce nella vita del Regno. Allora si compie ciò che confessa
nella fede e nella speranza: "Aspetto la Risurrezione dei morti e la vita
del mondo che verrà" [Simbolo di Nicea-Costantinopoli].
I. L'ultima Pasqua del cristiano
1681 Il senso cristiano della morte si manifesta alla luce del Mistero
pasquale della Morte e della Risurrezione di Cristo, nel quale riposa la
nostra unica speranza. Il cristiano che muore in Cristo Gesù "va in esilio
dal corpo per abitare presso il Signore" ( 2Cor 5,8 ).
1682 Il giorno della morte inaugura per il cristiano, al termine della sua
vita sacramentale, il compimento della sua nuova nascita cominciata con il
Battesimo, la "somiglianza" definitiva all'"immagine del Figlio" conferita
dall'Unzione dello Spirito Santo e la partecipazione al banchetto del Regno
anticipato nell'Eucaristia, anche se, per rivestire l'abito nuziale, ha
ancora bisogno di ulteriori purificazioni.
1683 La Chiesa che, come Madre, ha portato sacramentalmente nel suo seno il
cristiano durante il suo pellegrinaggio terreno, lo accompagna al termine
del suo cammino per rimetterlo "nelle mani del Padre". Essa offre al Padre,
in Cristo, il figlio della sua grazia e, nella speranza, consegna alla terra
il seme del corpo che risusciterà nella gloria [Cf 1Cor 15,42-44 ]. Questa
offerta è celebrata in pienezza nel Sacrificio eucaristico; le benedizioni
che precedono e che seguono sono dei sacramentali.
II. La celebrazione delle esequie
1684 Le esequie cristiane sono una celebrazione liturgica della Chiesa [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 81-82]. Il ministero della
Chiesa in questo caso mira ad esprimere la comunione efficace con il defunto
come pure a farvi partecipare la comunità riunita per le esequie e ad
annunciarle la vita eterna.
1685 I differenti riti delle esequie esprimono il carattere pasquale della
morte cristiana, e rispondono alle situazioni e alle tradizioni delle
singole regioni, anche quanto al colore liturgico [Cf ibid., 81].
1686 L' Ordo exsequiarum [Rituale romano, Rito delle esequie] della liturgia
romana propone tre tipi di celebrazione delle esequie, corrispondenti ai tre
luoghi del suo svolgimento (la casa, la chiesa, il cimitero), e secondo
l'importanza che vi attribuiscono la famiglia, le consuetudini locali, la
cultura e la pietà popolare. Questo svolgimento è del resto comune a tutte
le tradizioni liturgiche e comprende quattro momenti principali:
1687 L' accoglienza della comunità. Un saluto di fede apre la celebrazione.
I parenti del defunto sono accolti con una parola di "conforto" (nel senso
del Nuovo Testamento: la forza dello Spirito Santo nella speranza) [Cf 1Ts
4,18 ]. La comunità che si raduna in preghiera attende anche "le parole di
vita eterna". La morte di un membro della comunità (o il giorno
anniversario, il settimo o il trigesimo) è un evento che deve far superare
le prospettive di "questo mondo" e attirare i fedeli nelle autentiche
prospettive della fede nel Cristo risorto.
1688 La Liturgia della Parola, durante le esequie, esige una preparazione
tanto più attenta in quanto l'assemblea presente in quel momento può
comprendere fedeli poco assidui alla Liturgia e amici del defunto che non
sono cristiani. L'omelia, in particolare, deve evitare "la forma e lo stile
di un elogio funebre" [Rituale romano, Rito delle esequie, 41] e illuminare
il mistero della morte cristiana alla luce di Cristo risorto.
1689 Il Sacrificio eucaristico. Quando la celebrazione ha luogo in chiesa,
l'Eucaristia è il cuore della realtà pasquale della morte cristiana [Cf
ibid., 1]. E' allora che la Chiesa esprime la sua comunione efficace con il
defunto: offrendo al Padre, nello Spirito Santo, il sacrificio della Morte e
della Risurrezione di Cristo, gli chiede che il suo figlio sia purificato
dai suoi peccati e dalle loro conseguenze e che sia ammesso alla pienezza
pasquale della mensa del Regno [Cf ibid., 57]. E' attraverso l'Eucaristia
così celebrata che la co munità dei fedeli, specialmente la famiglia del
defunto, impara a vivere in comunione con colui che "si è addormentato nel
Signore", comunicando al Corpo di Cristo di cui egli è membro vivente, e
pregando poi per lui e con lui.
1690 L'addio ("a-Dio") al defunto è la sua "raccomandazione a Dio" da parte
della Chiesa. E' "l'ultimo saluto rivolto dalla comunità cristiana a un suo
membro, prima che il corpo sia portato alla sepoltura" [Cf ibid., 57]. La
tradizione bizantina lo esprime con il bacio di addio al defunto:
Con questo saluto finale "si canta per la sua dipartita da questa vita e la
sua separazione, ma anche perché esiste una comunione e una riunione.
Infatti, morti, non siamo affatto separati gli uni dagli altri, poiché noi
tutti percorriamo la medesima strada e ci ritroveremo nel medesimo luogo.
Non saremo mai separati, perché viviamo per Cristo, e ora siamo uniti a
Cristo, andando incontro a lui. . . saremo tutti insieme in Cristo" [San
Simeone di Tessalonica, De ordine sepulturae: PG 155, 685B].
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