CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA |
PARTE TERZA
LA VITA IN CRISTO
1691 "Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della natura
divina, non voler tornare all'antica bassezza con una vita indegna. Ricorda
a quale Capo appartieni e di quale Corpo sei membro. Ripensa che, liberato
dal potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce e nel Regno di
Dio" [San Leone Magno, Sermones, 21, 2-3; PL 54, 192A; cf Liturgia delle
Ore, I, Ufficio delle letture di Natale].
1692 Il Simbolo della fede ha professato la grandezza dei doni di Dio
all'uomo nell'opera della creazione e ancor più mediante la redenzione e la
santificazione. Ciò che la fede confessa, i sacramenti lo comunicano: per
mezzo dei "sacramenti che li hanno fatti rinascere", i cristiani sono
diventati "figli di Dio" ( Gv 1,12; 1Gv 3,1 ), " partecipi della natura
divina" ( 2Pt 1,4 ). Riconoscendo nella fede la loro nuova dignità, i
cristiani sono chiamati a comportarsi ormai "da cittadini degni del Vangelo"
( Fil 1,27 ). Mediante i sacramenti e la preghiera, essi ricevono la grazia
di Cristo e i doni del suo Spirito, che li rendono capaci di questa vita
nuova.
1693 Cristo Gesù ha sempre fatto ciò che era gradito al Padre [Cf Gv 8,29 ].
Egli ha sempre vissuto in perfetta comunione con lui. Allo stesso modo i
suoi discepoli sono invitati a vivere sotto lo sguardo del Padre "che vede
nel segreto" ( Mt 6,6 ) per diventare "perfetti come è perfetto il Padre...
celeste" ( Mt 5,47 ).
1694 Incorporati a Cristo per mezzo del Battesimo, [Cf Rm 6,5 ] i cristiani
sono "morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù" ( Rm 6,11 )
partecipando così alla vita del Risorto [Cf Col 2,12 ]. Alla sequela di
Cristo e in unione con lui, [Cf Gv 15,5 ] i cristiani possono farsi
"imitatori di Dio, quali figli carissimi", e camminare "nella carità" ( Ef
5,1 ), conformando i loro pensieri, le loro parole, le loro azioni ai
"sentimenti che furono in Cristo Gesù" ( Fil 2,5 ) e seguendone gli esempi
[Cf Gv 13,12-16 ].
1695 "Giustificati nel Nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del
nostro Dio" ( 1Cor 6,11 ), "santificati" e "chiamati ad essere santi" ( 1Cor
1,2 ) i cristiani sono diventati "tempio dello Spirito Santo " [Cf 1Cor 6,19
]. Questo "Spirito del Figlio" insegna loro a pregare il Padre [Cf Gal 4,6 ]
e, essendo diventato la loro vita, li fa agire [Cf Gal 5,25 ] in modo tale
che portino "il frutto dello Spirito" ( Gal 5,22 ) mediante una carità
operosa. Guarendo le ferite del peccato, lo Spirito Santo ci rinnova
interiormente "nello spirito" ( Ef 4,23 ), ci illumina e ci fortifica per
vivere come "figli della luce" ( Ef 5,8 ), mediante "ogni bontà, giustizia e
verità" ( Ef 5,9 ).
1696 La via di Cristo "conduce alla vita", una via opposta "conduce alla
perdizione" ( Mt 7,13 ) [Cf Dt 30,15-20 ]. La parabola evangelica delle due
vie è sempre presente nella catechesi della Chiesa. Essa sta ad indicare
l'importanza delle decisioni morali per la nostra salvezza. "Ci sono due
vie, l'una della vita, l'altra della morte; ma tra le due corre una grande
differenza" [Didaché, 1, 1].
1697 Nella catechesi è importante mettere in luce con estrema chiarezza la
gioia e le esigenze della via di Cristo [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap.
Catechesi tradendae, 29]. La catechesi della "vita nuova" ( Rm 6,4 ) in lui
sarà:
- una catechesi dello Spirito Santo, Maestro interiore della vita secondo
Cristo, dolce ospite e amico che ispira, conduce, corregge e fortifica
questa vita;
- una catechesi della grazia, poiché è per grazia che siamo salvati ed è
ancora per grazia che le nostre opere possono portare frutto per la vita
eterna;
- una catechesi delle beatitudini; infatti la via di Cristo è riassunta
nelle beatitudini, il solo cammino verso la felicità eterna, cui aspira il
cuore dell'uomo;
- una catechesi del peccato e del perdono, poiché, se se non si riconosce
peccatore, l'uomo non può conoscere la verità su se stesso, condizione del
retto agire, e senza l'offerta del perdono non potrebbe sopportare tale
verità;
- una catechesi delle virtù umane, che conduce a cogliere la bellezza e
l'attrattiva delle rette disposizioni per il bene;
- una catechesi delle virtù cristiane della fede, della speranza e della
carit, che si ispira al sublime esempio dei santi;
- una catechesi del duplice comandamento della carità sviluppato nel
Decalogo;
- una catechesi ecclesiale, perché è nei molteplici scambi dei "beni
spirituali" nella "comunione dei dei santi" che la vita cristiana può
crescere, svilupparsi e comunicarsi.
1698 Il riferimento primo e ultimo di tale catechesi sarà sempre Gesù Cristo
stesso, che è "la via, la verità e la vita" ( Gv 14,6 ). Guardando a lui
nella fede, i cristiani possono sperare che egli stesso realizzi in loro le
sue promesse, e che, amandolo con l'amore con cui egli li ha amati, compiano
le opere che si addicono alla loro dignità:
Vi prego di considerare che Gesù Cristo nostro Signore è il vostro vero Capo
e che voi siete una delle sue membra. Egli sta a voi come il capo alle
membra; tutto ciò che è suo è vostro, il suo Spirito, il suo Cuore, il suo
Corpo, la sua anima e tutte le sue facoltà, e voi dovete usarne come se
fossero cose vostre, per servire, lodare, amare e glorificare Dio. Voi
appartenete a lui, come le membra al loro capo. Allo stesso modo egli
desidera ardentemente usare tutto ciò che è in voi, al servizio e per la
gloria del Padre, come se fossero cose che gli appartengono [San Giovanni
Eudes, Tractatus de admirabili corde Iesu; cf Liturgia delle Ore, IV,
Ufficio delle letture del 19 agosto].
Per me il vivere è Cristo ( Fil 1,21 ).
PARTE TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE PRIMA - LA VOCAZIONE DELL'UOMO: LA VITA NELLO SPIRITO
1699 La vita nello Spirito Santo realizza la vocazione dell'uomo (capitolo
primo). E' fatta di carità divina e di solidarietà umana (capitolo secondo).
E' gratuitamente concessa come una Salvezza (capitolo terzo).
CAPITOLO PRIMO - LA DIGNITA' DELLA PERSONA UMANA
1700 La dignità della persona umana si radica nella creazione ad immagine e
somiglianza di Dio (articolo 1); ha il suo compimento nella vocazione alla
beatitudine divina (articolo 2). E' proprio dell'essere umano tendere
liberamente a questo compimento (articolo 3). Con i suoi atti liberi
(articolo 4), la persona umana si conforma, o no, al bene promesso da Dio e
attestato dalla coscienza morale (articolo 5). Gli esseri umani si edificano
da se stessi e crescono interiormente: di tutta la loro vita sensibile e
spirituale fanno un materiale per la loro crescita (articolo 6). Con l'aiuto
della grazia progrediscono nella virtù (articolo 7), evitano il peccato e,
se l'hanno commesso, si affidano, come il figlio prodigo, [Cf Lc 15,11-31 ]
alla misericordia del nostro Padre dei cieli (articolo 8). Così raggiungono
la perfezione della carità.
Articolo 1
L'UOMO IMMAGINE DI DIO
1701 "Cristo. . ., proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore,
svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima
vocazione" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. E' in
Cristo,"immagine del Dio invisibile" ( Col 1,15 ) [Cf 2Cor 4,4 ] che l'uomo
è stato creato ad "immagine e somiglianza" del Creatore. E' in Cristo,
Redentore e Salvatore, che l'immagine divina, deformata nell'uomo dal primo
peccato, è stata restaurata nella sua bellezza originale e nobilitata dalla
grazia di Dio [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
1702 L'immagine divina è presente in ogni uomo. Risplende nella comunione
delle persone, a somiglianza dell'unità delle persone divine tra loro.
1703 Dotata di "un'anima spirituale ed immortale", [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 14] la persona umana è in terra "la sola creatura che Dio
abbia voluto per se stessa" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14]. Fin
dal suo concepimento è destinata alla beatitudine eterna.
1704 La persona umana partecipa alla luce e alla forza dello Spirito divino.
Grazie alla ragione è capace di comprendere l'ordine delle cose stabilito
dal Creatore. Grazie alla sua volontà è capace di orientarsi da sé al suo
vero bene. Trova la propria perfezione nel "cercare" e nell'"amare il vero e
il bene" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14].
1705 In virtù della sua anima e delle sue potenze spirituali d'intelligenza
e di volontà, l'uomo è dotato di libertà, "segno altissimo dell'immagine
divina" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14].
1706 Con la sua ragione l'uomo conosce la voce di Dio che lo "chiama sempre.
. . a fare il bene e a fuggire il male" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 14]. Ciascuno è tenuto a seguire questa legge che risuona nella
coscienza e che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo.
L'esercizio della vita morale attesta la dignità della persona.
1707 "L'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò
della libertà sua" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14]. Egli cedette
alla tentazione e commise il male. Conserva il desiderio del bene, ma la sua
natura porta la ferita del peccato originale. E' diventato incline al male e
soggetto all'errore:
Così l'uomo si trova in se stesso diviso. Per questo tutta la vita umana,
sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica
tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 14].
1708 Con la sua Passione Cristo ci ha liberati da Satana e dal peccato. Ci
ha meritato la vita nuova nello Spirito Santo. La sua grazia restaura ciò
che il peccato aveva in noi deteriorato.
1709 Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. Questa adozione filiale lo
trasforma dandogli la capacità di seguire l'esempio di Cristo. Lo rende
capace di agire rettamente e di compiere il bene. Nell'unione con il suo
Salvatore, il discepolo raggiunge la perfezione della carità, la santità. La
vita morale, maturata nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria del
cielo.
In sintesi
1710 "Cristo. . . svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua
altissima vocazione" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
1711 Dotata di un'anima spirituale, d'intelligenza e di volontà, la persona
umana fin dal suo concepimento è ordinata a Dio e destinata alla beatitudine
eterna. Essa raggiunge la propria perfezione nel "cercare" ed "amare il vero
e il bene" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
1712 La vera libertà è nell'uomo "segno altissimo dell'immagine divina"
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
1713 L'uomo è tenuto a seguire la legge morale che lo spinge "a fare il bene
e a fuggire il male" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. Questa
legge risuona nella sua coscienza.
1714 L'uomo, ferito nella propria natura dal peccato originale, è soggetto
all'errore ed incline al male nell'esercizio della sua libertà.
1715 Chi crede in Cristo ha la vita nuova nello Spirito Santo. La vita
morale, cresciuta e maturata nella grazia, arriva a compimento nella gloria
del cielo.
Articolo 2
LA NOSTRA VOCAZIONE ALLA BEATITUDINE
I. Le beatitudini
1716 Le beatitudini sono al centro della predicazione di Gesù. La loro
proclamazione riprende le promesse fatte al popolo eletto a partire da
Abramo. Le porta alla perfezione ordinandole non più al solo godimento di
una terra, ma al Regno dei cieli:
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei
cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno
ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate,
perché grande è la vostra ricompensa nei cieli ( Mt 5,3-12 ).
1717 Le beatitudini dipingono il volto di Gesù Cristo e ne descrivono la
carità; esse esprimono la vocazione dei fedeli associati alla gloria della
sua Passione e della sua Risurrezione; illuminano le azioni e le
disposizioni caratteristiche della vita cristiana; sono le promesse
paradossali che, nelle tribolazioni, sorreggono la speranza; annunziano le
benedizioni e le ricompense già oscuramente anticipate ai discepoli; sono
inaugurate nella vita della Vergine e di tutti i Santi.
II. Il desiderio della felicità
1718 Le beatitudini rispondono all'innato desiderio di felicità. Questo
desiderio è di origine divina: Dio l'ha messo nel cuore dell'uomo per
attirarlo a sé, perché egli solo lo può colmare.
Noi tutti certamente bramiamo vivere felici, e tra gli uomini non c'è
nessuno che neghi il proprio assenso a questa affermazione, anche prima che
venga esposta in tutta la sua portata [Sant'Agostino, De moribus ecclesiae
catholicae, 1, 3, 4: PL 32, 1312].
Come ti cerco, dunque, Signore? Cercando Te, Dio mio, io cerco la felicità.
Ti cercherò perché l'anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima e la
mia anima vive di Te [Sant'Agostino, Confessiones, 10, 20, 29].
Dio solo sazia [San Tommaso d'Aquino, Expositio in symbolum apostolicum, 1].
1719 Le beatitudini svelano la mèta dell'esistenza umana, il fine ultimo cui
tendono le azioni umane: Dio ci chiama alla sua beatitudine. Tale vocazione
è rivolta a ciascuno personalmente, ma anche all'insieme della Chiesa,
popolo nuovo di coloro che hanno accolto la promessa e di essa vivono nella
fede.
III. La beatitudine cristiana
1720 Il Nuovo Testamento usa parecchie espressioni per caratterizzare la
beatitudine alla quale Dio chiama l'uomo: l'avvento del Regno di Dio; [Cf Mt
4,17 ] la visione di Dio: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" ( Mt
5,8 ); [Cf 1Gv 3,2; 1Cor 13,12 ] l'entrata nella gioia del Signore; [Cf Mt
25,21; 1720 Mt 25,23 ] l'entrata nel Riposo di Dio: [Cf Eb 4,7-11 ]
Là noi riposeremo e vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo. Ecco ciò
che alla fine sarà, senza fine. E quale altro fine abbiamo, se non di
giungere al regno che non avrà fine? [Sant'Agostino, De civitate Dei, 22,
30]
1721 Dio infatti ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così
giungere in Paradiso. La beatitudine ci rende partecipi della natura divina
[Cf 2Pt 1,4 ] e della vita eterna [Cf Gv 17,3 ]. Con essa, l'uomo entra
nella gloria di Cristo [Cf Rm 8,18 ] e nel godimento della vita trinitaria.
1722 Una tale beatitudine oltrepassa l'intelligenza e le sole forze umane.
Essa è frutto di un dono gratuito di Dio. Per questo la si dice
soprannaturale, come la grazia che dispone l'uomo ad entrare nella gioia di
Dio.
"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio"; tuttavia nella sua grandezza e
nella sua mirabile gloria, "nessun uomo può vedere Dio e restare vivo". Il
Padre, infatti, è incomprensibile; ma nel suo amore, nella sua bontà verso
gli uomini, e nella sua onnipotenza, arriva a concedere a coloro che lo
amano il privilegio di vedere Dio. . . poiché "ciò che è impossibile agli
uomini, è possibile a Dio" [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 20,
5].
1723 La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive.
Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a
cercare l'amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità
non si trova né nella ricchezza o nel benessere, né nella gloria umana o nel
potere, né in alcuna attività umana, per quanto utile possa essere, come le
scienze, le tecniche e le arti, né in alcuna creatura, ma in Dio solo,
sorgente di ogni bene e di ogni amore:
La ricchezza è la grande divinità del presente; alla ricchezza la
moltitudine, tutta la massa degli uomini, tributa un omaggio istintivo. Per
gli uomini il metro della felicità è la fortuna, e la fortuna è il metro
dell'onorabilità. . . Tutto ciò deriva dalla convinzione che in forza della
ricchezza tutto è possibile. La ricchezza è quindi uno degli idoli del
nostro tempo, e un altro idolo è la notorietà. . . La notorietà, il fatto di
essere conosciuti e di far parlare di sé nel mondo (ciò che si potrebbe
chiamare fama da stampa), ha finito per essere considerata un bene in se
stessa, un bene sommo, un oggetto, anch'essa, di vera venerazione [John
Henry Newman, Discourses to mixed congregations, 5, sulla santità].
1724 Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci
descrivono le vie che conducono al Regno dei cieli. Noi ci impegniamo in
esse passo passo, mediante azioni quotidiane, sostenuti dalla grazia dello
Spirito Santo. Fecondati dalla Parola di Cristo, lentamente portiamo frutti
nella Chiesa per la gloria di Dio [Cf Mt 13,3-23 ].
In sintesi
1725 Le beatitudini riprendono e portano a perfezione le promesse di Dio
fatte a partire da Abramo, ordinandole al Regno dei cieli. Esse rispondono
al desiderio di felicità che Dio ha posto nel cuore dell'uomo.
1726 Le beatitudini ci insegnano il fine ultimo al quale Dio ci chiama: il
Regno, la visione di Dio, la partecipazione alla natura divina, la vita
eterna, la filiazione, il riposo in Dio.
1727 La beatitudine della vita eterna è un dono gratuito di Dio: è
soprannaturale al pari della grazia che ad essa conduce.
1728 Le beatitudini ci mettono di fronte a scelte decisive riguardo ai beni
terreni; esse purificano il nostro cuore per renderci capaci di amare Dio al
di sopra di tutto.
1729 La beatitudine del Cielo determina i criteri di discernimento nell'uso
dei beni terreni in conformità alla Legge di Dio.
Articolo 3
LA LIBERTA' DELL'UOMO
1730 Dio ha creato l'uomo ragionevole conferendogli la dignità di una
persona dotata dell'iniziativa e della padronanza dei suoi atti. "Dio volle,
infatti, lasciare l'uomo "in mano al suo consiglio"( Sir 15,14 ) così che
esso cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, con
l'adesione a lui, alla piena e beata perfezione": [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 17]
L'uomo è dotato di ragione, e in questo è simile a Dio, creato libero nel
suo arbitrio e potere [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 4, 3].
I. Libertà e responsabilità
1731 La libertà è il potere, radicato nella ragione e nella volontà, di
agire o di non agire, di fare questo o quello, di porre così da se stessi
azioni deliberate. Grazie al libero arbitrio ciascuno dispone di sé. La
libertà è nell'uomo una forza di crescita e di maturazione nella verità e
nella bontà. La libertà raggiunge la sua perfezione quando è ordinata a Dio,
nostra beatitudine.
1732 Finché non si è definitivamente fissata nel suo bene ultimo che è Dio,
la libertà implica la possibilità di scegliere tra il bene e il male, e
conseguentemente quella di avanzare nel cammino di perfezione oppure di
venir meno e di peccare. Essa contraddistingue gli atti propriamente umani.
Diventa sorgente di lode o di biasimo, di merito o di demerito.
1733 Quanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi. Non c'è vera
libertà se non al servizio del bene e della giustizia. La scelta della
disobbedienza e del male è un abuso della libertà e conduce alla schiavitù
del peccato [Cf Rm 6,17 ].
1734 La libertà rende l'uomo responsabile dei suoi atti, nella misura in cui
sono volontari. Il progresso nella virtù, la conoscenza del bene e l'ascesi
accrescono il dominio della volontà sui propri atti.
1735 L'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite
o annullate dall'ignoranza, dall'inavvertenza, dalla violenza, dal timore,
dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure
sociali.
1736 Ogni atto voluto direttamente è da imputarsi a chi lo compie.
Il Signore infatti chiede ad Adamo dopo il peccato nel giardino: "Che hai
fatto?" ( Gen 3,13 ). Così pure a Caino [Cf Gen 4,10 ]. Altrettanto fa il
profeta Natan con il re Davide dopo l'adulterio commesso con la moglie di
Uria e l'assassinio di quest'ultimo [Cf 2Sam 12,7-15 ].
Un'azione può essere indirettamente volontaria quando è conseguenza di una
negligenza riguardo a ciò che si sarebbe dovuto conoscere o fare, per
esempio un incidente provocato da una ignoranza del codice stradale.
1737 Un effetto può essere tollerato senza che sia voluto da colui che
agisce; per esempio lo sfinimento di una madre al capezzale del figlio
ammalato. L'effetto dannoso non è imputabile se non è stato voluto né come
fine né come mezzo dell'azione, come può essere la morte incontrata nel
portare soccorso a una persona in pericolo. Perché l'effetto dannoso sia
imputabile, bisogna che sia prevedibile e che colui che agisce abbia la
possibilità di evitarlo; è il caso, per esempio, di un omicidio commesso da
un conducente in stato di ubriachezza.
1738 La libertà si esercita nei rapporti tra gli esseri umani. Ogni persona
umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere
riconosciuta come un essere libero e responsabile. Tutti hanno verso
ciascuno il dovere di questo rispetto. Il diritto all'esercizio della
libertà è un'esigenza inseparabile dalla dignità della persona umana,
particolarmente in campo morale e religioso [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Dignitatis humanae, 2]. Tale diritto deve essere civilmente riconosciuto e
tutelato nei limiti del bene comune e dell'ordine pubblico [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Dignitatis humanae, 2].
II. La libertà umana nell'Economia della Salvezza
1739 Libertà e peccato. La libertà dell'uomo è finita e fallibile. Di fatto,
l'uomo ha sbagliato. Liberamente ha peccato. Rifiutando il disegno d'amore
di Dio, si è ingannato da sé; è divenuto schiavo del peccato. Questa prima
alienazione ne ha generate molte altre. La storia dell'umanità, a partire
dalle origini, sta a testimoniare le sventure e le oppressioni nate dal
cuore dell'uomo, in conseguenza di un cattivo uso della libertà.
1740 Minacce per la libertà. L'esercizio della libertà non implica il
diritto di dire e di fare qualsiasi cosa. E' falso pretendere che l'uomo,
soggetto della libertà, sia un "individuo sufficiente a se stesso ed avente
come fine il soddisfacimento del proprio interesse nel godimento dei beni
terrestri" [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis
conscientia, 13, AAS 79 (1987), 554-599]. Peraltro, le condizioni d'ordine
economico e sociale, politico e culturale richieste per un retto esercizio
della libertà troppo spesso sono misconosciute e violate. Queste situazioni
di accecamento e di ingiustizia gravano sulla vita morale ed inducono tanto
i forti quanto i deboli nella tentazione di peccare contro la carità.
Allontanandosi dalla legge morale, l'uomo attenta alla propria libertà, si
fa schiavo di se stesso, spezza la fraternità coi suoi simili e si ribella
contro la volontà divina.
1741 Liberazione e salvezza. Con la sua croce gloriosa Cristo ha ottenuto la
salvezza di tutti gli uomini. Li ha riscattati dal peccato che li teneva in
schiavitù. "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" ( Gal 5,1 ). In
lui abbiamo comunione con "la verità" che ci fa "liberi" ( Gv 8,32 ). Ci è
stato donato lo Spirito Santo e, come insegna l'Apostolo, "dove c'è lo
Spirito del Signore c'è libertà" ( 2Cor 3,17 ). Fin d'ora ci gloriamo della
"libertà. .. dei figli di Dio" ( Rm 8,21 ).
1742 Libertà e grazia. La grazia di Cristo non si pone affatto in
concorrenza con la nostra libertà, quando questa è in sintonia con il senso
della verità e del bene che Dio ha messo nel cuore dell'uomo. Al contrario,
e l'esperienza cristiana lo testimonia specialmente nella preghiera, quanto
più siamo docili agli impulsi della grazia, tanto più cresce la nostra
libertà interiore e la sicurezza nelle prove come pure di fronte alle
pressioni e alle costrizioni del mondo esterno. Con l'azione della grazia,
lo Spirito Santo ci educa alla libertà spirituale per fare di noi dei liberi
collaboratori della sua opera nella Chiesa e nel mondo:
Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino
verso di Te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo
dedicarci liberamente al tuo servizio [Messale Romano, colletta della
trentaduesima domenica].
In sintesi
1743 Dio "lasciò" l'uomo "in balia del suo proprio volere" ( Sir 15,14 ),
perché potesse aderire al suo Creatore liberamente e così giungere alla
beata perfezione [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 17].
1744 La libertà è il potere di agire o di non agire e di porre così da se
stessi azioni libere. Essa raggiunge la perfezione del suo atto quando è
ordinata a Dio, Bene supremo.
1745 La libertà caratterizza gli atti propriamente umani. Rende l'essere
umano responsabile delle azioni che volontariamente compie. Il suo agire
libero gli appartiene in proprio.
1746 L'imputabilità e la responsabilità di una azione può essere sminuita o
annullata dall'ignoranza, dalla violenza, dal timore e da altri fattori
psichici o sociali.
1747 Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile dalla
dignità dell'uomo, particolarmente in campo religioso e morale. Ma
l'esercizio della libertà non implica il supposto diritto di dire e di fare
qualsiasi cosa.
1748 "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" ( Gal 5,1 ).
Articolo 4
LA MORALITA' DEGLI ATTI UMANI
1749 La libertà fa dell'uomo un soggetto morale. Quando agisce liberamente,
l'uomo è, per così dire, il padre dei propri atti. Gli atti umani, cioè gli
atti liberamente scelti in base ad un giudizio di coscienza, sono moralmente
qualificabili. Essi sono buoni o cattivi.
I. Le fonti della moralità
1750 La moralità degli atti umani dipende:
- dall'oggetto scelto;
- dal fine che ci si prefigge o dall'intenzione;
- dalle circostanze dell'azione.
L'oggetto, l'intenzione e le circostanze rappresentano le "fonti", o
elementi costitutivi, della moralità degli atti umani.
1751 L'oggetto scelto è un bene verso il quale la volontà si dirige
deliberatamente. E' la materia di un atto umano. L'oggetto scelto specifica
moralmente l'atto del volere, in quanto la ragione lo riconosce e lo giudica
conforme o no al vero bene. Le norme oggettive della moralità enunciano
l'ordine razionale del bene e del male, attestato dalla coscienza.
1752 Di fronte all'oggetto, l' intenzione si pone dalla parte del soggetto
che agisce. Per il fatto che sta alla sorgente volontaria dell'azione e la
determina attraverso il fine, l'intenzione è un elemento essenziale per la
qualificazione morale dell'azione. Il fine è il termine primo
dell'intenzione e designa lo scopo perseguito nell'azione. L'intenzione è un
movimento della volontà verso il fine; riguarda il termine dell'agire. E'
l'orientamento al bene che ci si aspetta dall'azione intrapresa. Non si
limita ad indirizzare le nostre singole azioni, ma può ordinare molteplici
azioni verso un medesimo scopo; può orientare l'intera vita verso il fine
ultimo. Per esempio, un servizio reso ha come scopo di aiutare il prossimo,
ma, al tempo stesso, può essere ispirato dall'amore di Dio come fine ultimo
di tutte le nostre azioni. Una medesima azione può anche essere ispirata da
diverse intenzioni; così, per esempio, si può rendere un servizio per
procurarsi un favore o per trarne motivo di vanto.
1753 Un'intenzione buona (per esempio, aiutare il prossimo) non rende né
buono né giusto un comportamento in se stesso scorretto (come la menzogna e
la maldicenza). Il fine non giustifica i mezzi. Così, non si può
giustificare la condanna di un innocente come un mezzo legittimo per salvare
il popolo. Al contrario, la presenza di un'intenzione cattiva (quale la
vanagloria), rende cattivo un atto che, in sé, può essere buono [Cf Mt 6,2-4
].
1754 Le circostanze, ivi comprese le conseguenze, sono gli elementi
secondari di un atto morale. Concorrono ad aggravare oppure a ridurre la
bontà o la malizia morale degli atti umani (per esempio, l'ammontare di una
rapina). Esse possono anche attenuare o aumentare la responsabilità di chi
agisce (agire, per esempio, per paura della morte). Le circostanze, in sé,
non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono
rendere né buona né giusta un'azione intrinsecamente cattiva.
II. Gli atti buoni e gli atti cattivi
1755 L'atto moralmente buono suppone, ad un tempo, la bontà dell'oggetto,
del fine e delle circostanze. Un fine cattivo corrompe l'azione, anche se il
suo oggetto, in sé, è buono (come il pregare e il digiunare "per essere
visti dagli uomini": Mt 6,5 ).
L'oggetto della scelta può da solo viziare tutta un'azione. Ci sono dei
comportamenti concreti - come la fornicazione - che è sempre sbagliato
scegliere, perché la loro scelta comporta un disordine della volontà, cioè
un male morale.
1756 E' quindi sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando
soltanto l'intenzione che li ispira, o le circostanze (ambiente, pressione
sociale, costrizione o necessità di agire, ecc) che ne costituiscono la
cornice. Ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente
dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a
motivo del loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l'omicidio e
l'adulterio. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene.
In sintesi
1757 L'oggetto, l'intenzione e le circostanze costituiscono le tre "fonti"
della moralità degli atti umani.
1758 L'oggetto scelto specifica moralmente l'atto del volere, in quanto la
ragione lo riconosce e lo giudica buono o cattivo.
1759 "Non può essere giustificata un'azione cattiva compiuta con una buona
intenzione" [San Tommaso d'Aquino, Collationes in decem praeceptis, 6]. Il
fine non giustifica i mezzi.
1760 L'atto moralmente buono suppone la bontà dell'oggetto, del fine e delle
circostanze.
1761 Vi sono comportamenti concreti che è sempre sbagliato scegliere, perché
la loro scelta comporta un disordine della volontà, cioè un male morale. Non
è lecito compiere il male perché ne derivi un bene.
Articolo 5
LA MORALITA' DELLE PASSIONI
1762 La persona umana si ordina alla beatitudine con i suoi atti liberi: le
passioni o sentimenti che prova possono disporla a ciò e contribuirvi.
I. Le passioni
1763 Il termine "passioni" appartiene al patrimonio cristiano. Per
sentimenti o passioni si intendono le emozioni o moti della sensibilità, che
spingono ad agire o a non agire in vista di ciò che è sentito o immaginato
come buono o come cattivo.
1764 Le passioni sono componenti naturali dello psichismo umano; fanno da
tramite e assicurano il legame tra la vita sensibile e la vita dello
spirito. Nostro Signore indica il cuore dell'uomo come la sorgente da cui
nasce il movimento delle passioni [Cf Mc 7,21 ].
1765 Le passioni sono molte. Quella fondamentale è l'amore provocato
dall'attrattiva del bene. L'amore suscita il desiderio del bene che non si
ha e la speranza di conseguirlo. Questo movimento ha il suo termine nel
piacere e nella gioia del bene posseduto. Il timore del male causa l'odio,
l'avversione e lo spavento del male futuro. Questo movimento finisce nella
tristezza del male presente o nella collera che vi si oppone.
1766 "Amare è volere del bene a qualcuno" [San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, I-II, 26, 4]. Qualsiasi altro affetto ha la sua sorgente in
questo moto originario del cuore dell'uomo verso il bene. Non si ama che il
bene [Cf Sant'Agostino, De Trinitate, 8, 3, 4]. "Le passioni sono cattive se
l'amore è cattivo, buone se l'amore è buono" [Sant'Agostino, De civitate
Dei, 14, 7].
II. Passioni e vita morale
1767 Le passioni, in se stesse, non sono né buone né cattive. Non ricevono
qualificazione morale se non nella misura in cui dipendono effettivamente
dalla ragione e dalla volontà. Le passioni sono dette volontarie "o perché
sono comandate dalla volontà, oppure perché la volontà non vi resiste" [San
Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 24, 1]. E' proprio della
perfezione del bene morale o umano che le passioni siano regolate dalla
ragione [Cf ibid., I-II, 24, 3].
1768 Non sono i grandi sentimenti a decidere della moralità o della santità
delle persone; essi sono la riserva inesauribile delle immagini e degli
affetti nei quali si esprime la vita morale. Le passioni sono moralmente
buone quando contribuiscono ad un'azione buona; sono cattive nel caso
contrario. La volontà retta ordina al bene e alla beatitudine i moti
sensibili che essa assume; la volontà cattiva cede alle passioni disordinate
e le inasprisce. Le emozioni e i sentimenti possono essere assunti nelle
virtù, o pervertiti nei vizi.
1769 Nella vita cristiana, lo Spirito Santo compie la sua opera mobilitando
tutto l'essere, compresi i suoi dolori, i suoi timori e le sue tristezze,
come è evidente nell'Agonia e nella Passione del Signore. In Cristo, i
sentimenti umani possono ricevere la loro perfezione nella carità e nella
beatitudine divina.
1770 La perfezione morale consiste nel fatto che l'uomo non sia indotto al
bene soltanto dalla volontà, ma anche dal suo appetito sensibile, secondo
queste parole del Salmo: "Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio
vivente" ( Sal 84,3 ).
In sintesi
1771 Il termine "passioni" indica gli affetti o i sentimenti. Attraverso le
sue emozioni, l'uomo ha il presentimento del bene e il sospetto del male.
1772 Le principali passioni sono l'amore e l'odio, il desiderio e il timore,
la gioia, la tristezza e la collera.
1773 Nelle passioni, intese come moti della sensibilità, non c'è né bene né
male morale. Ma nella misura in cui dipendono o no dalla ragione e dalla
volontà, c'è in esse il bene o il male morale.
1774 Le emozioni e i sentimenti possono essere assunti nelle virtù, o
pervertiti nei vizi.
1775 La perfezione del bene morale si ha quando l'uomo non è indotto al bene
dalla sola volontà, ma anche dal suo "cuore".
Articolo 6
LA COSCIENZA MORALE
1776 "Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a
darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama
sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre,
chiaramente parla alle orecchie del cuore. . . L'uomo ha in realtà una legge
scritta da Dio dentro al suo cuore. . . La coscienza è il nucleo più segreto
e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce
risuona nell'intimità propria" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 16].
I. Il giudizio della coscienza
1777 Presente nell'intimo della persona, la coscienza morale [Cf Rm 2,14-16
] le ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il
male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono
buone, denunciando quelle cattive [Cf Rm 1,32 ]. Attesta l'autorità della
verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte
l'attrattiva ed accoglie i comandi. Quando ascolta la coscienza morale,
l'uomo prudente può sentire Dio che parla.
1778 La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la
persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per
porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l'uomo ha
il dovere di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto. E'
attraverso il giudizio della propria coscienza che l'uomo percepisce e
riconosce i precetti della legge divina:
La coscienza è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà
degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza. . . la
messaggera di Colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia,
ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di
tutti i vicari di Cristo [John Henry Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5].
1779 L'importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se
stesso al fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale
ricerca di interiorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita
spesso ci mette in condizione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o
introspezione:
Ritorna alla tua coscienza, interrogala. . . Fratelli, rientrate in voi
stessi e in tutto ciò che fate, fissate lo sguardo sul Testimone, Dio
[Sant'Agostino, In epistulam Johannis ad Parthos tractatus, 8, 9].
1780 La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della
coscienza morale. La coscienza morale comprende la percezione dei principi
della moralità [sinderesi"], la loro applicazione nelle circostanze di fatto
mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine, il
giudizio riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già
stati compiuti. La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della
ragione, è praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio
prudente della coscienza. Si chiama prudente l'uomo le cui scelte sono
conformi a tale giudizio.
1781 La coscienza permette di assumere la responsabilità degli atti
compiuti. Se l'uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può
rimanere in lui il testimone della verità universale del bene e, al tempo
stesso, della malizia della sua scelta particolare. La sentenza del giudizio
di coscienza resta un pegno di speranza e di misericordia. Attestando la
colpa commessa, richiama al perdono da chiedere, al bene da praticare ancora
e alla virtù da coltivare incessantemente con la grazia di Dio:
Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci
rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa ( 1Gv
3,19-20 ).
1782 L'uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà, per prendere
personalmente le decisioni morali. L'uomo non deve essere costretto "ad
agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare
in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso" [Conc. Ecum. Vat. II,
Dignitatis humanae, 3].
II. La formazione della coscienza
1783 La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato. Una
coscienza ben formata è retta e veritiera. Essa formula i suoi giudizi
seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del
Creatore. L'educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani
esposti a influenze negative e tentati dal peccato a preferire il loro
proprio giudizio e a rifiutare gli insegnamenti certi.
1784 L'educazione della coscienza è un compito di tutta la vita. Fin dai
primi anni dischiude al bambino la conoscenza e la pratica della legge
interiore, riconosciuta dalla coscienza morale. Un'educazione prudente
insegna la virtù; preserva o guarisce dalla paura, dall'egoismo e
dall'orgoglio, dai risentimenti della colpevolezza e dai moti di
compiacenza, che nascono dalla debolezza e dagli sbagli umani. L'educazione
della coscienza garantisce la libertà e genera la pace del cuore.
1785 Nella formazione della coscienza la Parola di Dio è la luce sul nostro
cammino; la dobbiamo assimilare nella fede e nella preghiera e mettere in
pratica. Dobbiamo anche esaminare la nostra coscienza rapportandoci alla
Croce del Signore. Siamo sorretti dai doni dello Spirito Santo, aiutati
della testimonianza o dai consigli altrui, e guidati dall'insegnamento certo
della Chiesa [Cf ibid., 14].
III. Scegliere secondo coscienza
1786 Messa di fronte ad una scelta morale, la coscienza può dare sia un
giudizio retto in accordo con la ragione e con la legge divina, sia, al
contrario, un giudizio erroneo che da esse si discosta.
1787 L'uomo talvolta si trova ad affrontare situazioni che rendono incerto
il giudizio morale e difficile la decisione. Egli deve sempre ricercare ciò
che è giusto e buono e discernere la volontà di Dio espressa nella legge
divina.
1788 A tale scopo l'uomo si sforza di interpretare i dati dell'esperienza e
i segni dei tempi con la virtù della prudenza, con i consigli di persone
avvedute e con l'aiuto dello Spirito Santo e dei suoi doni.
1789 Alcune norme valgono in ogni caso:
- Non è mai consentito fare il male perché ne derivi un bene.
- La "regola d'oro": "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi,
anche voi fatelo a loro" ( Mt 7,12 ) [Cf Lc 6,31; Tb 4,15 ].
- La carità passa sempre attraverso il rispetto del prossimo e della sua
coscienza: Parlando "così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza...,
voi peccate contro Cristo" ( 1Cor 8,12 ). "Perciò è bene" astenersi... da
tutto ciò per cui "il tuo fratello possa scandalizzarsi" ( Rm 14,21 ).
IV. Il giudizio erroneo
1790 L'essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria
coscienza. Se agisse deliberatamente contro tale giudizio, si condannerebbe
da sé. Ma accade che la coscienza morale sia nell'ignoranza e dia giudizi
erronei su azioni da compiere o già compiute.
1791 Questa ignoranza spesso è imputabile alla responsabilità personale. Ciò
avviene "quando l'uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e quando
la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato"
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 16]. In tali casi la persona è
colpevole del male che commette.
1792 All'origine delle deviazioni del giudizio nella condotta morale possono
esserci la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi dati
dagli altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa ad una malintesa
autonomia della coscienza, il rifiuto dell'autorità della Chiesa e del suo
insegnamento, la mancanza di conversione e di carità.
1793 Se - al contrario - l'ignoranza è invincibile, o il giudizio erroneo è
senza responsabilità da parte del soggetto morale, il male commesso dalla
persona non può esserle imputato. Nondimento resta un male, una privazione,
un disordine. E' quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza
morale dai suoi errori.
1794 La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera. Infatti la
carità "sgorga", ad un tempo, "da un cuore puro, da una buona coscienza e da
una fede sincera" ( 1Tm 1,5 ): [Cf 1Tm 3,9; 2Tm 1,3; 1794 1Pt 3,21; At 24,16
]
Quanto più prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi
sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle
norme oggettive della moralità [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 16].
In sintesi
1795 "La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove
egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria"
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 16].
1796 La coscienza morale è un giudizio della ragione, con il quale la
persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto.
1797 Per l'uomo che ha commesso il male, la sentenza della propria coscienza
rimane un pegno di conversione e di speranza.
1798 Una coscienza ben formata è retta e veritiera. Formula i suoi giudizi
seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del
Creatore. Ciascuno deve valersi dei mezzi atti a formare la propria
coscienza.
1799 Messa di fronte ad una scelta morale, la coscienza può dare sia un
retto giudizio in accordo con la ragione e con la legge divina, sia,
all'opposto, un giudizio erroneo che se ne discosta.
1800 L'essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria
coscienza.
1801 La coscienza morale può rimanere nell'ignoranza o dare giudizi erronei.
Tali ignoranze e tali errori non sempre sono esenti da colpevolezza.
1802 La Parola di Dio è una luce sui nostri passi. La dobbiamo assimilare
nella fede e nella preghiera e mettere in pratica. In tal modo si forma la
coscienza morale.
Articolo 7
LE VIRTU'
1803 "Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato,
quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri
pensieri" ( Fil 4,8 ).
La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Essa consente
alla persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di
sé. Con tutte le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa
tende verso il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete.
Il fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simili a Dio [San
Gregorio di Nissa, Orationes de beatitudinibus, 1: PG 44, 1200D].
I. Le virtù umane
1804 Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni
abituali dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti,
ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione
e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre
una vita moralmente buona. L'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica
il bene.
Le virtù morali vengono acquisite umanamente. Sono i frutti e i germi di
atti moralmente buoni; dispongono tutte le potenzialità dell'essere umano ad
entrare in comunione con l'amore divino.
Distinzione delle virtù cardinali
1805 Quattro virtù hanno funzione di cardine. Per questo sono dette
"cardinali"; tutte le altre si raggruppano attorno ad esse. Sono: la
prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. "Se uno ama la
giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti
la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza" ( Sap 8,7 ). Sotto
altri nomi, queste virtù sono lodate in molti passi della Scrittura.
1806 La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in
ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per
compierlo. L'uomo "accorto controlla i suoi passi" ( Pr 14,15 ). "Siate
moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera" ( 1Pt 4,7 ). La prudenza è la
"retta norma dell'azione", scrive san Tommaso [San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, II-II, 47, 2] sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con
la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. E' detta
"auriga virtutum" - cocchiere delle virtù: essa dirige le altre virtù
indicando loro regola e misura. E' la prudenza che guida immediatamente il
giudizio di coscienza. L'uomo prudente decide e ordina la propria condotta
seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i
principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul
bene da compiere e sul male da evitare.
1807 La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma
volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia
verso Dio è chiamata "virtù di religione". La giustizia verso gli uomini
dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni
umane l'armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene
comune. L'uomo giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri sacri, si
distingue per l'abituale dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine
della propria condotta verso il prossimo. "Non tratterai con parzialità il
povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo
prossimo con giustizia" ( Lv 19,15 ). "Voi, padroni, date ai vostri servi
ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo" (
Col 4,1 ).
1808 La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la
fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di
resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La
virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte,
e di affrontare la prova e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino
alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta
causa. "Mia forza e mio canto è il Signore" ( Sal 118,14 ). "Voi avrete
tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo" ( Gv 16,33
).
1809 La temperanza è la virtù morale che modera l'attrattiva dei piaceri e
rende capaci di equilibrio nell'uso dei beni creati. Essa assicura il
dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti
dell'onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti
sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio "istinto" e
la propria "forza assecondando i desideri" del proprio "cuore" ( Sir 5,2 )
[Cf Sir 37,27-31 ]. La temperanza è spesso lodata nell'Antico Testamento:
"Non seguire le passioni; poni un freno ai tuoi desideri" ( Sir 18,30 ). Nel
Nuovo Testamento è chiamata "moderazione" o "sobrietà". Noi dobbiamo "vivere
con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo" ( Tt 2,12 ).
Vivere bene altro non è che amare Dio con tutto il proprio cuore, con tutta
la propria anima, e con tutto il proprio agire. Gli si dà (con la
temperanza) un amore totale che nessuna sventura può far vacillare (e questo
mette in evidenza la fortezza), un amore che obbedisce a lui solo (e questa
è la giustizia), che vigila al fine di discernere ogni cosa, nel timore di
lasciarsi sorprendere dall'astuzia e dalla menzogna (e questa è la prudenza)
[Sant'Agostino, De moribus ecclesiae catholicae, 1, 25, 46: PL 32,
1330-1331].
Le virtù e la grazia
1810 Le virtù umane acquisite mediante l'educazione, mediante atti
deliberati e una perseveranza sempre rinnovata nello sforzo, sono purificate
ed elevate dalla grazia divina. Con l'aiuto di Dio forgiano il carattere e
rendono spontanea la pratica del bene. L'uomo virtuoso è felice di praticare
le virtù.
1811 Per l'uomo ferito dal peccato non è facile conservare l'equilibrio
morale. Il dono della salvezza fattoci da Cristo ci dà la grazia necessaria
per perseverare nella ricerca delle virtù. Ciascuno deve sempre implorare
questa grazia di luce e di forza, ricorrere ai sacramenti, cooperare con lo
Spirito Santo, seguire i suoi inviti ad amare il bene e a stare lontano dal
male.
II. Le virtù teologali
1812 Le virtù umane si radicano nelle virtù teologali, le quali rendono le
facoltà dell'uomo idonee alla partecipazione alla natura divina [Cf 2Pt 1,4
]. Le virtù teologali, infatti, si riferiscono direttamente a Dio. Esse
dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità.
Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino.
1813 Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del
cristiano. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da
Dio nell'anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e
meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell'azione dello
Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano. Tre sono le virtù teologali:
la fede, la speranza e la carità [Cf 1Cor 13,13 ].
La fede
1814 La fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto
ciò che egli ci ha detto e rivelato, e che la Santa Chiesa ci propone da
credere, perché egli è la stessa verità. Con la fede "l'uomo si abbandona
tutto a Dio liberamente" [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 5]. Per questo il
credente cerca di conoscere e di fare la volontà di Dio. "Il giusto vivrà
mediante la fede" ( Rm 1,17 ). La fede viva "opera per mezzo della carità" (
Gal 5,6 ).
1815 Il dono della fede rimane in colui che non ha peccato contro di essa
[Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1545]. Ma "la fede senza le opere è
morta" ( Gc 2,26 ): se non si accompagna alla speranza e all'amore, la fede
non unisce pienamente il fedele a Cristo e non ne fa un membro vivo del suo
Corpo.
1816 Il discepolo di Cristo non deve soltanto custodire la fede e vivere di
essa, ma anche professarla, darne testimonianza con franchezza e
diffonderla: "Devono tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli
uomini, e a seguirlo sulla via della Croce attraverso le persecuzioni, che
non mancano mai alla Chiesa" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42; cf Id.
, Dignitatis humanae, 14]. Il servizio e la testimonianza della fede sono
indispensabili per la salvezza: "Chi mi riconoscerà davanti agli uomini,
anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi
rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio
che è nei cieli" ( Mt 10,32-33 ).
La speranza
1817 La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il Regno dei
cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia
nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma
sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo. "Manteniamo senza vacillare la
professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso"(
Eb 10,23 ). Lo Spirito è stato "effuso da lui su di noi abbondantemente per
mezzo di Gesù Cristo, Salvatore nostro, perché, giustificati dalla sua
grazia, diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna" ( Tt
3,6-7 ).
1818 La virtù della speranza risponde all'aspirazione alla felicità, che Dio
ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le
attività degli uomini; le purifica per ordinarle al Regno dei cieli;
salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono;
dilata il cuore nell'attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della
speranza preserva dall'egoismo e conduce alla gioia della carità.
1819 La speranza cristiana riprende e porta a pienezza la speranza del
popolo eletto, la quale trova la propria origine ed il proprio modello nella
speranza di Abramo, colmato in Isacco delle promesse di Dio e purificato
dalla prova del sacrificio [Cf Gen 17,4-8; Gen 22,1-18 ]. "Egli ebbe fede
sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli" ( Rm
4,18 ).
1820 La speranza cristiana si sviluppa, fin dagli inizi della predicazione
di Gesù, nell'annuncio delle beatitudini. Le beatitudini elevano la nostra
speranza verso il Cielo come verso la nuova Terra promessa; ne tracciano il
cammino attraverso le prove che attendono i discepoli di Gesù. Ma per i
meriti di Gesù Cristo e della sua Passione, Dio ci custodisce nella
"speranza" che "non delude" ( Rm 5,5 ). La speranza è l'"àncora della nostra
vita, sicura e salda, la quale penetra. . . " là "dove Gesù è entrato per
noi come precursore" ( Eb 6,19-20 ). E' altresì un'arma che ci protegge nel
combattimento della salvezza: "Dobbiamo essere. . . rivestiti con la corazza
della fede e della carità, avendo come elmo la speranza della salvezza" (
1Ts 5,8 ). Essa ci procura la gioia anche nella prova: "lieti nella
speranza, forti nella tribolazione" ( Rm 12,12 ). Si esprime e si alimenta
nella preghiera, in modo particolarissimo in quella del Pater, sintesi di
tutto ciò che la speranza ci fa desiderare.
1821 Noi possiamo, dunque, sperare la gloria del cielo promessa da Dio a
coloro che lo amano [Cf Rm 8,28-30 ] e fanno la sua volontà [Cf Mt 7,21 ].
In ogni circostanza ognuno deve sperare, con la grazia di Dio, di
perseverare "sino alla fine" [Cf Mt 10,22; 1821 cf Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1541] e ottenere la gioia del cielo, quale eterna ricompensa di
Dio per le buone opere compiute con la grazia di Cristo. Nella speranza la
Chiesa prega che "tutti gli uomini siano salvati" ( 1Tm 2,4 ). Essa anela ad
essere unita a Cristo, suo Sposo, nella gloria del cielo:
Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l'ora. Veglia
premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa
rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve. Pensa che
quanto più lotterai, tanto più proverai l'amore che hai per il tuo Dio e
tanto più un giorno godrai con il tuo Diletto, in una felicità ed in
un'estasi che mai potranno aver fine [Santa Teresa di Gesù, Esclamazioni
dell'anima a Dio, 15, 3].
La carità
1822 La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa
per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio.
1823 Gesù fa della carità il comandamento nuovo [Cf Gv 13,34 ]. Amando i
suoi "sino alla fine" ( Gv 13,1 ), egli manifesta l'amore che riceve dal
Padre. Amandosi gli uni gli altri, i discepoli imitano l'amore di Gesù, che
essi ricevono a loro volta. Per questo Gesù dice: "Come il Padre ha amato
me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" ( Gv 15,9 ). E
ancora: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come
io vi ho amati" ( Gv 15,12 ).
1824 La carità, frutto dello Spirito e pienezza della legge, osserva i
comandamenti di Dio e del suo Cristo: "Rimanete nel mio amore. Se
osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore" ( Gv 15,9-10 ) [Cf
Mt 22,40; Rm 13,8-10 ].
1825 Cristo è morto per amore verso di noi, quando eravamo ancora "nemici" (
Rm 5,10 ). Il Signore ci chiede di amare come lui, perfino i nostri nemici ,
[Cf Mt 5,44 ] di farci il prossimo del più lontano, [Cf Lc 10,27-37 ] di
amare i bambini[Cf Mc 9,37 ] e i poveri come lui stesso [Cf Mt 25,40; 1825
Mt 25,45 ].
L'Apostolo san Paolo ha dato un ineguagliabile quadro della carità: "La
carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si
vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non
si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma
si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto
sopporta" ( 1Cor 13,4-7 ).
1826 "Se non avessi la carità, dice ancora l'Apostolo, non sono nulla. . .
". E tutto ciò che è privilegio, servizio, perfino virtù. . . senza la
carità, "niente mi giova" ( 1Cor 13,1-4 ). La carità è superiore a tutte le
virtù. E' la prima delle virtù teologali: "Queste le tre cose che rimangono:
la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità" ( 1Cor
13,13 ).
1827 L'esercizio di tutte le virtù è animato e ispirato dalla carità. Questa
è il "vincolo di perfezione" ( Col 3,14 ); è la forma delle virtù; le
articola e le ordina tra loro; è sorgente e termine della loro pratica
cristiana. La carità garantisce e purifica la nostra capacità umana di
amare. La eleva alla perfezione soprannaturale dell'amore divino.
1828 La pratica della vita morale animata dalla carità dà al cristiano la
libertà spirituale dei figli di Dio. Egli non sta davanti a Dio come uno
schiavo, nel timore servile, né come il mercenario in cerca del salario, ma
come un figlio che corrisponde all'amore di colui che "ci ha amati per
primo" ( 1Gv 4,19 ):
O ci allontaniamo dal male per timore del castigo e siamo nella disposizione
dello schiavo. O ci lasciamo prendere dall'attrattiva della ricompensa e
siamo simili ai mercenari. Oppure è per il bene in se stesso e per l'amore
di colui che comanda che noi obbediamo. . . e allora siamo nella
disposizione dei figli [San Basilio di Cesarea, Regulae fusius tractatae,
prol. 3: PG 31, 896B].
1829 La carità ha come frutti la gioia, la pace e la misericordia; esige la
generosità e la correzione fraterna; è benevolenza; suscita la reciprocità,
si dimostra sempre disinteressata e benefica; è amicizia e comunione:
Il compimento di tutte le nostre opere è l'amore. Qui è il nostro fine; per
questo noi corriamo, verso questa meta corriamo; quando saremo giunti, vi
troveremo riposo [Sant'Agostino, In epistulam Johannis ad Parthos tractatus,
10, 4].
III. I doni e i frutti dello Spirito Santo
1830 La vita morale dei cristiani è sorretta dai doni dello Spirito Santo.
Essi sono disposizioni permanenti che rendono l'uomo docile a seguire le
mozioni dello Spirito Santo.
1831 I sette doni dello Spirito Santo sono la sapienza, l'intelletto, il
consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio.
Appartengono nella loro pienezza a Cristo, Figlio di Davide [Cf Is 11,1-2 ].
Essi completano e portano alla perfezione le virtù di coloro che li
ricevono. Rendono i fedeli docili ad obbedire con prontezza alle ispirazioni
divine.
Il tuo Spirito buono mi guidi in terra piana ( Sal 143,10 ).
Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di
Dio. . . Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo
( Rm 8,14; Rm 8,17 ).
1832 I frutti dello Spirito sono perfezioni che lo Spirito Santo plasma in
noi come primizie della gloria eterna. La Tradizione della Chiesa ne enumera
dodici: "amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza,
mitezza, fedeltà, modestia, continenza, castità" ( Gal 5,22-23 vulg).
In sintesi
1833 La virtù è una disposizione abituale e ferma a compiere il bene.
1834 Le virtù umane sono disposizioni stabili dell'intelligenza e della
volontà, che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e
indirizzano la nostra condotta in conformità alla ragione e alla fede.
Possono essere raggruppate attorno a quattro virtù cardinali: la prudenza,
la giustizia, la fortezza e la temperanza.
1835 La prudenza dispone la ragione pratica a discernere, in ogni
circostanza, il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per
attuarlo.
1836 La giustizia consiste nella volontà costante e ferma di dare a Dio e al
prossimo ciò che è loro dovuto.
1837 La fortezza assicura, nelle difficoltà, la fermezza e la costanza nella
ricerca del bene.
1838 La temperanza modera l'attrattiva dei piaceri sensibili e rende capaci
di equilibrio nell'uso dei beni creati.
1839 Le virtù morali crescono per mezzo dell'educazione, di atti deliberati
e della perseveranza nello sforzo. La grazia divina le purifica e le eleva.
1840 Le virtù teologali dispongono i cristiani a vivere in relazione con la
Santissima Trinità. Hanno Dio come origine, motivo e oggetto, Dio conosciuto
mediante la fede, sperato e amato per se stesso.
1841 Tre sono le virtù teologali: la fede, la speranza e la carità [Cf 1Cor
13,13 ]. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali.
1842 Per la fede noi crediamo in Dio e crediamo tutto ciò che egli ci ha
rivelato e che la Santa Chiesa ci propone a credere.
1843 Per la speranza noi desideriamo e aspettiamo da Dio, con ferma fiducia,
la vita eterna e le grazie per meritarla.
1844 Per la carità noi amiamo Dio al di sopra di tutto e il nostro prossimo
come noi stessi per amore di Dio. Essa è "il vincolo di perfezione" ( Col
3,14 ) e la forma di tutte le virtù.
1845 I sette doni dello Spirito Santo dati ai cristiani sono la sapienza,
l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di
Dio.
Articolo 8
IL PECCATO
I. La misericordia e il peccato
1846 Il Vangelo è la rivelazione, in Gesù Cristo, della misericordia di Dio
verso i peccatori [Cf Lc 15 ]. L'angelo lo annunzia a Giuseppe: "Tu lo
chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" ( Mt
1,21 ). La stessa cosa si può dire dell'Eucaristia, sacramento della
Redenzione: "Questo è il mio sangue dell'Alleanza, versato per molti in
remissione dei peccati" ( Mt 26,28 ).
1847 "Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di
noi" [Sant'Agostino, Sermones, 169, 11, 13: PL 38, 923].
L'accoglienza della sua misericordia esige da parte nostra il riconoscimento
delle nostre colpe. "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi
stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che
è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa" (
1Gv 1,8-9 ).
1848 Come afferma san Paolo: "Laddove è abbondato il peccato, ha
sovrabbondato la grazia". La grazia però, per compiere la sua opera, deve
svelare il peccato per convertire il nostro cuore e accordarci "la giustizia
per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore" ( Rm 5,20-21 ).
Come un medico che esamina la piaga prima di medicarla, Dio, con la sua
Parola e il suo Spirito, getta una viva luce sul peccato:
La conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il
giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una
verificadell'azione dell'azione dello Spirito di verità nell'intimo
dell'uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell'elargizione della
grazia e dell'amore: "Ricevete lo Spirito Santo". Così in questo "convincere
quanto al peccato" scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità
della coscienza e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di
verità è il Consolatore [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et
Vivificantem, 31].
II. La definizione di peccato
1849 Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta
coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso
il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce
la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. E' stato definito "una
parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna" [Sant'Agostino,
Contra Faustum manichaeum, 22: PL 42, 418; San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, I-II, 71, 6].
1850 Il peccato è un'offesa a Dio: "Contro di te, contro te solo ho peccato.
Quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto" ( Sal 51,6 ). Il peccato si
erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come
il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa
della volontà di diventare "come Dio" ( Gen 3,5 ), conoscendo e determinando
il bene e il male. Il peccato pertanto è "amore di sé fino al disprezzo di
Dio" [Sant'Agostino, De civitate Dei, 14, 28]. Per tale orgogliosa
esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all'obbedienza di
Gesù, che realizza la salvezza [Cf Fil 2,6-9 ].
1851 E' proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà,
che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua
molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei capi
e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di
Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei
discepoli. Tuttavia, proprio nell'ora delle tenebre e del Principe di questo
mondo, [Cf Gv 14,30 ] il sacrificio di Cristo diventa segretamente la
sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri
peccati.
III. La diversità dei peccati
1852 La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà parecchi elenchi.
La Lettera ai Galati contrappone le opere della carne al frutto dello
Spirito: "Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità,
libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia,
dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere;
circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non
erediterà il Regno di Dio" ( Gal 5,19-21 ) [Cf Rm 1,28-32; 1Cor 6,9-10; Ef
5,3-5; 1852 Col 3,5-8; 1Tm 1,9-10; 2Tm 3,2-5 ].
1853 I peccati possono essere distinti secondo il loro oggetto, come si fa
per ogni atto umano, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, per
eccesso o per difetto, oppure secondo i comandamenti cui si oppongono. Si
possono anche suddividere secondo che riguardano Dio, il prossimo o se
stessi; si possono distinguere in peccati spirituali e carnali, o ancora in
peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissio ne. La radice del
peccato è nel cuore dell'uomo, nella sua libera volontà, secondo quel che
insegna il Signore: "Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli
omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le
bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo" ( Mt 15,19-20 ).
Il cuore è anche la sede della carità, principio delle opere buone e pure,
che il peccato ferisce.
IV. La gravità del peccato: peccato mortale e veniale
1854 E' opportuno valutare i peccati in base alla loro gravità. La
distinzione tra peccato mortale e peccato veniale, già adombrata nella
Scrittura, [Cf 1Gv 5,16-17 ] si è imposta nella Tradizione della Chiesa.
L'esperienza degli uomini la convalida.
1855 Il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell'uomo a causa di
una violazione grave della legge di Dio; distoglie l'uomo da Dio, che è il
suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore.
Il peccato veniale lascia sussistere la carità, quantunque la offenda e la
ferisca.
1856 Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è
la carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una
conversione del cuore, che normalmente si realizza nel sacramento della
Riconciliazione:
Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità,
dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso
oggetto, ha di che essere mortale... tanto se è contro l'amore di Dio, come
la bestemmia, lo spergiuro ecc., quanto se è contro l'amore del prossimo,
come l'omicidio, l'adulterio, ecc... Invece, quando la volontà del peccatore
si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro
l'amore di Dio e del prossimo, è il caso di parole oziose, di riso
inopportuno, ecc., tali peccati sono veniali [San Tommaso d'Aquino, Summa
Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 88, 2].
1857 Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre
condizioni: "E' peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave
e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato
consenso" [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 17].
1858 La materia grave è precisata dai Dieci comandamenti, secondo la
risposta di Gesù al giovane ricco: "Non uccidere, non commettere adulterio,
non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la
madre" ( Mc 10,19 ). La gravità dei peccati è più o meno grande: un omicidio
è più grave di un furto. Si deve tener conto anche della qualità delle
persone lese: la violenza esercitata contro i genitori è di per sé più grave
di quella fatta ad un estraneo.
1859 Perché il peccato sia mortale deve anche essere commesso con piena
consapevolezza e totale consenso. Presuppone la conoscenza del carattere
peccaminoso dell'atto, della sua opposizione alla Legge di Dio. Implica
inoltre un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale.
L'ignoranza simulata e la durezza del cuore [Cf Mc 3,5-6; Lc 16,19-31 ] non
diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono.
1860 L' ignoranza involontaria può attenuare se non annullare l'imputabilità
di una colpa grave. Si presume però che nessuno ignori i principi della
legge morale che sono iscritti nella coscienza di ogni uomo. Gli impulsi
della sensibilità, le passioni possono ugualmente attenuare il carattere
volontario e libero della colpa; come pure le pressioni esterne o le turbe
patologiche. Il peccato commesso con malizia, per una scelta deliberata del
male, è il più grave.
1861 Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come
lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione
della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato
dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione dal Regno di
Cristo e la morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà ha il
potere di fare scelte definitive, irreversibili. Tuttavia, anche se noi
possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però
lasciare il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di
Dio.
1862 Si commette un peccato veniale quando, trattandosi di materia leggera,
non si osserva la misura prescritta dalla legge morale, oppure quando si
disobbedisce alla legge morale in materia grave, ma senza piena
consapevolezza e senza totale consenso.
1863 Il peccato veniale indebolisce la carità; manifesta un affetto
disordinato per dei beni creati; ostacola i progressi dell'anima
nell'esercizio delle virtù e nella pratica del bene morale; merita pene
temporali. Il peccato veniale deliberato e che sia rimasto senza pentimento,
ci dispone poco a poco a commettere il peccato mortale. Tuttavia il peccato
veniale non rompe l'Alleanza con Dio. E' umanamente riparabile con la grazia
di Dio. "Non priva della grazia santificante, dell'amicizia con Dio, della
carità, né quindi della beatitudine eterna" [Giovanni Paolo II, Esort. ap.
Reconciliatio et paenitentia, 17].
L'uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin quando resta nel corpo.
Tuttavia non devi dar poco peso a questi peccati, che si definiscono lievi.
Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che spavento quando li
numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante: molte
gocce riempiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale
speranza resta allora? Si faccia anzitutto la confessione. . [Sant'Agostino,
In epistulam Johannis ad Parthos tractatus, 1, 6].
1864 "Qualunque peccato o bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la
bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata" (Mt 12,31). La misericordia
di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla
attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la
salvezza offerta dallo Spirito Santo [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Dominum et Vivificantem, 46]. Un tale indurimento può portare alla
impenitenza finale e alla rovina eterna.
V. La proliferazione del peccato
1865 Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti
genera il vizio. Ne derivano inclinazioni perverse che ottenebrano la
coscienza e alterano la concreta valutazione del bene e del male. In tal
modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere
il senso morale fino alla sua radice.
1866 I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si
oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l'esperienza
cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano e san Gregorio Magno
[San Gregorio Magno, Moralia in Job, 31, 45: PL 76, 621A]. Sono chiamati
capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia,
l'avarizia, l'invidia, l'ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o
accidia.
1867 La tradizione catechistica ricorda pure che esistono " peccati che
gridano verso il cielo ". Gridano verso il cielo: il sangue di Abele; [Cf
Gen 4,10 ] il peccato dei Sodomiti; [Cf Gen 18,20; 1867 Gen 19,13 ] il
lamento del popolo oppresso in Egitto; [Cf Es 3,7-10 ] il lamento del
forestiero, della vedova e dell'orfano; [Cf Es 22,20-22 ] l'ingiustizia
verso il salariato [Cf Dt 24,14-15; Gc 5,4 ].
1868 Il peccato è un atto personale. Inoltre, abbiamo una responsabilità nei
peccati commessi dagli altri, quando vi cooperiamo:
- prendendovi parte direttamente e volontariamente;
- comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli;
- non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo;
- proteggendo coloro che commettono il male.
1869 Così il peccato rende gli uomini complici gli uni degli altri e fa
regnare tra di loro la concupiscenza, la violenza e l'ingiustizia. I peccati
sono all'origine di situazioni sociali e di istituzioni contrarie alla Bontà
divina. Le "strutture di peccato" sono l'espressione e l'effetto dei peccati
personali. Inducono le loro vittime a commettere, a loro volta, il male. In
un senso analogico esse costituiscono un "peccato sociale" [Cf Giovanni
Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 16].
In sintesi
1870 "Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti
misericordia" ( Rm 11,32 ).
1871 Il peccato è "una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge
eterna" [Sant'Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22: PL 42, 418; San
Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 71, 6]. E' un'offesa a Dio. Si
erge contro Dio in una disobbedienza contraria all'obbedienza di Cristo.
1872 Il peccato è un atto contrario alla ragione. Ferisce la natura
dell'uomo ed attenta alla solidarietà umana.
1873 La radice di tutti i peccati è nel cuore dell'uomo. Le loro specie e la
loro gravità si misurano principalmente in base al loro oggetto.
1874 Scegliere deliberatamente, cioè sapendolo e volendolo, una cosa
gravemente contraria alla legge divina e al fine ultimo dell'uomo, è
commettere un peccato mortale. Esso distrugge in noi la carità, senza la
quale la beatitudine eterna è impossibile. Se non ci si pente, conduce alla
morte eterna.
1875 Il peccato veniale rappresenta un disordine morale riparabile per mezzo
della carità che tale peccato lascia sussistere in noi.
1876 La ripetizione dei peccati, anche veniali, genera i vizi, tra i quali
si distinguono i peccati capitali.
PARTE TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE PRIMA - LA VOCAZIONE DELL'UOMO: LA VITA NELLO SPIRITO
CAPITOLO SECONDO - LA COMUNITA' UMANA
1877 La vocazione dell'umanità è di rendere manifesta l'immagine di Dio e di
essere trasformata ad immagine del Figlio unigenito del Padre. Tale
vocazione riveste una forma personale, poiché ciascuno è chiamato ad entrare
nella beatitudine divina; ma riguarda anche la comunità umana nel suo
insieme.
Articolo 1
LA PERSONA E LA SOCIETA'
I. Il carattere comunitario della vocazione umana
1878 Tutti gli uomini sono chiamati al medesimo fine, Dio stesso. Esiste una
certa somiglianza tra l'unità delle Persone divine e la fraternità che gli
uomini devono instaurare tra loro, nella verità e nella carità [ Cf Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 24]. L'amore del prossimo è inseparabile
dall'amore per Dio.
1879 La persona umana ha bisogno della vita sociale. Questa non è per l'uomo
qualcosa di aggiunto, ma un'esigenza della sua natura. Attraverso il
rapporto con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i
fratelli, l'uomo sviluppa le proprie virtualità, e così risponde alla
propria vocazione [Cf ibid., 25].
1880 Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un
principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e
spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato e prepara
l'avvenire. Grazie ad essa, ogni uomo è costituito "erede", riceve dei
"talenti" che arricchiscono la sua identità e che sono da far fruttificare
[Cf Lc 19,13; Lc 19,15 ]. Giustamente, ciascuno deve dedizione alle comunità
di cui fa parte e rispetto alle autorità incaricate del bene comune.
1881 Ogni comunità si definisce in base al proprio fine e conseguentemente
obbedisce a regole specifiche; però "principio, soggetto e fine di tutte le
istituzioni sociali è e deve essere la persona umana " [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 25].
1882 Certe società, quali la famiglia e la comunità civica, sono più
immediatamente rispondenti alla natura dell'uomo. Sono a lui necessarie. Al
fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone
alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di
istituzioni d'elezione "a scopi economici, culturali, sociali, sportivi,
ricreativi, professionali, politici, tanto all'interno delle comunità
politiche, quanto sul piano mondiale" [Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et
magistra, 60]. Tale "socializzazione" esprime parimenti la tendenza naturale
che spinge gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi
che superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona,
in particolare, il suo spirito di iniziativa e il suo senso di
responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 25; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 12].
1883 La socializzazione presenta anche dei pericoli. Un intervento troppo
spinto dello Stato può minacciare la libertà e l'iniziativa personali. La
dottrina della Chiesa ha elaborato il principio detto di sussidiarietà.
Secondo tale principio, "una società di ordine superiore non deve
interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore,
privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di
necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre
componenti sociali, in vista del bene comune" [Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 48; cf Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno].
1884 Dio non ha voluto riservare solo a sé l'esercizio di tutti i poteri.
Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare,
secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve
essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del
mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana,
dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane.
Costoro devono comportarsi come ministri della Provvidenza divina.
1885 Il principio di sussidiarietà si oppone a tutte le forme di
collettivismo. Esso precisa i limiti dell'intervento dello Stato. Mira ad
armonizzare i rapporti tra gli individui e le società. Tende ad instaurare
un autentico ordine internazionale.
II. La conversione e la società
1886 La società è indispensabile alla realizzazione della vocazione umana.
Per raggiungere questo fine è necessario che sia rispettata la giusta
gerarchia dei valori che "subordini le dimensioni materiali e istintive a
quelle interiori e spirituali": [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus
annus, 36]
La convivenza umana deve essere considerata anzitutto come un fatto
spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio
di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e
come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime
espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il
meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione
di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione
e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo
economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli
ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si
articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante [Giovanni
XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 35].
1887 Lo scambio dei mezzi con i fini, [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 41] che porta a dare valore di fine ultimo a ciò che è
soltanto un mezzo per concorrervi, oppure a considerare delle persone come
puri mezzi in vista di un fine, genera strutture ingiuste che "rendono ardua
e praticamente impossibile una condotta cristiana, conforme ai comandamenti
del Divino Legislatore" [Pio XII, discorso del 1 giugno 1941].
1888 Occorre, quindi, far leva sulle capacità spirituali e morali della
persona e sull'esigenza permanente della sua conversione interiore, per
ottenere cambiamenti sociali che siano realmente a suo servizio. La priorità
riconosciuta alla conversione del cuore non elimina affatto, anzi impone
l'obbligo di apportare alle istituzioni e alle condizioni di vita, quando
esse provochino il peccato, i risanamenti opportuni, perché si conformino
alle norme della giustizia e favoriscano il bene anziché ostacolarlo.
1889 Senza l'aiuto della grazia, gli uomini non saprebbero "scorgere il
sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che,
illudendosi di combatterlo, lo aggrava". E' il cammino della carità, cioè
dell'amore di Dio e del prossimo. La carità rappresenta il più grande
comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la
pratica della giustizia e sola ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che
si fa dono di sé: "Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi
invece la perde la salverà" ( Lc 17,33 ).
In sintesi
1890 Esiste una certa somiglianza tra l'unità delle persone divine e la
fraternità che gli uomini devono instaurare tra loro.
1891 Per svilupparsi in conformità alla propria natura, la persona umana ha
bisogno della vita sociale. Certe società, quali la famiglia e la comunità
civica, sono più immediatamente rispondenti alla natura dell'uomo.
1892 "Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve
essere la persona umana" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 25].
1893 Si deve incoraggiare una larga partecipazione ad associazioni ed
istituzioni d'elezione.
1894 Secondo il principio di sussidiarietà, né lo Stato né alcuna società
più grande devono sostituirsi all'iniziativa e alla responsabilità delle
persone e dei corpi intermedi.
1895 La società deve agevolare l'esercizio delle virtù, non ostacolarlo.
Deve ispirarla una giusta gerarchia dei valori.
1896 Là dove il peccato perverte il clima sociale, occorre far appello alla
conversione dei cuori e alla grazia di Dio. La carità stimola a giuste
riforme. Non c'è soluzione alla questione sociale al di fuori del Vangelo
[Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 3].
Articolo 2
LA PARTECIPAZIONE ALLA VITA SOCIALE
I. L'autorità
1897 "La convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e feconda
se in essa non è presente un'autorità legittima che assicuri l'ordine e
contribuisca all'attuazione del bene comune in grado sufficiente" [Giovanni
XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 46].
Si chiama "autorità" il titolo in forza del quale delle persone o delle
istituzioni promulgano leggi e danno ordini a degli uomini e si aspettano
obbedienza da parte loro.
1898 Ogni comunità umana ha bisogno di una autorità che la regga [Cf Leone
XIII, Lett. enc. Immortale Dei; Id., Lett. enc. Diuturnum illud]. Tale
autorità trova il proprio fondamento nella natura umana. E' necessaria
all'unità della comunità civica. Suo compito è quello di assicurare, per
quanto possibile, il bene comune della società.
1899 L'autorità, esigita dall'ordine morale, viene da Dio: "Ciascuno sia
sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e
quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone
all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si
oppongono si attireranno addosso la condanna" ( Rm 13,1-2 ) [Cf 1Pt 2,13-17
].
1900 Il dovere di obbedienza impone a tutti di tributare all'autorità gli
onori che ad essa sono dovuti e di circondare di rispetto e, secondo il loro
merito, di gratitudine e benevolenza le persone che ne esercitano l'ufficio.
Alla penna del papa san Clemente di Roma è dovuta la più antica preghiera
della Chiesa per l'autorità politica: [Cf già 1Tm 2,1-2 ]
O Signore, dona loro salute, pace, concordia, costanza, affinché possano
esercitare, senza ostacolo, il potere sovrano che loro hai conferito. Sei
Tu, o Signore, re celeste dei secoli, che doni ai figli degli uomini la
gloria, l'onore, il potere sulla terra. Perciò dirigi Tu, o Signore, le loro
decisioni a fare ciò che è bello e che ti è gradito; e così possano
esercitare il potere, che Tu hai loro conferito, con religiosità, con pace,
con clemenza, e siano degni della tua misericordia [San Clemente di Roma,
Epistula ad Corinthios, 61, 1-2].
1901 Se l'autorità rimanda ad un ordine prestabilito da Dio, "la
determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono
lasciate alla libera decisione dei cittadini" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium
et spes, 74].
La diversità dei regimi politici è moralmente ammissibile, purché essi
concorrano al bene legittimo delle comunità che li adottano. I regimi la cui
natura è contraria alla legge naturale, all'ordine pubblico e ai
fondamentali diritti delle persone, non possono realizzare il bene comune
delle nazioni alle quali essi si sono imposti.
1902 L'autorità non trae da se stessa la propria legittimità morale. Non
deve comportarsi dispoticamente, ma operare per il bene comune come una
"forza morale che si appoggia sulla libertà e sulla coscienza del dovere e
del compito assunto": [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 74]
La legislazione umana non riveste il carattere di legge se non nella misura
in cui si conforma alla retta ragione; da ciò è evidente che essa trae la
sua forza dalla legge eterna. Nella misura in cui si allontanasse dalla
ragione, la si dovrebbe dichiarare ingiusta, perché non realizzerebbe il
concetto di legge: sarebbe piuttosto una forma di violenza [San Tommaso
d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 93, 3, ad 2].
1903 L'autorità è esercitata legittimamente soltanto se ricerca il bene
comune del gruppo considerato e se, per conseguirlo, usa mezzi moralmente
leciti. Se accade che i governanti emanino leggi ingiuste o prendano misure
contrarie all'ordine morale, tali disposizioni non sono obbliganti per le
coscienze. "In tal caso, anzi, chiaramente l'autorità cessa di essere tale e
degenera in sopruso" [Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 51].
1904 "E' preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da
altre sfere di competenza, che lo mantengano nel giusto limite. E' questo,
il principio dello "Stato di diritto", nel quale è sovrana la legge, e non
la volontà arbitraria degli uomini" [Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 44].
II. Il bene comune
1905 In conformità alla natura sociale dell'uomo, il bene di ciascuno è
necessariamente in rapporto con il bene comune. Questo non può essere
definito che in relazione alla persona umana:
Non vivete isolati, ripiegandovi su voi stessi, come se già foste confermati
nella giustizia; invece riunitevi insieme, per ricercare ciò che giova al
bene di tutti [Lettera di Barnaba, 4, 10].
1906 Per bene comune si deve intendere "l'insieme di quelle condizioni della
vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di
raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente" [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 26; cf ibid. , 74]. Il bene comune interessa
la vita di tutti. Esige la prudenza da parte di ciascuno e più ancora da
parte di coloro che esercitano l'ufficio dell'autorità. Esso comporta tre
elementi essenziali:
1907 In primo luogo, esso suppone il rispetto della persona in quanto tale.
In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i
diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana. La società ha il
dovere di permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la propria
vocazione. In particolare, il bene comune consiste nelle condizioni
d'esercizio delle libertà naturali che sono indispensabili al pieno sviluppo
della vocazione umana: tali il diritto "alla possibilità di agire secondo il
retto dettato della propria coscienza, alla salvaguardia della vita privata
e alla giusta libertà anche in campo religioso" [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 26].
1908 In secondo luogo, il bene comune richiede il benessere sociale e lo
sviluppo del gruppo stesso. Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri
sociali. Certo, spetta all'autorità farsi arbitra, in nome del bene comune,
fra i diversi interessi particolari. Essa però deve rendere accessibile a
ciascuno ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana: vitto,
vestito, salute, lavoro, educazione e cultura, informazione conveniente,
diritto a fondare una famiglia, ecc [Cf ibid].
1909 Il bene comune implica infine la pace, cioè la stabilità e la sicurezza
di un ordine giusto. Suppone quindi che l'autorità garantisca, con mezzi
onesti, la sicurezza della società e quella dei suoi membri. Esso fonda il
diritto alla legittima difesa personale e collettiva.
1910 Se ogni comunità umana possiede un bene comune che le consente di
riconoscersi come tale, è nella comunità politica che si trova la sua
realizzazione più completa. E' compito dello Stato difendere e promuovere il
bene comune della società civile, dei cittadini e dei corpi intermedi.
1911 I legami di mutua dipendenza tra gli uomini s'intensificano. A poco a
poco si estendono a tutta la terra. L'unità della famiglia umana, la quale
riunisce esseri che godono di una eguale dignità naturale, implica un bene
comune universale. Questo richiede una organizzazione della comunità delle
nazioni capace di "provvedere ai diversi bisogni degli uomini, tanto nel
campo della vita sociale, cui appartengono l'alimentazione, la salute,
l'educazione..., quanto in alcune circostanze particolari che sorgono qua e
là, come possono essere... la necessità di soccorrere le angustie dei
profughi, o anche di aiutare gli emigrati e le loro famiglie" [Cf ibid].
1912 Il bene comune è sempre orientato verso il progresso delle persone:
"Nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e non il
contrario" [Cf ibid]. Tale ordine ha come fondamento la verità, si edifica
nella giustizia, è vivificato dall'amore.
III. Responsabilità e partecipazione
1913 La partecipazione è l'impegno volontario e generoso della persona negli
scambi sociali. E' necessario che tutti, ciascuno secondo il posto che
occupa e il ruolo che ricopre, partecipino a promuovere il bene comune.
Questo dovere è inerente alla dignità della persona umana.
1914 La partecipazione si realizza innanzitutto con il farsi carico dei
settori dei quali l'uomo si assume la responsabilità personale: attraverso
la premura con cui si dedica all'educazione della propria famiglia, mediante
la coscienza con cui attende al proprio lavoro, egli partecipa al bene
altrui e della società [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus,
43].
1915 I cittadini, per quanto è possibile, devono prendere parte attiva alla
vita pubblica. Le modalità di tale partecipazione possono variare da un
paese all'altro, da una cultura all'altra. "E' da lodarsi il modo di agire
di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe
della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà" [Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes, 31].
1916 La partecipazione di tutti all'attuazione del bene comune implica, come
ogni dovere etico, una conversione incessantemente rinnovata dei partner
sociali. La frode e altri sotterfugi mediante i quali alcuni si sottraggono
alle imposizioni della legge e alle prescrizioni del dovere sociale, vanno
condannati con fermezza, perché incompatibili con le esigenze della
giustizia. Ci si deve occupare del progresso delle istituzioni che servono a
migliorare le condizioni di vita degli uomini [Cf ibid., 30].
1917 Spetta a coloro che sono investiti di autorità consolidare i valori che
attirano la fiducia dei membri del gruppo e li stimolano a mettersi al
servizio dei loro simili. La partecipazione ha inizio dall'educazione e
dalla cultura. "Legittimamente si può pensare che il futuro dell'umanità sia
riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni
di domani ragioni di vita e di speranza" [Cf ibid., 30].
In sintesi
1918 "Non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da
Dio" ( Rm 13,1 ).
1919 Ogni comunità umana ha bisogno di un'autorità per conservarsi e
svilupparsi.
1920 "La comunità politica e l'autorità pubblica hanno il loro fondamento
nella natura umana e perciò appartengono all'ordine stabilito da Dio" [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 74].
1921 L'autorità è esercitata in modo legittimo se si dedica al conseguimento
del bene comune della società. Per raggiungerlo, deve usare mezzi moralmente
accettabili.
1922 La diversità dei regimi politici è legittima, a condizione che essi
concorrano al bene della comunità.
1923 L'autorità politica deve essere esercitata entro i limiti dell'ordine
morale e garantire le condizioni d'esercizio della libertà.
1924 Il bene comune comprende "l'insieme di quelle condizioni della vita
sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la
propria perfezione più pienamente e più speditamente" [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 74].
1925 Il bene comune comporta tre elementi essenziali: il rispetto e la
promozione dei diritti fondamentali della persona; la prosperità o lo
sviluppo dei beni spirituali e temporali della società; la pace e la
sicurezza del gruppo e dei suoi membri.
1926 La dignità della persona umana implica la ricerca del bene comune.
Ciascuno ha il dovere di adoperarsi per suscitare e sostenere istituzioni
che servano a migliorare le condizioni di vita degli uomini.
1927 E' compito dello Stato difendere e promuovere il bene comune della
società civile. Il bene comune dell'intera famiglia umana richiede una
organizzazione della società internazionale.
Articolo 3
LA GIUSTIZIA SOCIALE
1928 La società assicura la giustizia sociale allorché realizza le
condizioni che consentono alle associazioni e agli individui di conseguire
ciò a cui hanno diritto secondo la loro natura e la loro vocazione. La
giustizia sociale è connessa con il bene comune e con l'esercizio
dell'autorità.
I. Il rispetto della persona umana
1929 La giustizia sociale non si può ottenere se non nel rispetto della
dignità trascendente dell'uomo. La persona rappresenta il fine ultimo della
società, la quale è ad essa ordinata:
La difesa e la promozione della dignità della persona umana ci sono state
affidate dal Creatore; di essa sono rigorosamente e responsabilmente
debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia [Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 47].
1930 Il rispetto della persona umana implica il rispetto dei diritti che
scaturiscono dalla sua dignità di creatura. Questi diritti sono anteriori
alla società e ad essa si impongono. Essi sono il fondamento della
legittimità morale di ogni autorità: una società che li irrida o rifiuti di
riconoscerli nella propria legislazione positiva, mina la propria
legittimità morale [Cf Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 65]. Se
manca tale rispetto, un'autorità non può che appoggiarsi sulla forza o sulla
violenza per ottenere l'obbedienza dei propri sudditi. E' compito della
Chiesa richiamare alla memoria degli uomini di buona volontà questi diritti
e distinguerli dalle rivendicazioni abusive o false.
1931 Il rispetto della persona umana non può assolutamente prescindere dal
rispetto di questo principio: "I singoli" devono "considerare il prossimo,
nessuno eccettuato, come "un altro se stesso", tenendo conto della sua vita
e dei mezzi necessari per viverla degnamente" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium
et spes, 27]. Nessuna legislazione sarebbe in grado, da se stessa, di
dissipare i timori, i pregiudizi, le tendenze all'orgoglio e all'egoismo,
che ostacolano l'instaurarsi di società veramente fraterne. Simili
comportamenti si superano solo con la carità, la quale vede in ogni uomo un
"prossimo", un fratello.
1932 Il dovere di farsi il prossimo degli altri e di servirli attivamente
diventa ancor più urgente quando costoro sono particolarmente bisognosi,
sotto qualsiasi aspetto. "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" ( Mt 25,40 ).
1933 Questo stesso dovere comprende anche coloro che pensano o operano
diversamente da noi. L'insegnamento di Cristo arriva fino a chiedere il
perdono delle offese. Estende il comandamento dell'amore, che è quello della
legge nuova, a tutti i nemici [Cf Mt 5,43-44 ]. La liberazione nello spirito
del Vangelo è incompatibile con l'odio del nemico in quanto persona, ma non
con l'odio del male che egli compie in quanto nemico.
II. Uguaglianza e differenze tra gli uomini
1934 Tutti gli uomini, creati ad immagine dell'unico Dio e dotati di una
medesima anima razionale, hanno la stessa natura e la stessa origine.
Redenti dal sacrificio di Cristo, tutti sono chiamati a partecipare alla
medesima beatitudine divina: tutti, quindi, godono di una eguale dignità.
1935 L'uguaglianza tra gli uomini poggia essenzialmente sulla loro dignità
personale e sui diritti che ne derivano:
Ogni genere di discriminazione nei diritti fondamentali della persona. . .
in ragione del sesso, della stirpe, del colore, della condizione sociale,
della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario
al disegno di Dio [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 29].
1936 L'uomo, venendo al mondo, non dispone di tutto ciò che è necessario
allo sviluppo della propria vita, corporale e spirituale. Ha bisogno degli
altri. Si notano differenze legate all'età, alle capacità fisiche, alle
attitudini intellettuali o morali, agli scambi di cui ciascuno ha potuto
beneficiare, alla distribuzione delle ricchezze [Cf ibid]. I "talenti" non
sono distribuiti in misura eguale [Cf Mt 25,14-30; 1936 Lc 19,11-27 ].
1937 Tali differenze rientrano nel piano di Dio, il quale vuole che ciascuno
riceva dagli altri ciò di cui ha bisogno, e che coloro che hanno "talenti"
particolari ne comunichino i benefici a coloro che ne hanno bisogno. Le
differenze incoraggiano e spesso obbligano le persone alla magnanimità, alla
benevolenza e alla condivisione; spingono le culture a mutui arricchimenti:
Io distribuisco le virtù tanto differentemente, che non do tutto ad ognuno,
ma a chi l'una a chi l'altra ... A chi darò principalmente la carità, a chi
la giustizia, a chi l'umiltà, a chi una fede viva... E così ho dato molti
doni e grazie di virtù, spirituali e temporali, con tale diversità, che non
tutto ho comunicato ad una sola persona, affinché voi foste costretti ad
usare carità l'uno con l'altro... Io volli che l'uno avesse bisogno
dell'altro e tutti fossero miei ministri nel dispensare le grazie e i doni
da me ricevuti [Santa Caterina da Siena, Dialoghi, 1, 7].
1938 Esistono anche delle disuguaglianze inique che colpiscono milioni di
uomini e di donne. Esse sono in aperto contrasto con il Vangelo:
L'eguale dignità delle persone richiede che si giunga ad una condizione più
umana e giusta della vita. Infatti le troppe disuguaglianze economiche e
sociali, tra membri e tra popoli dell'unica famiglia umana, suscitano
scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all'equità, alla dignità
della persona umana, nonché alla pace sociale ed internazionale [Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes, 29].
III. La solidarietà umana
1939 Il principio di solidarietà, designato pure con il nome di "amicizia" o
di "carità sociale", è una esigenza diretta della fraternità umana e
cristiana: [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis,
38-40; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 10] un errore
oggi largamente diffuso, è la dimenticanza della legge della solidarietà
umana e della carità, legge dettata e imposta tanto dalla comunità di
origine e dall'uguaglianza della natura ragionevole, propria di tutti gli
uomini, a qualsiasi popolo appartengano, quanto dal sacrificio offerto da
Gesù Cristo sull'altare della croce, al Padre suo celeste, in favore
dell'umanità peccatrice [Pio XII, Lett. enc. Summi pontificatus].
1940 La solidarietà si esprime innanzitutto nella ripartizione dei beni e
nella remunerazione del lavoro. Suppone anche l'impegno per un ordine
sociale più giusto, nel quale le tensioni potrebbero essere meglio
riassorbite e i conflitti troverebbero più facilmente la loro soluzione
negoziata.
1941 I problemi socio-economici non possono essere risolti che mediante il
concorso di tutte le forme di solidarietà: solidarietà dei poveri tra loro,
dei ricchi e dei poveri, dei lavoratori tra loro, degli imprenditori e dei
dipendenti nell'impresa, solidarietà tra le nazioni e tra i popoli. La
solidarietà internazionale è un'esigenza di ordine morale. La pace del mondo
dipende in parte da essa.
1942 La virtù della solidarietà oltrepassa l'ambito dei beni materiali.
Diffondendo i beni spirituali della fede, la Chiesa ha, per di più, favorito
lo sviluppo del benessere temporale, al quale spesso ha aperto vie nuove.
Così, nel corso dei secoli, si è realizzata la parola del Signore: "Cercate
prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno
date in aggiunta" ( Mt 6,33 ):
Da duemila anni, vive e vigoreggia nell'anima della Chiesa quel sentimento
che ha spinto ed ancora spinge fino all'eroismo della carità i monaci
agricoltori, i liberatori degli schiavi, coloro che curano gli ammalati,
coloro che portano il messaggio della fede, della civiltà, della cultura a
tutte le generazioni e a tutti i popoli, al fine di creare condizioni
sociali tali da rendere possibile per tutti una vita degna dell'uomo e del
cristiano [Pio XII, discorso del 1 giugno 1941].
In sintesi
1943 La società assicura la giustizia sociale realizzando le condizioni che
permettono alle associazioni e agli individui di ottenere ciò a cui hanno
diritto.
1944 Il rispetto della persona umana conduce a considerare l'altro come "un
altro se stesso". Esso comporta il rispetto dei diritti fondamentali che
derivano dall'intrinseca dignità della persona.
1945 L'uguaglianza tra gli uomini si fonda sulla loro dignità personale e
sui diritti che da essa derivano.
1946 Le differenze tra le persone rientrano nel disegno di Dio, il quale
vuole che noi abbiamo bisogno gli uni degli altri. Esse devono spronare alla
carità.
1947 L'eguale dignità delle persone umane richiede l'impegno per ridurre le
disuguaglianze sociali ed economiche eccessive. Essa spinge ad eliminare le
disuguaglianze inique.
1948 La solidarietà è una virtù eminentemente cristiana. Essa attua la
condivisione dei beni spirituali ancor più che di quelli materiali.
PARTE TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE PRIMA - LA VOCAZIONE DELL'UOMO: LA VITA NELLO SPIRITO
CAPITOLO TERZO - LA SALVEZZA DI DIO: LA LEGGE E LA GRAZIA
1949 Chiamato alla beatitudine, ma ferito dal peccato, l'uomo ha bisogno
della salvezza di Dio. L'aiuto divino gli viene dato in Cristo, per mezzo
della legge che lo dirige e nella grazia che lo sostiene:
Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore. E' Dio infatti che
suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni ( Fil
2,12-13 ).
Articolo 1
LA LEGGE MORALE
1950 La legge morale è opera della Sapienza divina. La si può definire, in
senso biblico, come un insegnamento paterno, una pedagogia di Dio. Prescrive
all'uomo le vie, le norme di condotta che conducono alla beatitudine
promessa; vieta le strade del male, che allontanano da Dio e dal suo amore.
Essa è ad un tempo severa nei suoi precetti e soave nelle sue promesse.
1951 La legge è una regola di comportamento emanata dall'autorità competente
in vista del bene comune. La legge morale suppone l'ordine razionale
stabilito tra le creature, per il loro bene e in vista del loro fine, dalla
potenza, dalla sapienza, dalla bontà del Creatore. Ogni legge trova nella
legge eterna la sua prima e ultima verità. La legge è dichiarata e stabilita
dalla ragione come una partecipazione alla Provvidenza del Dio vivente
Creatore e Redentore di tutti. "L'ordinamento della ragione, ecco ciò che si
chiama la legge" [Leone XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimum;
citazione da San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 90, 1].
L'uomo è il solo tra tutti gli esseri animati che possa gloriarsi d'essere
stato degno di ricevere una legge da Dio; animale dotato di ragione, capace
di comprendere e di discernere, egli regolerà la propria condotta valendosi
della sua libertà e della sua ragione, nella docile obbedienza a colui che
tutto gli ha affidato [Tertulliano, Adversus Marcionem, 2, 4].
1952 Le espressioni della legge morale sono diverse, e sono tutte coordinate
tra loro: la legge eterna, fonte, in Dio, di tutte le leggi; la legge
naturale; la legge rivelata, che comprende la Legge antica e la Legge nuova
o evangelica; infine le leggi civili ed ecclesiastiche.
1953 La legge morale trova in Cristo la sua pienezza e la sua unità. Gesù
Cristo in persona è la via della perfezione. E' il termine della Legge,
perché egli solo insegna e dà la giustizia di Dio: "Il termine della Legge è
Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede" ( Rm 10,4 ).
I. La legge morale naturale
1954 L'uomo partecipa alla sapienza e alla bontà del Creatore, che gli
conferisce la padronanza dei suoi atti e la capacità di dirigersi verso la
verità e il bene. La legge naturale esprime il senso morale originale che
permette all'uomo di discernere, per mezzo della ragione, quello che sono il
bene e il male, la verità e la menzogna:
La legge naturale è iscritta e scolpita nell'anima di tutti i singoli
uomini; essa infatti è la ragione umana che impone di agire bene e proibisce
il peccato. . . Questa prescrizione dell'umana ragione, però, non sarebbe in
grado di avere forza di legge, se non fosse la voce e l'interprete di una
ragione più alta, alla quale il nostro spirito e la nostra libertà devono
essere sottomessi [Leone XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimum].
1955 La legge "divina e naturale" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 89]
mostra all'uomo la via da seguire per compiere il bene e raggiungere il
proprio fine. La legge naturale indica le norme prime ed essenziali che
regolano la vita morale. Ha come perno l'aspirazione e la sottomissione a
Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell'altro come uguale
a se stesso. Nei suoi precetti principali essa è esposta nel Decalogo.
Questa legge è chiamata naturale non in rapporto alla natura degli esseri
irrazionali, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura
umana:
Dove dunque sono iscritte queste regole, se non nel libro di quella luce che
si chiama verità? Di qui, dunque, è dettata ogni legge giusta e si
trasferisce retta nel cuore dell'uomo che opera la giustizia, non emigrando
in lui, ma quasi imprimendosi in lui, come l'immagine passa dall'anello
nella cera, ma senza abbandonare l'anello [Sant'Agostino, De Trinitate, 14,
15, 21].
La legge naturale altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da
Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve
evitare. Questa luce o questa legge Dio l'ha donata alla creazione [San
Tommaso d'Aquino, Collationes in decem praeceptis, 1].
1956 Presente nel cuore di ogni uomo e stabilita dalla ragione, la legge
naturale è universale nei suoi precetti e la sua autorità si estende a tutti
gli uomini. Esprime la dignità della persona e pone la base dei suoi diritti
e dei suoi doveri fondamentali:
Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla
natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi
precetti chiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall'errore. . . E'
un delitto sostituirla con una legge contraria; è proibito non praticarne
una sola disposizione; nessuno poi ha la possibilità di abrogarla
completamente [Cicerone, La repubblica, 3, 22, 33].
1957 L'applicazione della legge naturale si diversifica molto; può
richiedere un adattamento alla molteplicità delle condizioni di vita,
secondo i luoghi, le epoche e le circostanze. Tuttavia, nella diversità
delle culture, la legge naturale resta come una regola che lega gli uomini
tra loro e ad essi impone, al di là delle inevitabili differenze, principi
comuni.
1958 La legge naturale è immutabile [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 10] e permane inalterata attraverso i mutamenti della storia; rimane
sotto l'evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso. Le
norme che la esprimono restano sostanzialmente valide. Anche se si arriva a
negare i suoi principi, non la si può però distruggere, né strappare dal
cuore dell'uomo. Sempre risorge nella vita degli individui e delle società:
La tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge
scritta nel cuore degli uomini, legge che nemmeno la loro malvagità può
cancellare [Sant'Agostino, Confessiones, 2, 4, 9].
1959 Opera molto buona del Creatore, la legge naturale fornisce i solidi
fondamenti sui quali l'uomo può costruire l'edificio delle regole morali che
guideranno le sue scelte. Essa pone anche il fondamento morale
indispensabile per edificare la comunità degli uomini. Procura infine il
fondamento necessario alla legge civile, la quale ad essa si riallaccia sia
con una riflessione che trae le conseguenze dai principi della legge
naturale, sia con aggiunte di natura positiva e giuridica.
1960 I precetti della legge naturale non sono percepiti da tutti con
chiarezza ed immediatezza. Nell'attuale situazione, la grazia e la
rivelazione sono necessarie all'uomo peccatore perché le verità religiose e
morali possano essere conosciute "da tutti e senza difficoltà, con ferma
certezza e senza alcuna mescolanza di errore" [Pio XII, Lett. enc. Humani
generis: Denz. -Schönm., 3876]. La legge naturale offre alla Legge rivelata
e alla grazia un fondamento preparato da Dio e in piena armonia con l'opera
dello Spirito.
II. La Legge antica
1961 Dio, nostro Creatore e nostro Redentore, si è scelto Israele come suo
popolo e gli ha rivelato la sua Legge, preparando in tal modo la venuta di
Cristo. La Legge di Mosè esprime molte verità che sono naturalmente
accessibili alla ragione. Queste si trovano affermate ed autenticate
all'interno dell'Alleanza della Salvezza.
1962 La Legge antica è il primo stadio della Legge rivelata. Le sue
prescrizioni morali sono riassunte nei Dieci comandamenti. I precetti del
Decalogo pongono i fondamenti della vocazione dell'uomo, creato ad immagine
di Dio; vietano ciò che è contrario all'amore di Dio e del prossimo, e
prescrivono ciò che gli è essenziale. Il Decalogo è una luce offerta alla
coscienza di ogni uomo per manifestargli la chiamata e le vie di Dio, e
difenderlo contro il male:
Dio ha scritto sulle tavole della Legge ciò che gli uomini non riuscivano a
leggere nei loro cuori [Sant'Agostino, Enarratio in Psalmos, 57, 1].
1963 Secondo la tradizione cristiana, la Legge santa, [Cf Rm 7,12 ]
spirituale [Cf Rm 7,14 ] e buona, [Cf Rm 7,16 ] è ancora imperfetta. Come un
pedagogo [Cf Gal 3,24 ] essa indica ciò che si deve fare, ma da sé non dà la
forza, la grazia dello Spirito per osservarla. A causa del peccato che non
può togliere, essa rimane una legge di schiavitù. Secondo san Paolo, essa ha
particolarmente la funzione di denunciare e di manifestare il peccato che
nel cuore dell'uomo forma una "legge di concupiscenza" [Cf Rm 7 ]. Tuttavia
la Legge rimane la prima tappa sul cammino del Regno. Essa prepara e dispone
il popolo eletto e ogni cristiano alla conversione e alla fede nel Dio
Salvatore. Dà un insegnamento che rimane per sempre, come Parola di Dio.
1964 La Legge antica è una preparazione al Vangelo. "La Legge è profezia e
pedagogia delle realtà future" [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4,
15, 1]. Essa profetizza e presagisce l'opera della liberazione dal peccato
che si compirà con Cristo, ed offre al Nuovo Testamento le immagini, i
"tipi", i simboli per esprimere la vita secondo lo Spirito. La Legge infine
viene completata dall'insegnamento dei libri sapienziali e dei profeti, che
la orientano verso la Nuova Alleanza e il Regno dei cieli.
Ci furono. . ., nel regime dell'Antico Testamento, anime ripiene di carità e
della grazia dello Spirito Santo, le quali aspettavano soprattutto il
compimento delle promesse spirituali ed eterne. Sotto tale aspetto, costoro
appartenevano alla nuova legge. Al contrario, anche nel Nuovo Testamento ci
sono uomini carnali, che ancora non hanno raggiunto la perfezione della
nuova legge, e che bisogna indurre alle azioni virtuose con la paura del
castigo o con la promessa di beni temporali. Però, la Legge antica, anche se
dava i precetti della carità, non era in grado di offrire la grazia dello
Spirito Santo, in virtù del quale "l'amore di Dio è stato riversato nei
nostri cuori" ( Rm 5,5 ) [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 107,
1, ad 2].
III. La nuova Legge o Legge evangelica
1965 La nuova Legge o Legge evangelica è la perfezione quaggiù della legge
divina, naturale e rivelata. E' opera di Cristo e trova la sua espressione
particolarmente nel Discorso della montagna; è anche opera dello Spirito
Santo e, per mezzo di lui, diventa la legge interiore della carità: "Io
stipulerò con la casa d'Israele. . . un'alleanza nuova. . . Porrò le mie
leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed
essi saranno il mio popolo" ( Eb 8,8; Eb 8,10 ) [Cf Ger 31,31-34 ].
1966 La Legge nuova è la grazia dello Spirito Santo, data ai fedeli in virtù
della fede in Cristo. Essa opera mediante la carità, si serve del Discorso
del Signore sulla montagna per insegnarci ciò che si deve fare, e dei
sacramenti per comunicarci la grazia di farlo:
Chi vorrà meditare con pietà e perspicacia il Discorso che nostro Signore ha
pronunciato sulla montagna, così come lo si legge nel Vangelo di San Matteo,
indubbiamente vi troverà la "magna carta" della vita cristiana. . . Questo
Discorso infatti comprende tutte le norme peculiari della esistenza
cristiana [Sant'Agostino, De sermone Domini in monte, 1, 1: PL 34,
1229-1231].
1967 La Legge evangelica "dà compimento" [Cf Mt 5,17-19 ] alla Legge antica,
la purifica, la supera e la porta alla perfezione. Nelle "beatitudini" essa
compie le promesse divine, elevandole ed ordinandole al "Regno dei cieli".
Si rivolge a coloro che sono disposti ad accogliere con fede questa speranza
nuova: i poveri, gli umili, gli afflitti, i puri di cuore, i perseguitati a
causa di Cristo, tracciando in tal modo le sorprendenti vie del Regno.
1968 La Legge evangelica dà compimento ai comandamenti della Legge. Il
Discorso del Signore sulla montagna, lungi dall'abolire o dal togliere
valore alle prescrizioni morali della Legge antica, ne svela le virtualità
nascoste e ne fa scaturire nuove esigenze: ne mette in luce tutta la verità
divina e umana. Esso non aggiunge nuovi precetti esteriori, ma arriva a
riformare la radice delle azioni, il cuore, là dove l'uomo sceglie tra il
puro e l'impuro, [Cf Mt 15,18-19 ] dove si sviluppano la fede, la speranza e
la carità e, con queste, le altre virtù. Così il Vangelo porta la legge alla
sua pienezza mediante l'imitazione della perfezione del Padre celeste, [Cf
Mt 5,48 ] il perdono dei nemici e la preghiera per i persecutori,
sull'esempio della magnanimità divina [Cf Mt 5,44 ].
1969 La Legge nuova pratica gli atti della religione: l'elemosina, la
preghiera e il digiuno, ordinandoli al "Padre che vede nel segreto", in
opposizione al desiderio di "essere visti dagli uomini" [Cf Mt 6,1-6; 1969
Mt 16-18 ]. La sua preghiera è il "Padre nostro" [Cf Mt 6,9-13 ].
1970 La Legge evangelica implica la scelta decisiva tra "le due vie" [Cf Mt
7,13-14 ] e il mettere in pratica le parole del Signore; [Cf Mt 7,21-27 ]
essa si riassume nella "regola d'oro": "Tutto quanto volete che gli uomini
facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i
Profeti" ( Mt 7,12 ) [Cf Lc 6,31 ].
Tutta la Legge evangelica è racchiusa nel " comandamento nuovo " di Gesù (
Gv 13,34 ), di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati [Cf Gv 15,12 ].
1971 Al Discorso del Signore sulla montagna è opportuno aggiungere la
catechesi morale degli insegnamenti apostolici [Cf Rm 12-15; 1Cor 12-13;
1971 Col 3-4; Ef 4-5; ecc]. Questa dottrina trasmette l'insegnamento del
Signore con l'autorità degli Apostoli, particolarmente attraverso
l'esposizione delle virtù che derivano dalla fede in Cristo e che sono
animate dalla carità, il principale dono dello Spirito Santo. "La carità non
abbia finzioni. . . Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno. . .
Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella
preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi
nell'ospitalità" ( Rm 12,9-13 ). Questa catechesi ci insegna anche a
considerare i casi di coscienza alla luce del nostro rapporto con Cristo e
con la Chiesa [Cf Rm 14; 1971 1Cor 5-10 ].
1972 La Legge nuova è chiamata una legge d'amore, perché fa agire in virtù
dell'amore che lo Spirito Santo infonde, più che sotto la spinta del timore;
una legge di grazia, perché, per mezzo della fede e dei sacramenti,
conferisce la forza della grazia per agire; una legge di libertà , [Cf Gc
1,25; Gc 2,12 ] perché ci libera dalle osservanze rituali e giuridiche della
Legge antica, ci porta ad agire spontaneamente sotto l'impulso della carità,
ed infine ci fa passare dalla condizione del servo "che non sa quello che fa
il suo padrone" a quella di amico di Cristo "perché tutto ciò che ho udito
dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" ( Gv 15,15 ), o ancora alla condizione
di figlio erede [Cf Gal 4,1-7; 1973 Gal 4,21-31; Rm 8,15 ].
1973 Oltre ai suoi precetti, la Legge nuova comprende anche i consigli
evangelici. La distinzione tradizionale tra i comandamenti di Dio e i
consigli evangelici si stabilisce in rapporto alla carità, perfezione della
vita cristiana. I precetti mirano a rimuovere ciò che è incompatibile con la
carità. I consigli si prefiggono di rimuovere ciò che, pur senza contrastare
con la carità, può rappresentare un ostacolo per il suo sviluppo [Cf San
Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 184, 3].
1974 I consigli evangelici esprimono la pienezza vivente della carità,
sempre insoddisfatta di non dare di più. Testimoniano il suo slancio e
sollecitano la nostra prontezza spirituale. La perfezione della Legge nuova
consiste essenzialmente nei comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo. I
consigli indicano vie più dirette, mezzi più spediti e vanno praticati in
conformità alla vocazione di ciascuno:
Dio non vuole che tutti osservino tutti i consigli, ma soltanto quelli
appropriati, secondo la diversità delle persone, dei tempi, delle occasioni
e delle forze, stando a quanto richiede la carità; perché è lei che, come
regina di tutte le virtù, di tutti i comandamenti, di tutti i consigli, in
una parola, di tutta la legge e di tutte le azioni cristiane, assegna a
tutti e a tutte il posto, l'ordine, il tempo, il valore [San Francesco di
Sales, Trattato sull'amor di Dio, 8, 6].
In sintesi
1975 Secondo la Scrittura, la legge è un'istruzione paterna di Dio, che
prescrive all'uomo le vie che conducono alla beatitudine promessa e vieta le
strade del male.
1976 "La legge è un comando della ragione ordinato al bene comune,
promulgato da chi è incaricato di una comunità" [San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, I-II, 90, 4].
1977 Cristo è il termine della legge ; [Cf Rm 10,4 ] egli solo insegna e dà
la giustizia di Dio.
1978 La legge naturale è una partecipazione alla sapienza e alla bontà di
Dio, da parte dell'uomo, plasmato ad immagine del suo Creatore. Essa esprime
la dignità della persona umana e costituisce il fondamento dei suoi diritti
e dei suoi doveri fondamentali.
1979 La legge naturale è immutabile e permane inalterata attraverso la
storia. Le norme che ne sono l'espressione restano sostanzialmente valide.
E' un fondamento necessario all'ordinamento delle regole morali e alla legge
civile.
1980 La Legge antica è il primo stadio della Legge rivelata. Le sue
prescrizioni morali sono riassunte nei Dieci comandamenti.
1981 La Legge di Mosè comprende molte verità naturalmente accessibili alla
ragione. Dio le ha rivelate perché gli uomini non riuscivano a leggerle nel
loro cuore.
1982 La Legge antica è una preparazione al Vangelo.
1983 La Legge nuova è la grazia dello Spirito Santo ricevuta mediante la
fede in Cristo, che opera attraverso la carità. Trova la sua principale
espressione nel Discorso del Signore sulla montagna e si serve dei
sacramenti per comunicarci la grazia.
1984 La Legge evangelica dà compimento, supera e porta alla perfezione la
Legge antica: le sue promesse attraverso le beatitudini del Regno dei cieli
e i suoi comandamenti attraverso la trasformazione della radice delle
azioni, il cuore.
1985 La Legge nuova è una legge d'amore, una legge di grazia, una legge di
libertà.
1986 Oltre ai precetti, la Legge nuova comprende i consigli evangelici. "La
santità della Chiesa è in modo speciale favorita dai molteplici consigli di
cui il Signore nel Vangelo propone l'osservanza ai suoi discepoli" [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42].
Articolo 2
GRAZIA E GIUSTIFICAZIONE
I. La giustificazione
1987 La grazia dello Spirito Santo ha il potere di giustificarci, cioè di
mondarci dai nostri peccati e di comunicarci la "giustizia di Dio per mezzo
della fede in Gesù Cristo" ( Rm 3,22 ) e mediante il Battesimo: [Cf Rm 6,3-4
]
Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che
Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di
lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per
tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi
consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù ( Rm
6,8-11 ).
1988 Per mezzo della potenza dello Spirito Santo, noi prendiamo parte alla
Passione di Cristo morendo al peccato, e alla sua Risurrezione nascendo a
una vita nuova; siamo le membra del suo Corpo che è la Chiesa, [Cf 1Cor 12 ]
i tralci innestati sulla Vite che è lui stesso: [Cf Gv 15,1-4 ]
Per mezzo dello Spirito, tutti noi siamo detti partecipi di Dio. . .
Entriamo a far parte della natura divina mediante la partecipazione allo
Spirito . . . Ecco perché lo Spirito divinizza coloro nei quali si fa
presente [Sant'Atanasio di Alessandria, Epistulae ad Serapionem, 1, 24: PG
26, 585B].
1989 La prima opera della grazia dello Spirito Santo è la conversione, che
opera la giustificazione, secondo l'annuncio di Gesù all'inizio del Vangelo:
"Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino" ( Mt 4,17 ). Sotto la
mozione della grazia, l'uomo si volge verso Dio e si allontana dal peccato,
accogliendo così il perdono e la giustizia dall'Alto. "La giustificazione. .
. non è una semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e
rinnovamento dell'uomo interiore" [Concilio di Trento: Denz. -Schönm.,
1528].
1990 La giustificazione separa l'uomo dal peccato che si oppone all'amore di
Dio, e purifica dal peccato il suo cuore. La giustificazione fa seguito alla
iniziativa della misericordia di Dio che offre il perdono. Riconcilia l'uomo
con Dio. Libera dalla schiavitù del peccato e guarisce.
1991 La giustificazione è, al tempo stesso, l' accoglienza della giustizia
di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo. Qui la giustizia designa la
rettitudine dell'amore divino. Insieme con la giustificazione, vengono
infuse nei nostri cuori la fede, la speranza e la carità, e ci è accordata
l'obbedienza alla volontà divina.
1992 La giustificazione ci è stata meritata dalla Passione di Cristo, che si
è offerto sulla croce come ostia vivente, santa e gradita a Dio, e il cui
sangue è diventato strumento di propiziazione per i peccati di tutti gli
uomini. La giustificazione è accordata mediante il Battesimo, sacramento
della fede. Essa ci conforma alla giustizia di Dio, il quale ci rende
interiormente giusti con la potenza della sua misericordia. Ha come fine la
gloria di Dio e di Cristo, e il dono della vita eterna: [Cf Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1529]
Ora, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio,
testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della
fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è distinzione:
tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati
gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da
Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione
per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua
giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della
divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per
essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù ( Rm 3,21-26 ).
1993 La giustificazione stabilisce la collaborazione tra la grazia di Dio e
la libertà dell'uomo. Dalla parte dell'uomo essa si esprime nell'assenso
della fede alla Parola di Dio che lo chiama alla conversione, e nella
cooperazione della carità alla mozione dello Spirito Santo, che lo previene
e lo custodisce:
Dio tocca il cuore dell'uomo con l'illuminazione dello Spirito Santo, in
modo che né l'uomo resterà assolutamente inerte subendo quell'ispirazione,
che certo può anche respingere, né senza la grazia divina, con la sua libera
volontà, potrà prepararsi alla giustizia dinanzi a Dio [Cf Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1529].
1994 La giustificazione è l' opera più eccellente dell'amore di Dio,
manifestato in Cristo Gesù e comunicato tramite lo Spirito Santo.
Sant'Agostino ritiene che "la giustificazione dell'empio è un'opera più
grande della creazione del cielo e della terra", perché "il cielo e la terra
passeranno, mentre la salvezza e la giustificazione degli eletti non
passeranno mai" [Sant'Agostino, In Evangelium Johannis tractatus, 72, 3].
Pensa anche che la giustificazione dei peccatori supera la stessa creazione
degli angeli nella giustizia, perché manifesta una più grande misericordia.
1995 Lo Spirito Santo è il maestro interiore. Dando vita all'"uomo
interiore" ( Rm 7,22; Ef 3,16 ), la giustificazione implica la
santificazione di tutto l'essere:
Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a
pro dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della
giustizia per la vostra santificazione. . . Ora, liberati dal peccato e
fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla
santificazione e come destino avete la vita eterna ( Rm 6,19; Rm 6,22 ).
II. La grazia
1996 La nostra giustificazione viene dalla grazia di Dio. La grazia è il
favore, il soccorso gratuito che Dio ci dà perché rispondiamo al suo invito:
diventare figli di Dio, [Cf Gv 1,12-18 ] figli adottivi, [Cf Rm 8,14-17 ]
partecipi della natura divina, [Cf 2Pt 1,3-4 ] della vita eterna [Cf Gv 17,3
].
1997 La grazia è una partecipazione alla vita di Dio; ci introduce
nell'intimità della vita trinitaria. Mediante il Battesimo il cristiano
partecipa alla grazia di Cristo, Capo del suo Corpo. Come "figlio adottivo",
egli può ora chiamare Dio "Padre", in unione con il Figlio unigenito. Riceve
la vita dello Spirito che infonde in lui la carità e forma la Chiesa.
1998 Questa vocazione alla vita eterna è soprannaturale. Dipende interamente
dall'iniziativa gratuita di Dio, poiché egli solo può rivelarsi e donare se
stesso. Supera le capacità dell'intelligenza e le forze della volontà
dell'uomo, come di ogni creatura [Cf 1Cor 2,7-9 ].
1999 La grazia di Cristo è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita,
infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e
santificarla. E' la grazia santificante o deificante, ricevuta nel
Battesimo. Essa è in noi la sorgente dell'opera di santificazione: [Cf Gv
4,14; Gv 7,38-39 ]
Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono
passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci
ha riconciliati con sé mediante Cristo. ( 2Cor 5,17-18 )
2000 La grazia santificante è un dono abituale, una disposizione stabile e
soprannaturale che perfeziona l'anima stessa per renderla capace di vivere
con Dio, di agire per amor suo. Si distingueranno la grazia abituale,
disposizione permanente a vivere e ad agire secondo la chiamata divina, e le
grazie attuali che designano gli interventi divini sia all'inizio della
conversione, sia nel corso dell'opera di santificazione.
2001 La preparazione dell'uomo ad accogliere la grazia è già un'opera della
grazia. Questa è necessaria per suscitare e sostenere la nostra
collaborazione alla giustificazione mediante la fede, e alla santificazione
mediante la carità. Dio porta a compimento in noi quello che ha
incominciato: "Egli infatti incomincia facendo in modo, con il suo
intervento, che noi vogliamo; egli porta a compimento, cooperando con i moti
della nostra volontà già convertita" [Sant'Agostino, De gratia et libero
arbitrio, 17: PL 44, 901].
Operiamo certamente anche noi, ma operiamo cooperando con Dio che opera
prevenendoci con la sua misericordia. Ci previene però per guarirci e anche
ci seguirà perché da santi diventiamo pure vigorosi, ci previene per
chiamarci e ci seguirà per glorificarci, ci previene perché viviamo piamente
e ci seguirà perché viviamo con lui eternamente, essendo certo che senza di
lui non possiamo far nulla [Id., De natura et gratia, 31: PL 44, 264].
2002 La libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell'uomo;
infatti Dio ha creato l'uomo a propria immagine, dandogli, con la libertà,
il potere di conoscerlo e di amarlo. L'anima può entrare solo liberamente
nella comunione dell'amore. Dio tocca immediatamente e muove direttamente il
cuore dell'uomo. Egli ha posto nell'uomo un'aspirazione alla verità e al
bene che soltanto lui può soddisfare. Le promesse della "vita eterna"
rispondono, al di là di ogni speranza, a tale aspirazione:
Il riposo che prendesti al settimo giorno, dopo aver compiuto le tue opere
molto buone. . ., è una predizione che ci fa l'oracolo del tuo Libro: noi
pure, compiute le nostre opere buone assai, certamente per tuo dono, nel
sabato della vita eterna riposeremo in Te [Id., Confessiones, 13, 36, 51].
2003 La grazia è innanzitutto e principalmente il dono dello Spirito che ci
giustifica e ci santifica. Ma la grazia comprende anche i doni che lo
Spirito ci concede per associarci alla sua opera, per renderci capaci di
cooperare alla salvezza degli altri e alla crescita del Corpo di Cristo, la
Chiesa. Sono le grazie sacramentali, doni propri ai diversi sacramenti. Sono
inoltre le grazie speciali chiamate anche " carismi " con il termine greco
usato da san Paolo, che significa favore, dono gratuito, beneficio [Cf Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 12]. Qualunque sia la loro natura a volte
straordinaria, come il dono dei miracoli o delle lingue, i carismi sono
ordinati alla grazia santificante e hanno come fine il bene comune della
Chiesa. Sono al servizio della carità che edifica la Chiesa [Cf 1Cor 12 ].
2004 Tra le grazie speciali, è opportuno ricordare le grazie di stato che
accompagnano l'esercizio delle responsabilità della vita cristiana e dei
ministeri in seno alla Chiesa:
Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi
ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha
un ministero attenda al ministero; chi l'insegnamento all'insegnamento; chi
l'esortazione all'esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi
presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia
con gioia ( Rm 12,6-8 ).
2005 Appartenendo all'ordine soprannaturale, la grazia sfugge alla nostra
esperienza e solo con la fede può essere conosciuta. Pertanto non possiamo
basarci sui nostri sentimenti o sulle nostre opere per dedurne che siamo
giustificati e salvati [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1533-1534].
Tuttavia, secondo la parola del Signore: "Dai loro frutti li potrete
riconoscere" ( Mt 7,20 ), la considerazione dei benefici di Dio nella nostra
vita e nella vita dei santi, ci offre una garanzia che la grazia sta
operando in noi e ci sprona ad una fede sempre più grande e ad un
atteggiamento di povertà fiduciosa.
Si trova una delle più belle dimostrazioni di tale disposizione d'animo
nella risposta di santa Giovanna d'Arco ad una domanda subdola dei suoi
giudici ecclesiastici: "Interrogata se sappia d'essere nella grazia di Dio,
risponde: "Se non vi sono, Dio mi vuole mettere; se vi sono, Dio mi vuole
custodire in essa"" [Santa Giovanna d'Arco, in Actes du procès].
III. Il merito
Nella festosa assemblea dei santi risplende la tua gloria, e il loro trionfo
celebra i doni della tua misericordia [Messale Romano, Prefazio dei santi I,
che cita Sant'Agostino il "dottore della grazia", cf Enarratio in Psalmos,
102, 7].
2006 Il termine "merito" indica, in generale, la retribuzione dovuta da una
comunità o da una società per l'azione di uno dei suoi membri riconosciuta
come buona o cattiva, meritevole di ricompensa o di punizione. Il merito è
relativo alla virtù della giustizia in conformità al principio
dell'eguaglianza che ne è la norma.
2007 Nei confronti di Dio, in senso strettamente giuridico, non c'è merito
da parte dell'uomo. Tra lui e noi la disuguaglianza è smisurata, poiché noi
abbiamo ricevuto tutto da lui, nostro Creatore.
2008 Il merito dell'uomo presso Dio nella vita cristiana deriva dal fatto
che Dio ha liberamente disposto di associare l'uomo all'opera della sua
grazia. L'azione paterna di Dio precede con la sua ispirazione, mentre il
libero agire dell'uomo viene dopo nella sua collaborazione, così che i
meriti delle opere buone devono essere attribuiti innanzitutto alla grazia
di Dio, poi al fedele. Il merito dell'uomo torna, peraltro, anch'esso a Dio,
dal momento che le sue buone azioni hanno la loro origine, in Cristo, dalle
ispirazioni e dagli aiuti dello Spirito Santo.
2009 L'adozione filiale, rendendoci partecipi per grazia della natura
divina, può conferirci, in conseguenza della giustizia gratuita di Dio, un
vero merito. E' questo un diritto derivante dalla grazia, il pieno diritto
dell'amore, che ci fa "coeredi" di Cristo e degni di conseguire l'"eredità
promessa della vita eterna" [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1546]. I
meriti delle nostre opere buone sono doni della bontà divina [Cf ibid.,
1548]. "Prima veniva elargita la grazia, ora viene reso il dovuto. . . sono
proprio doni suoi i tuoi meriti" [Sant'Agostino, Sermones, 298, 4-5: PL 38,
1367].
2010 Poiché nell'ordine della grazia l'iniziativa appartiene a Dio, nessuno
può meritare la grazia prima, quella che sta all'origine della conversione,
del perdono e della giustificazione. Sotto la mozione dello Spirito Santo e
della carità, possiamo in seguito meritare per noi stessi e per gli altri le
grazie utili per la nostra santificazione, per l'aumento della grazia e
della carità, come pure per il conseguimento della vita eterna. Gli stessi
beni temporali, quali la salute e l'amicizia, possono essere meritati
seguendo la sapienza di Dio. Tutte queste grazie e questi beni sono oggetto
della preghiera cristiana. Essa provvede al nostro bisogno della grazia per
le azioni meritorie.
2011 La carità di Cristo è in noi la sorgente di tutti i nostri meriti
davanti a Dio. La grazia, unendoci a Cristo con un amore attivo, assicura il
carattere soprannaturale dei nostri atti e, di conseguenza, il loro merito
davanti a Dio e davanti agli uomini. I santi hanno sempre avuto una viva
consapevolezza che i loro meriti erano pura grazia.
Dopo l'esilio della terra, spero di gioire fruitivamente di Te nella Patria;
ma non voglio accumulare meriti per il Cielo: voglio spendermi per il tuo
solo Amore. . . Alla sera di questa vita comparirò davanti a Te con le mani
vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere.
Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio
perciò rivestirmi della tua Giustizia e ricevere dal tuo Amore l'eterno
possesso di Te stesso. . [Santa Teresa di Gesù Bambino, Atto di offerta
all'Amore misericordioso].
IV. La santità cristiana
2012 "Sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. . .
Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad
essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito
tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati;
quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati
li ha anche glorificati" ( Rm 8,28-30 ).
2013 "Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza
della vita cristiana e alla perfezione della carità" [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 40]. Tutti sono chiamati alla santità: "Siate voi dunque
perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" ( Mt 5,48 ):
Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo
la misura del dono di Cristo, affinché. . . , in tutto obbedienti alla
volontà del Padre, con tutto il loro animo si consacrino alla gloria di Dio
e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà
apportando frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato, nella storia
della Chiesa, dalla vita di tanti santi [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
40].
2014 Il progresso spirituale tende all'unione sempre più intima con Cristo.
Questa unione si chiama "mistica", perché partecipa al mistero di Cristo
mediante i sacramenti - "i santi misteri" - e, in lui, al mistero della
Santissima Trinità. Dio ci chiama tutti a questa intima unione con lui,
anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni
straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono
gratuito fatto a tutti.
2015 Il cammino della perfezione passa attraverso la croce. Non c'è santità
senza rinuncia e senza combattimento spirituale [Cf 2Tm 4 ]. Il progresso
spirituale comporta l'ascesi e la mortificazione, che gradatamente conducono
a vivere nella pace e nella gioia delle beatitudini:
Colui che sale non cessa mai di andare di inizio in inizio; non si è mai
finito di incominciare. Mai colui che sale cessa di desiderare ciò che già
conosce [San Gregorio di Nissa, Homiliae in Canticum, 8: PG 44, 941C].
2016 I figli della Santa Chiesa nostra madre sperano giustamente la grazia
della perseveranza finale e la ricompensa di Dio loro Padre per le buone
opere compiute con la sua grazia, in comunione con Gesù [ Cf Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1576]. Osservando la medesima regola di vita, i
credenti condividono "la beata speranza" di coloro che la misericordia
divina riunisce nella "città santa, la nuova Gerusalemme" che scende "dal
cielo, da Dio, come una sposa adorna per il suo Sposo" ( Ap 21,2 ).
In sintesi
2017 La grazia dello Spirito Santo ci conferisce la giustizia di Dio.
Unendoci mediante la fede e il Battesimo alla Passione e alla Risurrezione
di Cristo, lo Spirito ci rende partecipi della sua vita.
2018 La giustificazione, non diversamente dalla conversione, presenta due
aspetti. Sotto la mozione della grazia, l'uomo si volge verso Dio e si
allontana dal peccato, accogliendo così il perdono e la giustizia dall'Alto.
2019 La giustificazione comporta la remissione dei peccati, la
santificazione e il rinnovamento dell'uomo interiore.
2020 La giustificazione ci è stata meritata dalla Passione di Cristo. Ci è
accordata attraverso il Battesimo. Ci conforma alla giustizia di Dio, il
quale ci rende giusti. Ha come fine la gloria di Dio e di Cristo e il dono
della vita eterna. E' l'opera più eccellente della misericordia di Dio.
2021 La grazia è l'aiuto che Dio ci dà perché rispondiamo alla nostra
vocazione di diventare suoi figli adottivi. Essa ci introduce nell'intimità
della vita trinitaria.
2022 L'iniziativa divina nell'opera della grazia previene, prepara e suscita
la libera risposta dell'uomo. La grazia risponde alle profonde aspirazioni
della libertà umana; la invita a cooperare con essa e la perfeziona.
2023 La grazia santificante è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita,
infusa dallo Spirito Santo nella nostra anima per guarirla dal peccato e
santificarla.
2024 La grazia santificante ci rende "graditi a Dio". I "carismi", grazie
speciali dello Spirito Santo, sono ordinati alla grazia santificante e hanno
come fine il bene comune della Chiesa. Dio agisce anche mediante molteplici
grazie attuali, che si distinguono dalla grazia abituale, permanente in noi.
2025 Non c'è per noi merito davanti a Dio se non come conseguenza del libero
disegno di Dio di associare l'uomo all'opera della sua grazia. Il merito in
primo luogo è da ascrivere alla grazia di Dio, in secondo luogo alla
collaborazione dell'uomo. Il merito dell'uomo spetta anch'esso a Dio.
2026 La grazia dello Spirito Santo, in virtù della nostra filiazione
adottiva, può conferirci un vero merito in conseguenza della giustizia
gratuita di Dio. La carità è in noi la principale sorgente del merito
davanti a Dio.
2027 Nessuno può meritare la grazia prima, che sta all'origine della
conversione. Sotto la mozione dello Spirito Santo, possiamo meritare per noi
stessi e per gli altri tutte le grazie utili per giungere alla vita eterna,
come pure i beni materiali necessari.
2028 "Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza
della vita cristiana e alla perfezione della carità" [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 40]. "La perfezione cristiana non ha che un limite: quello di
non averne alcuno" [San Gregorio di Nissa, De vita Mosis: PG 44, 300D].
2029 "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua". ( Mt 16,24 )
Articolo 3
LA CHIESA, MADRE E MAESTRA
2030 E' nella Chiesa, in comunione con tutti i battezzati, che il cristiano
realizza la propria vocazione. Dalla Chiesa accoglie la Parola di Dio che
contiene gli insegnamenti della "legge di Cristo" ( Gal 6,2 ). Dalla Chiesa
riceve la grazia dei sacramenti che lo sostengono lungo la "via". Dalla
Chiesa apprende l' esempio della santità ; ne riconosce il modello e la
sorgente nella Santissima Vergine Maria; la riconosce nella testimonianza
autentica di coloro che la vivono; la scopre nella tradizione spirituale e
nella lunga storia dei santi che l'hanno preceduto e che la Liturgia celebra
seguendo il Santorale.
2031 La vita morale è un culto spirituale . Noi offriamo i nostri "corpi
come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio" ( Rm 12,1 ), in seno al
Corpo di Cristo, che noi formiamo, e in comunione con l'offerta della sua
Eucaristia. Nella Liturgia e nella celebrazione dei sacramenti, preghiera ed
insegnamento si uniscono alla grazia di Cristo, per illuminare e nutrire
l'agire cristiano. Come l'insieme della vita cristiana, la vita morale trova
la propria fonte e il proprio culmine nel sacrificio eucaristico.
I. Vita morale e Magistero della Chiesa
2032 La Chiesa, "colonna e sostegno della verità" ( 1Tm 3,15 ), "ha ricevuto
dagli Apostoli il solenne comandamento di Cristo di annunziare la verità
della salvezza" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 17]. "E' compito della
Chiesa annunziare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine
sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in
quanto lo esigano i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza
delle anime" [Codice di Diritto Canonico, 747].
2033 Il Magistero dei pastori della Chiesa in materia morale ordinariamente
si esercita nella catechesi e nella predicazione, con l'aiuto delle opere
dei teologi e degli autori spirituali. In tal modo, di generazione in
generazione, sotto la guida e la vigilanza dei pastori, si è trasmesso il
"deposito" della morale cristiana, composto da un insieme caratteristico di
norme, di comandamenti e di virtù che derivano dalla fede in Cristo e che
sono vivificati dalla carità. Tale catechesi ha tradizionalmente preso come
base, accanto al Credo e al Pater, il Decalogo, che enuncia i principi della
vita morale validi per tutti gli uomini.
2034 Il romano pontefice e i vescovi "sono i dottori autentici, cioè
rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la
fede da credere e da applicare nella pratica della vita" [Conc. Ecum. Vat.
II, Lumen gentium, 25]. Il Magistero ordinario e universale del Papa e dei
vescovi in comunione con lui insegna ai fedeli la verità da credere, la
carità da praticare, la beatitudine da sperare.
2035 Il grado più alto nella partecipazione all'autorità di Cristo è
assicurato dal carisma dell' infallibilità. Essa "si estende tanto quanto il
deposito della divina Rivelazione"; [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25]
essa si estende anche a tutti gli elementi di dottrina, ivi compresa la
morale, senza i quali le verità salvifiche della fede non possono essere
custodite, esposte o osservate [Congregazione per la Dottrina della Fede,
Dich. Mysterium Ecclesiae, 3, AAS 65 (1973), 396-408].
2036 L'autorità del Magistero si estende anche ai precetti specifici della
legge naturale, perché la loro osservanza, chiesta dal Creatore, è
necessaria alla salvezza. Richiamando le prescrizioni della legge naturale,
il Magistero della Chiesa esercita una parte essenziale della sua funzione
profetica di annunziare agli uomini ciò che essi sono in verità e di
ricordare loro ciò che devono essere davanti a Dio [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Dignitatis humanae, 14].
2037 La legge di Dio, affidata alla Chiesa, è insegnata ai fedeli come
cammino di vita e di verità. I fedeli hanno, quindi, il diritto [Cf Codice
di Diritto Canonico, 213] di essere istruiti intorno ai precetti divini
salvifici, i quali purificano il giudizio e, mediante la grazia, guariscono
la ragione umana ferita. Hanno il dovere di osservare le costituzioni e i
decreti emanati dalla legittima autorità della Chiesa. Anche se sono
disciplinari, tali deliberazioni richiedono la docilità nella carità.
2038 Nell'opera di insegnamento e di applicazione della morale cristiana, la
Chiesa ha bisogno della dedizione dei pastori, della scienza dei teologi,
del contributo di tutti i cristiani e degli uomini di buona volontà.
Attraverso la fede e la pratica del Vangelo i singoli fanno un'esperienza
della "vita in Cristo", che li illumina e li rende capaci di discernere le
realtà divine e umane secondo lo Spirito di Dio [Cf 1Cor 2,10-15 ]. Così lo
Spirito Santo può servirsi dei più umili per illuminare i sapienti e i più
eminenti in dignità.
2039 I ministeri vanno esercitati in uno spirito di servizio fraterno e di
dedizione alla Chiesa, in nome del Signore [Cf Rm 12,8; Rm 12,11 ]. Al tempo
stesso la coscienza di ognuno, nel suo giudizio morale sui propri atti
personali, deve evitare di rimanere chiusa entro i limiti di una
considerazione individuale. Come meglio può, deve aprirsi alla
considerazione del bene di tutti, quale è espresso nella legge morale,
naturale e rivelata, e conseguentemente nella legge della Chiesa e
nell'insegnamento autorizzato del Magistero sulle questioni morali. Non è
opportuno opporre la coscienza personale e la ragione alla legge morale o al
Magistero della Chiesa.
2040 In tal modo può svilupparsi tra i cristiani un vero spirito filiale nei
confronti della Chiesa. Esso è il normale sviluppo della grazia battesimale,
che ci ha generati nel seno della Chiesa e ci ha resi membri del Corpo di
Cristo. La Chiesa, nella sua sollecitudine materna, ci accorda la
misericordia di Dio, che trionfa su tutti i nostri peccati e agisce
soprattutto nel sacramento della Riconciliazione. Come una madre premurosa,
attraverso la sua Liturgia, giorno dopo giorno, ci elargisce anche il
nutrimento della Parola e dell'Eucaristia del Signore.
II. I precetti della Chiesa
2041 I precetti della Chiesa si collocano in questa linea di una vita morale
che si aggancia alla vita liturgica e di essa si nutre. Il carattere
obbligatorio di tali leggi positive promulgate dalle autorità pastorali, ha
come fine di garantire ai fedeli il minimo necessario nello spirito di
preghiera e nell'impegno morale, nella crescita dell'amore di Dio e del
prossimo:
2042 Il primo precetto ("Partecipa alla Messa la domenica e le altre feste
comandate e rimani libero dalle occupazioni del lavoro") esige dai che
santifichino il giorno in cui si ricorda la Risurrezione del Signore e le
particolari festività liturgiche in onore dei misteri del Signore e le
particolari festività liturgiche in onore dei misteri del Signore, della
beata Vergine Maria e dei Santi, in primo luogo partecipando alla
celebrazione eucaristica in cui si riunisce la Comunità cristiana, e che
riposino da quei lavori e da quelle attività che potrebbero impedire una
tale santificazione di questi giorni [Cf Codice di Diritto Canonico,
1246-1248; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 881, 1. 2. 4].
Il secondo precetto ("Confessa i tuoi peccati almeno una volta all'anno")
assicura la preparazione all'Eucaristia attraverso la recezione del
sacramento della Riconciliazione, che continua l'opera di conversione e di
perdono del Battesimo [Cf Codice di Diritto Canonico, 989; Corpus Canonum
Ecclesiarum Orientalium, 719].
Il terzo precetto ("Ricevi il sacramento dell'Eucaristia almeno a Pasqua")
garantisce un minimo in ordine alla recezione del Corpo e del Sangue del
Signore in collegamento con le feste pasquali, origine e centro della
Liturgia cristiana [Cf Codice di Diritto Canonico, 920; Corpus Canonum
Ecclesiarum Orientalium, 708; 881, 3. [Cf Codice di Diritto Canonico, 1246;
Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 881, 1. 4; 880, 3].
2043 Il quarto precetto ("In giorni stabiliti dalla Chiesa astieniti dal
mangiare carne e osserva il digiuno") assicura i tempi di ascesi e di
penitenza, che ci preparano alle feste liturgiche e a farci acquisire il
dominio sui nostri istinti e la libertà di cuore [ ].
Il quinto precetto ("Sovvieni alle necessità della Chiesa") enuncia che i
fedeli sono tenuti a venire incontro alle necessità materiali della Chiesa,
ciascuno secondo le proprie possibilità [ Cf Codice di Diritto Canonico,
222; Codice dei canoni delle Chiese Orientali, 25. Le Conferenze Episcopali
possono inoltre stabilire altri precetti ecclesiastici per il proprio
territorio; Cf Codice di Diritto Canonico, 455].
III. Vita morale e testimonianza missionaria
2044 La fedeltà dei battezzati è una condizione fondamentale per l'annunzio
del Vangelo e per la missione della Chiesa nel mondo. Il messaggio della
salvezza, per manifestare davanti agli uomini la sua forza di verità e di
irradiamento, deve essere autenticato dalla testimonianza di vita dei
cristiani. "La testimonianza della vita cristiana e le opere buone compiute
con spirito soprannaturale hanno la forza di attirare gli uomini alla fede e
a Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 6].
2045 Poiché sono le membra del Corpo di cui Cristo è il Capo, [Cf Ef 1,22 ]
i cristiani contribuiscono alla edificazione della Chiesa con la saldezza
delle loro convinzioni e dei loro costumi. La Chiesa cresce, si sviluppa e
si espande mediante la santità dei suoi fedeli, [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 39] "finché arriviamo tutti. . . allo stato di uomo perfetto,
nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" ( Ef 4,13 ).
2046 Con la loro vita secondo Cristo, i cristiani affrettano la venuta del
Regno di Dio, del "Regno di verità... di giustizia... e di pace" [Messale
Romano, Prefazio di Cristo Re]. Non per questo trascurano i loro impegni
terreni; fedeli al loro Maestro, ad essi attendono con rettitudine, pazienza
e amore.
In sintesi
2047 La vita morale è un culto spirituale. L'agire cristiano trova il
proprio nutrimento nella Liturgia e nella celebrazione dei sacramenti.
2048 I precetti della Chiesa riguardano la vita morale e cristiana, che è
sempre unita alla Liturgia, della quale si nutre.
2049 Il Magistero dei pastori della Chiesa in materia morale ordinariamente
si esercita nella catechesi e nella predicazione, sulla base del Decalogo,
il quale enuncia i principi della vita morale validi per tutti gli uomini.
2050 Il romano pontefice e i vescovi, quali maestri autentici, predicano al
Popolo di Dio la fede che deve essere creduta e applicata nei costumi. E'
anche di loro competenza pronunciarsi sulle questioni morali che hanno
attinenza con la legge naturale e la ragione.
2051 L'infallibilità del Magistero dei pastori si estende a tutti gli
elementi di dottrina, ivi compresa la morale, senza i quali le verità
salvifiche della fede non possono essere custodite, esposte o osservate.
PARTE TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE SECONDA - I DIECI COMANDAMENTI
I DIECI COMANDAMENTI
Esodo 20,2-17 Deuteronomio 5,6-21 Formula catechistica
Io sono il Signore tuo Dio
che ti ho fatto uscire
dal paese d'Egitto,
dalla condizione di schiavitù.
Io sono il Signore tuo Dio
che ti ho fatto uscire
dal paese di Egitto,
dalla condizione servile.
Io sono il Signore Dio tuo:
Non avrai
altri dei di fronte a me.
Non ti farai
idolo né immagine alcuna
di ciò che è lassù nel cielo,
né di ciò che è quaggiù sulla terra,
né di ciò che è nelle acque,
sotto terra.
Non ti prostrerai
davanti a loro
e non li servirai.
Perché io, il Signore,
sono il tuo Dio,
un Dio geloso,
che punisce la colpa dei padri
nei figli
fino alla terza
e alla quarta generazione,
per coloro che mi odiano,
ma che dimostra il suo favore
fino a mille generazioni, per coloro
che mi amano e osservano
i miei comandamenti.
Non avere
altri dei di fronte a me...
1 Non avrai altro Dio
fuori di me.
Non pronuncerai
invano il nome
del Signore tuo Dio,
perché il Signore non lascerà
impunito chi
pronuncia il suo nome invano.
Non pronunciare invano
il nome del Signore
tuo Dio...
2 Non nominare
il nome di Dio invano
Ricordati del giorno
di sabato per santificarlo.
Sei giorni
faticherai
e farai ogni tuo lavoro;
ma il settimo giorno
è il sabato
in onore del Signore, tuo Dio.
Tu non farai alcun lavoro,
né tu, né tuo figlio, né tua figlia,
né il tuo schiavo, né la tua schiava,
né il tuo bestiame, né il forestiero
che dimora presso di te.
Perché in sei giorni
il Signore ha fatto
il cielo e la terra e il mare
e quanto è in essi,
ma si è riposato il giorno settimo.
Perciò il Signore
ha benedetto il giorno di sabato
e lo ha dichiarato sacro.
Osserva il giorno di sabato
per santificarlo...
3 Ricordati di
santificare le feste.
Onora tuo padre e tua madre
perché si prolunghino
i tuoi giorni nel paese
che ti dà
il Signore, tuo Dio.
Onora tuo padre
e tua madre...
4. Onora il padre
e la madre.
Non uccidere. Non uccidere. 5. Non uccidere.
Non commettere Non commettere 6. Non commettere
adulterio. adulterio. atti impuri.
Non rubare. Non rubare. 7. Non rubare.
Non pronunciare
falsa testimonianza
contro il tuo prossimo.
Non pronunciare
falsa testimonianza
contro il tuo prossimo.
8. Non dire
falsa testimonianza.
Non desiderare
la casa del tuo prossimo.
Non desiderare
la moglie del tuo prossimo,
né il suo schiavo,
né la sua schiava,
né il suo bue, né il suo asino,
né alcuna cosa
che appartenga al tuo prossimo.
Non desiderare
la moglie del tuo prossimo.
9. Non desiderare
la donna d'altri.
Non desiderare alcuna
delle cose
che sono del tuo prossimo.
10. Non desiderare
la roba d'altri.
"Maestro, che devo fare...?"
2052 "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?". Al
giovane che gli rivolge questa domanda, Gesù risponde innanzitutto
richiamando la necessità di riconoscere Dio come "il solo Buono", come il
Bene per eccellenza e come la sorgente di ogni bene. Poi Gesù gli dice: "Se
vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti". Ed elenca al suo
interlocutore i comandamenti che riguardano l'amore del prossimo: "Non
uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso,
onora tuo padre e tua madre". Infine Gesù riassume questi comandamenti in
una formulazione positiva: "Ama il prossimo tuo come te stesso" ( Mt
19,16-19 ).
2053 A questa prima risposta, se ne aggiunge subito una seconda: "Se vuoi
essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, e avrai un
tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi" ( Mt 19,21 ). Essa non annulla la
prima. La sequela di Gesù implica l'osservanza dei comandamenti. La Legge
non è abolita, [Cf Mt 5,17 ] ma l'uomo è invitato a ritrovarla nella Persona
del suo Maestro, che ne è il compimento perfetto. Nei tre Vangeli sinottici,
l'appello di Gesù, rivolto al giovane ricco, a seguirlo nell'obbedienza del
discepolo e nell'osservanza dei comandamenti, è accostato all'esortazione
alla povertà e alla castità [Cf Mt 19,6-12; Mt 19,21; Mt 19,23-29 ]. I
consigli evangelici sono indissociabili dai comandamenti.
2054 Gesù ha ripreso i dieci comandamenti, ma ha manifestato la forza dello
Spirito all'opera nella loro lettera. Egli ha predicato la "giustizia" che
supera "quella degli scribi e dei farisei" ( Mt 5,20 ) come pure quella dei
pagani [Cf Mt 5,46-47 ]. Ha messo in luce tutte le esigenze dei
comandamenti. "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere. ... Ma
io vi dico: chiunque si adira contro il proprio fratello, sarà sottoposto a
giudizio" ( Mt 5,21-22 ).
2055 Quando gli si pone la domanda: "Qual è il più grande comandamento della
Legge?" ( Mt 22,36 ), Gesù risponde: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più
grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai
il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la
Legge e i Profeti" ( Mt 22,37-40 ) [Cf Dt 6,5; Lv 19,18 ]. Il Decalogo deve
essere interpretato alla luce di questo duplice ed unico comandamento della
carità, pienezza della Legge:
Il precetto: non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non
desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole:
Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al
prossimo: pieno compimento della Legge è l'amore ( Rm 13,9-10 ).
Il Decalogo nella Sacra Scrittura
2056 La parola "Decalogo" significa alla lettera "dieci parole" ( Es 34,28;
Dt 4,13; Dt 10,4 ). Queste "dieci parole" Dio le ha rivelate al suo popolo
sulla santa montagna. Le ha scritte con il suo "dito" ( Es 31,18 ) [Cf Dt
5,22 ] a differenza degli altri precetti scritti da Mosè [Cf Dt 31,9; Dt
31,24 ]. Esse sono parole di Dio per eccellenza. Ci sono trasmesse nel libro
dell'Esodo [Cf Es 20,1-17 ] e in quello del Deuteronomio [Cf Dt 5,6-22 ].
Fin dall'Antico Testamento i Libri Sacri fanno riferimento alle "dieci
parole" [Cf per esempio Os 4,2; Ger 7,9; Ez 18,5-9 ]. Ma è nella Nuova
Alleanza in Gesù Cristo che sarà rivelato il loro pieno senso.
2057 Il Decalogo si comprende innanzi tutto nel contesto dell'Esodo che è il
grande evento liberatore di Dio al centro dell'Antica Alleanza. Siano essi
formulati come precetti negativi, divieti, o come comandamenti positivi
(come: "onora tuo padre e tua madre"), le "dieci parole" indicano le
condizioni di una vita liberata dalla schiavitù del peccato. Il Decalogo è
un cammino di vita:
Ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di
osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti
moltiplichi ( Dt 30,16 ).
Questa forza liberatrice del Decalogo appare, per esempio, nel comandamento
sul riposo del sabato, destinato parimenti agli stranieri e gli schiavi:
Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio
ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso ( Dt 5,15 ).
2058 Le "dieci parole" riassumono e proclamano la legge di Dio: "Queste
parole pronunciò il Signore, parlando a tutta la vostra assemblea, sul
monte, dal fuoco, dalla nube e dall'oscurità, con voce poderosa, e non
aggiunse altro. Le scrisse su due tavole di pietra e me le diede" ( Dt 5,22
). Perciò queste due tavole sono chiamate "la Testimonianza" ( Es 25,16 ).
Esse contengono infatti le clausole dell'alleanza conclusa tra Dio e il suo
popolo. Queste "tavole della Testimonianza" ( Es 31,18; Es 32,15; Es 34,29 )
devono essere collocate nell'"arca" ( Es 25,16; Es 40,1-2 ).
2059 Le "dieci parole" sono pronunciate da Dio durante una teofania (Il
Signore vi ha parlato faccia a faccia sul monte dal fuoco": Dt 5,4 ).
Appartengono alla rivelazione che Dio fa di se stesso e della sua gloria. Il
dono dei comandamenti è dono di Dio stesso e della sua santa volontà.
Facendo conoscere le sue volontà, Dio si rivela al suo popolo.
2060 Il dono dei comandamenti e della Legge fa parte dell'Alleanza conclusa
da Dio con i suoi. Secondo il libro dell'Esodo, la rivelazione delle "dieci
parole" viene accordata tra la proposta dell'Alleanza [Cf Es 19 ] e la sua
stipulazione, [Cf Es 24 ] dopo che il popolo si è impegnato a "fare" tutto
ciò che il Signore aveva detto e ad "obbedirvi" ( Es 24,7 ). Il Decalogo non
viene mai trasmesso se non dopo la rievocazione dell'Alleanza (Il Signore
nostro Dio ha stabilito con noi un'alleanza sull'Oreb: Dt 5,2 ).
2061 I comandamenti ricevono il loro pieno significato all'interno
dell'Alleanza. Secondo la Scrittura, l'agire morale dell'uomo prende tutto
il proprio senso nella e per l'Alleanza. La prima delle "dieci parole"
ricorda l'iniziativa d'amore di Dio per il suo popolo:
Poiché l'uomo, per castigo del peccato, era venuto dal paradiso della
libertà alla schiavitù di questo mondo, per questo la prima parola del
Decalogo, cioè la prima voce dei comandamenti di Dio, tratta della libertà
dicendo: Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di
Egitto, dalla condizione di schiavitù ( Es 20,2; Dt 5,6 ) [Origene, Homiliae
in Exodum, 8, 1].
2062 I comandamenti propriamente detti vengono in secondo luogo; essi
esprimono le implicanze della appartenenza a Dio stabilita attraverso
l'Alleanza. L'esistenza morale è risposta all'iniziativa d'amore del
Signore. E' riconoscenza, omaggio a Dio e culto d'azione di grazie. E'
cooperazione al piano che Dio persegue nella storia.
2063 L'Alleanza e il dialogo tra Dio e l'uomo sono ancora attestati dal
fatto che tutte le imposizioni sono enunciate in prima persona ("Io sono il
Signore...") e rivolte a un altro soggetto (tu..."). In tutti i comandamenti
di Dio è un pronome personale singolare che indica il destinatario. Dio fa
conoscere la sua volontà a tutto il popolo e, nello stesso tempo, a ciascuno
in particolare:
Il Signore comandò l'amore verso Dio e insegnò la giustizia verso il
prossimo, affinché l'uomo non fosse né ingiusto, né indegno di Dio. Così,
per mezzo del Decalogo, Dio preparava l'uomo a diventare suo amico e ad
avere un solo cuore con il suo prossimo... Le parole del Decalogo restano
validissime per noi. Lungi dall'essere abolite, esse sono state portate a
pienezza di significato e di sviluppo dalla venuta del Signore nella carne
[Sant' Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 16, 3-4].
Il Decalogo nella Tradizione della Chiesa
2064 Fedele alla Scrittura e in conformità all'esempio di Gesù, la
Tradizione della Chiesa ha riconosciuto al Decalogo un'importanza e un
significato fondamentali.
2065 A partire da sant'Agostino, i "dieci comandamenti" hanno un posto
preponderante nella catechesi dei futuri battezzati e dei fedeli. Nel secolo
quindicesimo si prese l'abitudine di esprimere i precetti del Decalogo in
formule in rima, facili da memorizzare, e positive. Sono in uso ancor oggi.
I catechismi della Chiesa spesso hanno esposto la morale cristiana seguendo
l'ordine dei "dieci comandamenti".
2066 La divisione e la numerazione dei comandamenti hanno subito variazioni
nel corso della storia. Questo catechismo segue la divisione dei
comandamenti fissata da sant'Agostino e divenuta tradizionale nella Chiesa
cattolica. E' pure quella delle confessioni luterane. I Padri greci hanno
fatto una divisione un po' diversa, che si ritrova nelle Chiese ortodosse e
nelle comunità riformate.
2067 I dieci comandamenti enunciano le esigenze dell'amore di Dio e del
prossimo. I primi tre si riferiscono principalmente all'amore di Dio e gli
altri sette all'amore del prossimo.
Come sono due i comandamenti dell'amore, nei quali si compendia tutta la
Legge e i Profeti - lo diceva il Signore... - così gli stessi dieci
comandamenti furono dati in due tavole. Si dice infatti che tre fossero
scritti in una tavola e sette in un'altra [Sant'Agostino, Sermones, 33, 2,
2: PL 38, 208].
2068 Il Concilio di Trento insegna che i dieci comandamenti obbligano i
cristiani e che l'uomo giustificato è ancora tenuto ad osservarli [Cf
Concilio di Trento: Denz.-Schönm., 1569-1570]. E il Concilio Vaticano II lo
ribadisce: "I vescovi, quali successori degli Apostoli, ricevono dal
Signore... la missione di insegnare a tutte le genti e di predicare il
Vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini, per mezzo della fede,
del Battesimo e dell'osservanza dei comandamenti, ottengano la salvezza"
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 24].
L'unità del Decalogo
2069 Il Decalogo costituisce un tutto indissociabile. Ogni "parola" rimanda
a ciascuna delle altre e a tutte; esse si condizionano reciprocamente. Le
due Tavole si illuminano a vicenda; formano una unità organica. Trasgredire
un comandamento è infrangere tutti gli altri [Cf Gc 2,10-11 ]. Non si
possono onorare gli altri uomini senza benedire Dio loro Creatore. Non si
saprebbe adorare Dio senza amare tutti gli uomini sue creature. Il Decalogo
unifica la vita teologale e la vita sociale dell'uomo.
Il Decalogo e la legge naturale
2070 I dieci comandamenti appartengono alla Rivelazione di Dio. Al tempo
stesso ci insegnano la vera umanità dell'uomo. Mettono in luce i doveri
essenziali e, quindi, indirettamente, i diritti fondamentali inerenti alla
natura della persona umana. Il Decalogo contiene una espressione
privilegiata della "legge naturale":
Fin dalle origini, Dio aveva radicato nel cuore degli uomini i precetti
della legge naturale. Poi si limitò a richiamarli alla loro mente. Fu il
Decalogo [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 15, 1].
2071 Quantunque accessibili alla sola ragione, i precetti del Decalogo sono
stati rivelati. Per giungere ad una conoscenza completa e certa delle
esigenze della legge naturale, l'umanità peccatrice aveva bisogno di questa
rivelazione:
Una completa esposizione dei comandamenti del Decalogo si rese necessaria
nella condizione di peccato, perché la luce della ragione si era ottenebrata
e la volontà si era sviata [San Bonaventura, In libros sententiarum, 4, 37,
1, 3].
Noi conosciamo i comandamenti di Dio attraverso la Rivelazione divina che ci
è proposta nella Chiesa, e per mezzo della voce della coscienza morale.
L'obbligazione del Decalogo
2072 Poiché enunciano i doveri fondamentali dell'uomo verso Dio e verso il
prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale,
delle obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre
e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti
sono incisi da Dio nel cuore dell'essere umano.
2073 L'obbedienza ai comandamenti implica anche obblighi la cui materia, in
se stessa, è leggera. Così l'ingiuria a parole è vietata dal quinto
comandamento, ma non potrebbe essere una colpa grave che in rapporto alle
circostanze o all'intenzione di chi la proferisce.
"Senza di me non potete far nulla"
2074 Gesù dice: "Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in
lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" ( Gv 15,5 ).
Il frutto indicato in questa parola è la santità di una vita fecondata
dall'unione con Cristo. Quando noi crediamo in Gesù Cristo, comunichiamo ai
suoi misteri e osserviamo i suoi comandamenti, il Salvatore stesso viene ad
amare in noi il Padre suo ed i suoi fratelli, Padre nostro e nostri
fratelli. La sua Persona diventa, grazie allo Spirito, la regola vivente ed
interiore della nostra condotta. "Questo è il mio comandamento: che vi
amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" ( Gv 15,12 ).
In sintesi
2075 "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?" "Se
vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti" ( Mt 19,16-17 ).
2076 Con il suo agire e con la sua predicazione, Gesù ha attestato la
perennità del Decalogo.
2077 Il dono del Decalogo è accordato nell'ambito dell'Alleanza conclusa da
Dio con il suo popolo. I comandamenti di Dio ricevono il loro vero
significato in e per mezzo di questa Alleanza.
2078 Fedele alla Scrittura e in conformità all'esempio di Gesù, la
Tradizione della Chiesa ha riconosciuto al Decalogo un'importanza ed un
significato fondamentali.
2079 Il Decalogo costituisce un'unità organica in cui ogni "parola" o
"comandamento" rimanda a tutto l'insieme. Trasgredire un comandamento è
infrangere tutta la Legge [Cf Gc 2,10-11 ].
2080 Il Decalogo contiene un'espressione privilegiata della legge naturale.
Lo conosciamo attraverso la Rivelazione divina e con la ragione umana.
2081 I dieci comandamenti enunciano, nel loro contenuto fondamentale,
obbligazioni gravi. Tuttavia, l'obbedienza a questi precetti comporta anche
obblighi la cui materia, in se stessa, è leggera.
2082 Quanto Dio comanda, lo rende possibile con la sua grazia.
PARTE TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE SECONDA - I DIECI COMANDAMENTI
CAPITOLO PRIMO - "AMERAI IL SIGNORE DIO TUO CON TUTTO IL CUORE, CON TUTTA
L'ANIMA, CON TUTTE LE FORZE"
2083 Gesù ha riassunto i doveri dell'uomo verso Dio in questa parola:
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con
tutta la tua mente" ( Mt 22,37 ) [Cf Lc 10,27 : "... con tutta la tua
forza"]. Essa fa immediatamente eco alla solenne esortazione: "Ascolta,
Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo" ( Dt 6,4 ).
Dio ha amato per primo. L'amore del Dio Unico è ricordato nella prima delle
"dieci parole". I comandamenti poi esplicitano la risposta d'amore che
l'uomo è chiamato a dare al suo Dio.
Articolo 1
IL PRIMO COMANDAMENTO
Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto,
dalla condizione di schiavitù; non avrai altri dei di fronte a me. Non ti
farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è
quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto terra. Non ti
prostrerai davanti a loro e non li servirai ( Es 20,2-5 ) [Cf Dt 5,6-9 ].
Sta scritto: "Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto" ( Mt 4,10
).
I. "Adorerai il Signore, Dio tuo, e lo servirai"
2084 Dio si fa conoscere ricordando la sua azione onnipotente, benevola e
liberatrice nella storia di colui al quale si rivolge: "Io ti ho fatto
uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù". La prima parola
contiene il primo comandamento della Legge: "Temerai il Signore Dio tuo, lo
servirai. . . Non seguirete altri dei" ( Dt 6,13-14 ). Il primo appello e la
giusta esigenza di Dio è che l'uomo lo accolga e lo adori.
2085 Il Dio unico e vero rivela innanzi tutto la sua gloria ad Israele [Cf
Es 19,16-25; Es 24,15-18 ]. La rivelazione della vocazione e della verità
dell'uomo è legata alla Rivelazione di Dio. L'uomo ha la vocazione di
manifestare Dio agendo in conformità con il suo essere creato "ad immagine e
somiglianza di Dio":
Non ci saranno mai altri dei, o Trifone, né mai ce ne sono stati fin dalle
origini. . ., all'infuori di colui che ha creato e ordinato l'universo. Noi
non pensiamo che il nostro Dio differisca dal vostro. E' lo stesso che ha
fatto uscire i vostri padri dall'Egitto "con mano potente e braccio teso".
Noi non riponiamo le nostre speranze in qualche altro dio - non ce ne sono
ma nello stesso Dio in cui voi sperate, il Dio di Abramo, di Isacco, di
Giacobbe [San Giustino, Dialogus cum Tryphone Judaeo, 11, 1].
2086 "Nell'esplicita affermazione divina: "Io sono il Signore tuo Dio" è
incluso il comandamento della fede, della speranza e della carità. Se noi
riconosciamo infatti che egli è Dio, e cioè eterno, immutabile, sempre
uguale a se stesso, affermiamo con ciò anche la sua infinita veracità; ne
segue quindi l'obbligo di accogliere le sue parole e di aderire ai suoi
comandi con pieno riconoscimento della sua autorità. Se egli inoltre è Dio,
noi ne riconosciamo l'onnipotenza, la bontà, i benefici; di qui l'illimitata
fiducia e la speranza. E se egli è l'infinita bontà e l'infinito amore, come
non offrirgli tutta la nostra dedizione e donargli tutto il nostro amore?
Ecco perché nella Bibbia Dio inizia e conclude invariabilmente i suoi
comandi con la formula: "Io sono il Signore"" [Catechismo Romano, 3, 2, 4].
La fede
2087 La nostra vita morale trova la sua sorgente nella fede in Dio che ci
rivela il suo amore. San Paolo parla dell'"obbedienza alla fede" ( Rm 1,5 )
[Cf Rm 16,26 ] come dell'obbligo primario. Egli indica nell'"ignoranza di
Dio" il principio e la spiegazione di tutte le deviazioni morali [Cf Rm
1,18-32 ]. Il nostro dovere nei confronti di Dio è di credere in lui e di
rendergli testimonianza.
2088 Il primo comandamento ci richiede di nutrire e custodire la nostra fede
con prudenza e vigilanza e di respingere tutto ciò che le è contrario. Ci
sono diversi modi di peccare contro la fede:
Il dubbio volontario circa la fede trascura o rifiuta di ritenere per vero
ciò che Dio ha rivelato e che la Chiesa ci propone a credere. Il dubbio
involontario indica la esitazione a credere, la difficoltà nel superare le
obiezioni legate alla fede, oppure anche l'ansia causata dalla sua oscurità.
Se viene deliberatamente coltivato, il dubbio può condurre all'accecamento
dello spirito.
2089 L' incredulità è la noncuranza della verità rivelata o il rifiuto
volontario di dare ad essa il proprio assenso. L' eresia è "l'ostinata
negazione, dopo aver ricevuto il Battesimo, di una qualche verità che si
deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato"; l'
apostasia è "il ripudio totale della fede cristiana"; lo scisma è "il
rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i
membri della Chiesa a lui soggetta" [Codice di Diritto Canonico, 751].
La speranza
2090 Quando Dio si rivela e chiama l'uomo, questi non può rispondere
pienamente all'amore divino con le sue proprie forze. Deve sperare che Dio
gli donerà la capacità di contraccambiare il suo amore e di agire
conformemente ai comandamenti della carità. La speranza è l'attesa fiduciosa
della benedizione divina e della beata visione di Dio; è anche il timore di
offendere l'amore di Dio e di provocare il castigo.
2091 Il primo comandamento riguarda pure i peccati contro la speranza, i
quali sono la disperazione e la presunzione:
Per la disperazione, l'uomo cessa di sperare da Dio la propria salvezza
personale, gli aiuti per conseguirla o il perdono dei propri peccati. Si
oppone alla bontà di Dio, alla sua giustizia - il Signore, infatti, è fedele
alle sue promesse - e alla sua misericordia.
2092 Ci sono due tipi di presunzione. O l'uomo presume delle proprie
capacità (sperando di potersi salvare senza l'aiuto dall'Alto), oppure
presume della onnipotenza e della misericordia di Dio (sperando di ottenere
il suo perdono senza conversione e la gloria senza merito).
La carità
2093 La fede nell'amore di Dio abbraccia l'appello e l'obbligo di rispondere
alla carità divina con un amore sincero. Il primo comandamento ci ordina di
amare Dio al di sopra di tutto, e tutte le creature per lui e a causa di lui
[Cf Dt 6,4-5 ].
2094 Si può peccare in diversi modi contro l'amore di Dio: l' indifferenza è
incurante della carità divina o rifiuta di prenderla in considerazione; ne
misconosce l'iniziativa e ne nega la forza. L' ingratitudine tralascia o
rifiuta di riconoscere la carità divina e di ricambiare a Dio amore per
amore. La tiepidezza è una esitazione o una negligenza nel rispondere
all'amore divino; può implicare il rifiuto di abbandonarsi al dinamismo
della carità. L' accidia o pigrizia spirituale giunge a rifiutare la gioia
che viene da Dio e a provare repulsione per il bene divino. L' odio di Dio
nasce dall'orgoglio. Si oppone all'amore di Dio, del quale nega la bontà e
che ardisce maledire come colui che proibisce i peccati e infligge i
castighi.
II. "Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai"
2095 Le virtù teologali della fede, della speranza e della carità informano
e vivificano le virtù morali. Così la carità ci porta a rendere a Dio ciò
che in tutta giustizia gli dobbiamo in quanto creature. La virtù della
religione ci dispone a tale atteggiamento.
L'adorazione
2096 Della virtù della religione, l'adorazione è l'atto principale. Adorare
Dio, è riconoscerlo come Dio, come il Creatore e il Salvatore, il Signore e
il Padrone di tutto ciò che esiste, l'Amore infinito e misericordioso. "Solo
al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai" ( Lc 4,8 ), dice Gesù,
citando il Deuteronomio [Cf Dt 6,13 ].
2097 Adorare Dio è riconoscere, nel rispetto e nella sottomissione assoluta,
il "nulla della creatura", la quale non esiste che per Dio. Adorare Dio è,
come Maria nel Magnificat, lodarlo, esaltarlo e umiliare se stessi,
confessando con gratitudine che egli ha fatto grandi cose e che santo è il
suo nome [Cf Lc 1,46-49 ]. L'adorazione del Dio Unico libera l'uomo dal
ripiegamento su se stesso, dalla schiavitù del peccato e dall'idolatria del
mondo.
La preghiera
2098 Gli atti di fede, di speranza e di carità prescritti dal primo
comandamento si compiono nella preghiera. L'elevazione dello spirito verso
Dio è un'espressione della nostra adorazione di Dio: preghiera di lode e di
rendimento di grazie, d'intercessione e di domanda. La preghiera è una
condizione indispensabile per poter obbedire ai comandamenti di Dio. Bisogna
"pregare sempre, senza stancarsi" ( Lc 18,1 ).
Il sacrificio
2099 E' giusto offrire sacrifici a Dio in segno di adorazione e di
riconoscenza, di implorazione e di comunione: "Ogni azione compiuta per
aderire a Dio rimanendo con lui in comunione, e poter così essere nella
gioia, è un vero sacrificio" [Sant'Agostino, De civitate Dei, 10, 6].
2100 Per essere autentico, il sacrificio esteriore deve essere espressione
del sacrifico spirituale: "Uno spirito contrito è sacrificio..." ( Sal 51,19
). I profeti dell'Antica Alleanza spesso hanno denunciato i sacrifici
compiuti senza partecipazione interiore [Cf Am 5,21-25 ] o disgiunti
dall'amore del prossimo [Cf Is 1,10-20 ]. Gesù richiama le parole del
profeta Osea: "Misericordia voglio, non sacrificio" ( Mt 9,13; Mt 12,7 ) [Cf
Os 6,6 ]. L'unico sacrificio perfetto è quello che Cristo ha offerto sulla
croce in totale oblazione all'amore del Padre e per la nostra salvezza [Cf
Eb 9,13-14 ]. Unendoci al suo sacrificio, possiamo fare della nostra vita un
sacrificio a Dio.
Promesse e voti
2101 In parecchie circostanze il cristiano è chiamato a fare delle promesse
a Dio. Il Battesimo e la Confermazione, il Matrimonio e l'Ordinazione sempre
ne comportano. Per devozione personale il cristiano può anche promettere a
Dio un'azione, una preghiera, un'elemosina, un pellegrinaggio, ecc. La
fedeltà alle promesse fatte a Dio è una espressione del rispetto dovuto alla
divina Maestà e dell'amore verso il Dio fedele.
2102 "Il voto, ossia la promessa deliberata e libera di un bene possibile e
migliore fatta a Dio, deve essere adempiuto per la virtù della religione"
[Codice di Diritto Canonico, 1191, 1]. Il voto è un atto di devozione, con
cui il cristiano offre se stesso a Dio o gli promette un'opera buona.
Mantenendo i suoi voti, egli rende pertanto a Dio ciò che a lui è stato
promesso e consacrato. Gli Atti degli Apostoli ci presentano san Paolo
preoccupato di mantenere i voti da lui fatti [Cf At 18,18; At 21,23-24 ].
2103 La Chiesa riconosce un valore esemplare ai voti di praticare i consigli
evangelici : [Cf Codice di Diritto Canonico, 654]
Si rallegra la Madre Chiesa di trovare nel suo seno molti uomini e donne,
che seguono più da vicino l'annientamento del Salvatore e più chiaramente lo
mostrano, abbracciando la povertà nella libertà dei figli di Dio e
rinunciando alla propria volontà: essi, cioè, in ciò che riguarda la
perfezione, si sottomettono a un uomo per Dio, al di là della stretta misura
del precetto, al fine di conformarsi più pienamente a Cristo obbediente
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42].
In certi casi, la Chiesa può, per congrue ragioni, dispensare dai voti e
dalle promesse [Cf Codice di Diritto Canonico, 692; 1196-1197].
Il dovere sociale della religione e il diritto alla libertà religiosa
2104 "Tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò
che riguarda Dio e la sua Chiesa, e, una volta conosciuta, ad abbracciarla e
custodirla" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 1]. E' un dovere che
deriva dalla "stessa natura" degli uomini [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis
humanae, 1]. Non si contrappone ad un "sincero rispetto" per le diverse
religioni, le quali "non raramente riflettono un raggio di quella verità che
illumina tutti gli uomini", [Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate, 2] né
all'esigenza della carità, che spinge i cristiani "a trattare con amore,
prudenza e pazienza gli uomini che sono nell'errore o nell'ignoranza circa
la fede" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 14].
2105 Il dovere di rendere a Dio un culto autentico riguarda l'uomo
individualmente e socialmente. E' "la dottrina cattolica tradizionale sul
dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica
Chiesa di Cristo" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 1].
Evangelizzando senza posa gli uomini, la Chiesa si adopera affinché essi
possano "informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le
leggi e le strutture della comunità" [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam
actuositatem, 13] in cui vivono. Il dovere sociale dei cristiani è di
rispettare e risvegliare in ogni uomo l'amore del vero e del bene. Richiede
loro di far conoscere il culto dell'"unica vera religione che sussiste nella
Chiesa cattolica ed apostolica" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae,
1]. I cristiani sono chiamati ad essere la luce del mondo [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Apostolicam actuositatem, 13]. La Chiesa in tal modo manifesta la
regalità di Cristo su tutta la creazione e in particolare sulle società
umane [Cf Leone XIII, Lett. enc. Immortale Dei; Pio XI, Lett. enc. Quas
primas].
2106 "Che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua
coscienza, né impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua
coscienza privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata"
[Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2]. Tale diritto si fonda sulla
natura stessa della persona umana, la cui dignità la fa liberamente aderire
alla verità divina che trascende l'ordine temporale. Per questo "perdura
anche in coloro che non soddisfano all'obbligo di cercare la verità e di
aderire ad essa" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2].
2107 "Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli, nell'ordinamento
giuridico di una società viene attribuito ad una comunità religiosa uno
speciale riconoscimento civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti
i cittadini e comunità religiose venga riconosciuto e rispettato il diritto
alla libertà in materia religiosa" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae,
2].
2108 Il diritto alla libertà religiosa non è né la licenza morale di aderire
all'errore, [Cf Leone XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimum] né un
implicito diritto all'errore, [Cf Pio XII, discorso del 6 dicembre 1953]
bensì un diritto naturale della persona umana alla libertà civile, cioè
all'immunità da coercizione esteriore, entro giusti limiti, in materia
religiosa, da parte del potere politico. Questo diritto naturale "deve
essere riconosciuto nell'ordinamento giuridico della società così che
divenga diritto civile" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2].
2109 Il diritto alla libertà religiosa non può essere di per sé né
illimitato, [Cf Pio VI, Breve Quod aliquantulum] né limitato semplicemente
da un "ordine pubblico" concepito secondo un criterio positivista o
naturalista [Cf Pio IX, Lett. enc. Quanta cura]. I "giusti limiti" che sono
inerenti a tale diritto devono essere determinati per ogni situazione
sociale con la prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune, e
ratificati dall'autorità civile secondo "norme giuridiche conformi
all'ordine morale oggettivo" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 7].
III. "Non avrai altri dèi di fronte a me"
2110 Il primo comandamento vieta di onorare altri dèi, all'infuori
dell'Unico Signore che si è rivelato al suo popolo. Proibisce la
superstizione e l'irreligione. La superstizione rappresenta, in qualche
modo, un eccesso perverso della religione; l'irreligione è un vizio opposto,
per difetto, alla virtù della religione.
La superstizione
2111 La superstizione è la deviazione del sentimento religioso e delle
pratiche che esso impone. Può anche presentarsi mascherata sotto il culto
che rendiamo al vero Dio, per esempio, quando si attribuisce un'importanza
in qualche misura magica a certe pratiche, peraltro legittime o necessarie.
Attribuire alla sola materialità delle preghiere o dei segni sacramentali la
loro efficacia, prescindendo dalle disposizioni interiori che richiedono, è
cadere nella superstizione [Cf Mt 23,16-22 ].
L'idolatria
2112 Il primo comandamento condanna il politeismo. Esige dall'uomo di non
credere in altri dèi che Dio, di non venerare altre divinità che l'Unico. La
Scrittura costantemente richiama a questo rifiuto degli idoli che sono
"argento e oro, opera delle mani dell'uomo", i quali "hanno bocca e non
parlano, hanno occhi e non vedono...". Questi idoli vani rendono l'uomo
vano: "Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" ( Sal
115,4-5; Sal 115,8 ) [Cf Is 44,9-20; Ger 10,1-16; 2112 Dn 14,1-30; Bar 6;
Sap 13,1-15; Sap 13,19 ]. Dio, al contrario, è il "Dio vivente" ( Gs 3,10;
Sal 42,3; 2112 ecc.), che fa vivere e interviene nella storia.
2113 L'idolatria non concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane
una costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò che non è
Dio. C'è idolatria quando l'uomo onora e riverisce una creatura al posto di
Dio, si tratti degli dèi o dei demoni (per esempio il satanismo), del
potere, del piacere, della razza, degli antenati, dello Stato, del denaro,
ecc. "Non potete servire a Dio e a mammona", dice Gesù ( Mt 6,24 ). Numerosi
martiri sono morti per non adorare "la Bestia", [Cf Ap 13-14 ] rifiutando
perfino di simularne il culto. L'idolatria respinge l'unica Signoria di Dio;
perciò è incompatibile con la comunione divina [Cf Gal 5,20; Ef 5,5 ].
2114 La vita umana si unifica nell'adorazione dell'Unico. Il comandamento di
adorare il solo Signore semplifica l'uomo e lo salva da una dispersione
senza limiti. L'idolatria è una perversione del senso religioso innato
nell'uomo. L'idolatra è colui che "riferisce la sua indistruttibile nozione
di Dio a chicchessia anziché a Dio" [Origene, Contra Celsum, 2, 40].
Divinazione e magia
2115 Dio può rivelare l'avvenire ai suoi profeti o ad altri santi. Tuttavia
il giusto atteggiamento cristiano consiste nell'abbandonarsi con fiducia
nelle mani della Provvidenza per ciò che concerne il futuro e a rifuggire da
ogni curiosità malsana a questo riguardo. L'imprevidenza può costituire una
mancanza di responsabilità.
2116 Tutte le forme di divinazione sono da respingere: ricorso a Satana o ai
demoni, evocazione dei morti o altre pratiche che a torto si ritiene che
"svelino" l'avvenire [Cf Dt 18,10; Ger 29,8 ]. La consultazione degli
oroscopi, l'astrologia, la chiromanzia, l'interpretazione dei presagi e
delle sorti, i fenomeni di veggenza, il ricorso ai medium occultano una
volontà di dominio sul tempo, sulla storia ed infine sugli uomini ed insieme
un desiderio di rendersi propizie le potenze nascoste. Sono in
contraddizione con l'onore e il rispetto, congiunto a timore amante, che
dobbiamo a Dio solo.
2117 Tutte le pratiche di magia e di stregoneria con le quali si pretende di
sottomettere le potenze occulte per porle al proprio servizio ed ottenere un
potere soprannaturale sul prossimo - fosse anche per procurargli la salute -
sono gravemente contrarie alla virtù della religione. Tali pratiche sono
ancor più da condannare quando si accompagnano ad una intenzione di nuocere
ad altri o quando in esse si ricorre all'intervento dei demoni. Anche
portare gli amuleti è biasimevole. Lo spiritismo spesso implica pratiche
divinatorie o magiche. Pure da esso la Chiesa mette in guardia i fedeli. Il
ricorso a pratiche mediche dette tradizionali non legittima né l'invocazione
di potenze cattive, né lo sfruttamento della credulità altrui.
L'irreligione
2118 Il primo comandamento di Dio condanna i principali peccati di
irreligione: l'azione di tentare Dio, con parole o atti, il sacrilegio e la
simonia.
2119 L'azione di tentare Dio consiste nel mettere alla prova, con parole o
atti, la sua bontà e la sua onnipotenza. E' così che Satana voleva ottenere
da Gesù che si buttasse giù dal Tempio obbligando Dio, in tal modo, ad
intervenire [Cf Lc 4,9 ]. Gesù gli oppone la parola di Dio: "Non tenterai il
Signore Dio tuo" ( Dt 6,16 ). La sfida implicita in simile tentazione di Dio
ferisce il rispetto e la fiducia che dobbiamo al nostro Creatore e Signore.
In essa si cela sempre un dubbio riguardo al suo amore, alla sua provvidenza
e alla sua potenza [Cf 1Cor 10,9; 2119 Es 17,2-7; Sal 95,9 ].
2120 Il sacrilegio consiste nel profanare o nel trattare indegnamente i
sacramenti e le altre azioni liturgiche, come pure le persone, gli oggetti e
i luoghi consacrati a Dio. Il sacrilegio è un peccato grave soprattutto
quando è commesso contro l'Eucaristia, poiché, in questo sacramento, ci è
reso presente sostanzialmente il Corpo stesso di Cristo [Cf Codice di
Diritto Canonico, 1367; 1376].
2121 La simonia [Cf At 8,9-24 ] consiste nell'acquisto o nella vendita delle
realtà spirituali. A Simone il mago, che voleva acquistare il potere
spirituale che vedeva all'opera negli Apostoli, Pietro risponde: "Il tuo
denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con
denaro il dono di Dio" ( At 8,20 ). Così si conformava alla parola di Gesù:
"Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" ( Mt 10,8 ) [Cf Is 55,1
]. E' impossibile appropriarsi i beni spirituali e comportarsi nei loro
confronti come un possessore o un padrone, dal momento che la loro sorgente
è in Dio. Non si può che riceverli gratuitamente da lui.
2122 "Il ministro, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità,
per l'amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che
i più bisognosi siano privati dell'aiuto dei sacramenti a motivo della
povertà" [Codice di Diritto Canonico, 848]. L'autorità competente determina
queste "offerte" in virtù del principio che il popolo cristiano deve
concorrere al sostentamento dei ministri della Chiesa. "L'operaio ha diritto
al suo nutrimento" ( Mt 10,10 ) [Cf Lc 10,7; 1Cor 9,5-18; 1Tm 5,17-18 ].
L'ateismo
2123 "Molti nostri contemporanei non percepiscono affatto o esplicitamente
rigettano l'intimo e vitale legame con Dio, così che l'ateismo va annoverato
fra le cose più gravi del nostro tempo" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 19].
2124 Il termine ateismo indica fenomeni molto diversi. Una forma frequente
di esso è il materialismo pratico, che racchiude i suoi bisogni e le sue
ambizioni entro i confini dello spazio e del tempo. L'umanesimo ateo ritiene
falsamente che l'uomo "sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della
propria storia" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19]. Un'altra forma
dell'ateismo contemporaneo si aspetta la liberazione dell'uomo da una
liberazione economica e sociale, alla quale "si pretende che la religione,
per sua natura, sia di ostacolo.. in quanto, elevando la speranza dell'uomo
verso una vita futura.., la distoglierebbe dall'edificazione della città
terrena" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19].
2125 Per il fatto che respinge o rifiuta l'esistenza di Dio, l'ateismo è un
peccato contro la virtù della religione [Cf Rm 1,18 ]. L'imputabilità di
questa colpa può essere fortemente attenuata dalle intenzioni e dalle
circostanze. Alla genesi e alla diffusione dell'ateismo "possono contribuire
non poco i credenti, in quanto per aver trascurato di educare la propria
fede, o per una presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti
della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che
nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione"
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19].
2126 Spesso l'ateismo si fonda su una falsa concezione dell'autonomia umana,
spinta fino al rifiuto di ogni dipendenza nei confronti di Dio [Cf ibid.,
20]. In realtà, "il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla
dignità dell'uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo
fondamento e la sua perfezione" [Cf ibid., 20]. La Chiesa sa "che il suo
messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano" [Cf
ibid., 20].
L'agnosticismo
2127 L'agnosticismo assume parecchie forme. In certi casi l'agnostico si
rifiuta di negare Dio; ammette invece l'esistenza di un essere trascendente
che non potrebbe rivelarsi e di cui nessuno sarebbe in grado di dire niente.
In altri casi l'agnostico non si pronuncia sull'esistenza di Dio,
dichiarando che è impossibile provarla, così come è impossibile ammetterla o
negarla.
2128 L'agnosticismo può talvolta racchiudere una certa ricerca di Dio, ma
può anche costituire un indifferentismo, una fuga davanti al problema ultimo
dell'esistenza e un torpore della coscienza morale. Troppo spesso
l'agnosticimo equivale a un ateismo pratico.
IV. "Non ti farai alcuna immagine scolpita..."
2129 L'ingiunzione divina comportava il divieto di qualsiasi
rappresentazione di Dio fatta dalla mano dell'uomo. Il Deuteronomio spiega:
"Poiché non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull'Oreb dal
fuoco, state bene in guardia per la vostra vita, perché non vi corrompiate e
non vi facciate l'immagine scolpita di qualche idolo. . . " ( Dt 4,15-16 ).
E' il Dio assolutamente Trascendente che si è rivelato a Israele. "Egli è
tutto", ma, al tempo stesso, è "al di sopra di tutte le sue opere" ( Sir
43,27-28 ). Egli è "lo stesso autore della bellezza" ( Sap 13,3 ).
2130 Tuttavia, fin dall'Antico Testamento, Dio ha ordinato o permesso di
fare immagini che simbolicamente conducessero alla salvezza operata dal
Verbo incarnato: così il serpente di rame, [Cf Nm 21,4-9; Sap 16,5-14; Gv
3,14-15 ] l'arca dell'Alleanza e i cherubini [Cf Es 25,10-22; 2130 1Re
6,23-28; 1Re 7,23-26 ].
2131 Fondandosi sul mistero del Verbo incarnato, il settimo Concilio
ecumenico, a Nicea (nel 787), ha giustificato, contro gli iconoclasti, il
culto delle icone: quelle di Cristo, ma anche quelle della Madre di Dio,
degli angeli e di tutti i santi. Incarnandosi, il Figlio di Dio ha
inaugurato una nuova "economia" delle immagini.
2132 Il culto cristiano delle immagini non è contrario al primo comandamento
che proscrive gli idoli. In effetti, "l'onore reso ad un'immagine appartiene
a chi vi è rappresentato", [San Basilio di Cesarea, Liber de Spiritu Sancto,
18, 45: PG 32, 149C] e "chi venera l'immagine, venera la realtà di chi in
essa è riprodotto" [Concilio di Nicea II: Denz. -Schönm., 601; cf Concilio
di Trento: ibid. , 1821-1825; Conc. Ecum. Vat. II: Sacrosanctum concilium
126; Id., Lumen gentium, 67]. L'onore tributato alle sacre immagini è una
"venerazione rispettosa", non un'adorazione che conviene solo a Dio.
Gli atti di culto non sono rivolti alle immagini considerate in se stesse,
ma in quanto servono a raffigurare il Dio incarnato. Ora, il moto che si
volge all'immagine in quanto immagine, non si ferma su di essa, ma tende
alla realtà che essa rappresenta [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
II-II, 81, 3, ad 3].
In sintesi
2133 "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e
con tutte le forze" ( Dt 6,5 ).
2134 Il primo comandamento chiama l'uomo a credere in Dio, a sperare in lui,
ad amarlo al di sopra di tutto.
2135 "Adora il Signore Dio tuo" ( Mt 4,10 ). Adorare Dio, pregarlo,
rendergli il culto che a lui è dovuto, mantenere le promesse e i voti che a
lui si sono fatti, sono atti della virtù della religione, che esprimono
l'obbedienza al primo comandamento.
2136 Il dovere di rendere a Dio un culto autentico riguarda l'uomo
indiindividualmente e socialmente.
2137 L'uomo deve "poter professare liberamente la religione sia in forma
privata che pubblica" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 15].
2138 La superstizione è una deviazione del culto che rendiamo al vero Dio.
Ha la sua massima espressione nell'idolatria, come nelle varie forme di
divinazione e di magia.
2139 L'azione di tentare Dio con parole o atti, il sacrilegio, la simonia
sono peccati di irreligione proibiti dal primo comandamento.
2140 L'ateismo, in quanto respinge o rifiuta l'esistenza di Dio, è un
peccato contro il primo comandamento.
2141 Il culto delle sacre immagini è fondato sul mistero dell'Incarnazione
del Verbo di Dio. Esso non è in opposizione al primo comandamento.
Articolo 2
IL SECONDO COMANDAMENTO
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio ( Es 20,7; Dt 5,11 ). Fu
detto agli antichi: "Non spergiurare"... Ma io vi dico: non giurate affatto
( Mt 5,33-34 ).
I. Il nome del Signore è santo
2142 Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore.
Come il primo comandamento, deriva dalla virtù della religione e regola in
particolare il nostro uso della parola a proposito delle cose sante.
2143 Tra tutte le parole della Rivelazione ve ne è una, singolare, che è la
rivelazione del nome di Dio, che egli svela a coloro che credono in lui;
egli si rivela ad essi nel suo Mistero personale. Il dono del nome
appartiene all'ordine della confidenza e dell'intimità. "Il nome del Signore
è santo". Per questo l'uomo non può abusarne. Lo deve custodire nella
memoria in un silenzio di adorazione piena d'amore [Cf Zc 2,17 ]. Non lo
inserirà tra le sue parole, se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo [Cf
Sal 29,2; Sal 96,2; Sal 113,1-2 ].
2144 Il rispetto per il nome di Dio esprime quello dovuto al suo stesso
Mistero e a tutta la realtà sacra da esso evocata. Il senso del sacro fa
parte della virtù della religione:
Il sentimento di timore e il sentimento del sacro sono sentimenti cristiani
o no? Nessuno può ragionevolmente dubitarne. Sono i sentimenti che
palpiterebbero in noi, e con forte intensità, se avessimo la visione della
Maestà di Dio. Sono i sentimenti che proveremmo se ci rendessimo conto della
sua presenza. Nella misura in cui crediamo che Dio è presente, dobbiamo
avvertirli. Se non li avvertiamo, è perché non percepiamo, non crediamo che
egli è presente [John Henry Newman, Parochial and plain sermons, 5, 2, pp.
21-22].
2145 Il fedele deve testimoniare il nome del Signore, confessando la propria
fede senza cedere alla paura [Cf Mt 10,32; 1Tm 6,12 ]. L'atto della
predicazione e l'atto della catechesi devono essere compenetrati di
adorazione e di rispetto per il nome del Signore nostro Gesù Cristo.
2146 Il secondo comandamento proibisce l'abuso del nome di Dio, cioè ogni
uso sconveniente del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di
tutti i santi.
2147 Le promesse fatte ad altri nel nome di Dio impegnano l'onore, la
fedeltà, la veracità e l'autorità divine. Esse devono essere mantenute, per
giustizia. Essere infedeli a queste promesse equivale ad abusare del nome di
Dio e, in qualche modo, a fare di Dio un bugiardo [Cf 1Gv 1,10 ].
2148 La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste
nel proferire contro Dio - interiormente o esteriormente - parole di odio,
di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto
verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio. San Giacomo
disapprova coloro "che bestemmiano il bel nome (di Gesù) che è stato
invocato" sopra di loro ( Gc 2,7 ). La proibizione della bestemmia si
estende alle parole contro la Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. E'
blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali,
ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. L'abuso del nome
di Dio per commettere un crimine provoca il rigetto della religione.
La bestemmia è contraria al rispetto dovuto a Dio e al suo santo nome. Per
sua natura è un peccato grave [Cf Codice di Diritto Canonico, 1369].
2149 Le imprecazioni, in cui viene inserito il nome di Dio senza intenzione
di bestemmia, sono una mancanza di rispetto verso il Signore. Il secondo
comandamento proibisce anche l' uso magico del nome divino.
Il nome di Dio è grande laddove lo si pronuncia con il rispetto dovuto alla
sua grandezza e alla sua Maestà. Il nome di Dio è santo laddove lo si nomina
con venerazione e con il timore di offenderlo [Sant'Agostino, De sermone
Domini in monte, 2, 45, 19: PL 34, 1278].
II. Il nome di Dio pronunciato invano
2150 Il secondo comandamento proibisce il falso giuramento. Fare promessa
solenne o giurare è prendere Dio come testimone di ciò che si afferma. E'
invocare la veracità divina a garanzia della propria veracità. Il giuramento
impegna il nome del Signore. "Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai e
giurerai per il suo nome" ( Dt 6,13 ).
2151 Astenersi dal falso giuramento è un dovere verso Dio. Come Creatore e
Signore, Dio è la norma di ogni verità. La parola umana è in accordo con Dio
oppure in opposizione a lui che è la stessa Verità. Quando il giuramento è
veridico e legittimo, mette in luce il rapporto della parola umana con la
verità di Dio. Il giuramento falso chiama Dio ad essere testimone di una
menzogna.
2152 E' spergiuro colui che, sotto giuramento, fa una promessa con
l'intenzione di non mantenerla, o che, dopo aver promesso sotto giuramento,
non vi si attiene. Lo spergiuro costituisce una grave mancanza di rispetto
verso il Signore di ogni parola. Impegnarsi con giuramento a compiere
un'opera cattiva è contrario alla santità del nome divino.
2153 Gesù ha esposto il secondo comandamento nel Discorso della montagna:
"Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non spergiurare, ma adempi con il
Signore i tuoi giuramenti!". Ma io vi dico: non giurate affatto. . . sia
invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" ( Mt
5,33-34; 2153 Mt 5,37 ) [Cf Gc 5,12 ]. Gesù insegna che ogni giuramento
implica un riferimento a Dio e che la presenza di Dio e della sua verità
deve essere onorata in ogni parola. La discrezione del ricorso a Dio nel
parlare procede di pari passo con l'attenzione rispettosa per la sua
presenza, testimoniata o schernita, in ogni nostra affermazione.
2154 Seguendo san Paolo, [Cf 2Cor 1,23; Gal 1,20 ] la Tradizione della
Chiesa ha inteso che la parola di Gesù non si oppone al giuramento, allorché
viene fatto per un motivo grave e giusto (per esempio davanti ad un
tribunale). "Il giuramento, ossia l'invocazione del di Dio a testimonianza
della verità, non può essere prestato se non secondo verità, prudenza e
giustizia" [Codice di Diritto Canonico, 1199, 1].
2155 La santità del nome divino esige che non si faccia ricorso ad esso per
cose futili e che non si presti giuramento in quelle circostanze in cui esso
potrebbe essere interpretato come un'approvazione del potere da cui
ingiustamente venisse richiesto. Quando il giuramento è esigito da autorità
civili illegittime, può essere rifiutato. Deve esserlo allorché è richiesto
per fini contrari alla dignità delle persone o alla comunione ecclesiale.
III. Il nome cristiano
2156 Il sacramento del Battesimo è conferito "nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo"( Mt 28,19 ). Nel Battesimo il nome del Signore
santifica l'uomo e il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. Può
essere il nome di un santo, cioè di un discepolo che ha vissuto con
esemplare fedeltà al suo Signore. Il patrocinio del santo offre un modello
di carità ed assicura la sua intercessione. Il "nome di Battesimo" può anche
esprimere un mistero cristiano o una virtù cristiana. "I genitori, i padrini
e il parroco abbiano cura che non venga imposto un nome estraneo al senso
cristiano" [Codice di Diritto Canonico, 855].
2157 Il cristiano incomincia la sua giornata, le sue preghiere, le sue
azioni con il segno della croce, "nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo. Amen". Il battezzato consacra la giornata alla gloria di Dio
e invoca la grazia del Salvatore, la quale gli permette di agire nello
Spirito come figlio del Padre. Il segno della croce ci fortifica nelle
tentazioni e nelle difficoltà.
2158 Dio chiama ciascuno per nome [Cf Is 43,1; 2158 Gv 10,3 ]. Il nome di
ogni uomo è sacro. Il nome è l'icona della persona. Esige il rispetto, come
segno della dignità di colui che lo porta.
2159 Il nome ricevuto è un nome eterno. Nel Regno, il carattere misterioso
ed unico di ogni persona segnata dal nome di Dio risplenderà in piena luce.
"Al vincitore darò. . . una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome
nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve" ( Ap 2,17 ). "Poi
guardai ed ecco l'Agnello ritto sul monte Sion e insieme
centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo
nome e il nome del Padre suo" ( Ap 14,1 ).
In sintesi
2160 "O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!"
( Sal 8,2 ).
2161 Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Il
nome del Signore è santo.
2162 Il secondo comandamento proibisce ogni uso sconveniente del nome di
Dio. La bestemmia consiste nell'usare il nome di Dio, di Gesù Cristo, della
Vergine Maria e dei santi in un modo ingiurioso.
2163 Il falso giuramento chiama Dio come testimone di una menzogna. Lo
spergiuro è una mancanza grave contro il Signore, sempre fedele alle sue
promesse.
2164 "Non giurare né per il Creatore, né per la creatura, se non con verità,
per necessità e con riverenza" [Sant'Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali,
38].
2165 Nel Battesimo, il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. I
genitori, i padrini e il parroco avranno cura che gli venga dato un nome
cristiano. Essere sotto il patrocinio di un santo significa avere in lui un
modello di carità e un sicuro intercessore.
2166 Il cristiano incomincia le sue preghiere e le sue azioni con il segno
della croce "nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen".
2167 Dio chiama ciascuno per nome [Cf Is 43,1 ].
Articolo 3
IL TERZO COMANDAMENTO
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e
farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del
Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro ( Es 20,8-10 ) [Cf Dt 5,12-15 ].
Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il
Figlio dell'uomo è signore anche del sabato ( Mc 2,27-28 ).
I. Il giorno di sabato
2168 Il terzo comandamento del Decalogo ricorda la santità del sabato: "Il
settimo giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore" ( Es 31,15 ).
2169 La Scrittura a questo proposito fa memoria della creazione: "Perché in
sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in
essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il
giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro"( Es 20,11 ).
2170 La Scrittura rivela nel giorno del Signore anche un memoriale della
liberazione di Israele dalla schiavitù d'Egitto: "Ricordati che sei stato
schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là
con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di
osservare il giorno di sabato" ( Dt 5,15 ).
2171 Dio ha affidato a Israele il sabato perché lo rispetti in segno
dell'alleanza perenne [Cf Es 31,16 ]. Il sabato è per il Signore, santamente
riservato alla lode di Dio, della sua opera creatrice e delle sue azioni
salvifiche in favore di Israele.
2172 L'agire di Dio è modello dell'agire umano. Se Dio nel settimo giorno
"si è riposato" ( Es 31,17 ), anche l'uomo deve "far riposo" e lasciare che
gli altri, soprattutto i poveri, "possano goder quiete" ( Es 23,12 ). Il
sabato sospende le attività quotidiane e concede una tregua. E' un giorno di
protesta contro le schiavitù del lavoro e il culto del denaro [Cf Ne
13,15-22; 2Cr 36,21 ].
2173 Il Vangelo riferisce numerose occasioni nelle quali Gesù viene accusato
di violare la legge del sabato. Ma Gesù non viola mai la santità di tale
giorno [ Cf Mc 1,21; Gv 9,16 ]. Egli con autorità ne dà l'interpretazione
autentica: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato"(
Mc 2,27 ) Nella sua bontà, Cristo ritiene lecito "in giorno di sabato fare
il bene" anziché "il male, salvare una vita" anziché "toglierla" ( Mc 3,4 ).
Il sabato è il giorno del Signore delle misericordie e dell'onore di Dio [Cf
Mt 12,5; Gv 7,23 ]. "Il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato" ( Mc
2,28 ).
II. Il giorno del Signore
Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso (
Sal 118,24 ).
Il giorno della Risurrezione: la nuova creazione
2174 Gesù è risorto dai morti "il primo giorno della settimana" ( Mt 28,1;
Mc 16,2; Lc 24,1; 2174 Gv 20,1 ). In quanto "primo giorno", il giorno della
Risurrezione di Cristo richiama la prima creazione. In quanto "ottavo
giorno", che segue il sabato, [Cf Mc 16,1; Mt 28,1 ] esso significa la nuova
creazione inaugurata con la Risurrezione di Cristo. E' diventato, per i
cristiani, il primo di tutti i giorni, la prima di tutte le feste, il giorno
del Signore (e Kyriaké eméra", "dies dominica"), la "domenica":
Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del sole, poiché questo è il primo
giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo;
sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai
morti [San Giustino, Apologiae, 1, 67].
La domenica - compimento del sabato
2175 La domenica si distingue nettamente dal sabato al quale, ogni
settimana, cronologicamente succede, e del quale, per i cristiani,
sostituisce la prescrizione rituale. Porta a compimento, nella Pasqua di
Cristo, la verità spirituale del sabato ebraico ed annuncia il riposo eterno
dell'uomo in Dio. Infatti, il culto della legge preparava il Mistero di
Cristo, e ciò che vi si compiva prefigurava qualche aspetto relativo a
Cristo: [Cf 1Cor 10,11 ]
Coloro che vivevano nell'antico ordine di cose si sono rivolti alla nuova
speranza, non più guardando al sabato, ma vivendo secondo la domenica,
giorno in cui è sorta la nostra vita, per la grazia del Signore e per la sua
morte [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Magnesios, 9, 1].
2176 La celebrazione della domenica attua la prescrizione morale
naturalmente iscritta nel cuore dell'uomo "di rendere a Dio un culto
esteriore, visibile, pubblico e regolare nel ricordo della sua benevolenza
universale verso gli uomini" [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II,
122, 4]. Il culto domenicale è il compimento del precetto morale dell'Antica
Alleanza, di cui riprende il ritmo e lo spirito celebrando ogni settimana il
Creatore e il Redentore del suo popolo.
L'Eucaristia domenicale
2177 La celebrazione domenicale del Giorno e dell'Eucaristia del Signore sta
al centro della vita della Chiesa. "Il giorno di domenica in cui si celebra
il Mistero pasquale, per la tradizione apostolica, deve essere osservato in
tutta la Chiesa come il primordiale giorno festivo di precetto" [Codice di
Diritto Canonico, 1246, 1].
"Ugualmente devono essere osservati i giorni del Natale del Signore nostro
Gesù Cristo, dell'Epifania, dell'Ascensione e del santissimo Corpo e Sangue
di Cristo, della Santa Madre di Dio Maria, della sua Immacolata Concezione e
Assunzione, di san Giuseppe, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e infine di
tutti i Santi" [Codice di Diritto Canonico, 1246, 1].
2178 Questa pratica dell'assemblea cristiana risale agli inizi dell'età
apostolica [Cf At 2,42-46; 2178 1Cor 11,17 ]. La Lettera agli Ebrei ricorda:
non disertate le vostre "riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare",
ma invece esortatevi a vicenda ( Eb 10,25 ).
La Tradizione conserva il ricordo di una esortazione sempre attuale:
"Affrettarsi verso la chiesa, avvicinarsi al Signore e confessare i propri
peccati, pentirsi durante la preghiera. . . Assistere alla santa e divina
Liturgia, terminare la propria preghiera e non uscirne prima del congedo. .
. L'abbiamo spesso ripetuto: questo giorno vi è concesso per la preghiera e
il riposo. E' il giorno fatto dal Signore. In esso rallegriamoci ed
esultiamo" [Autore anonimo, Sermo de die dominica: PG 86/1, 416C. 421C].
2179 "La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene
costituita stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare e la cui cura
pastorale è affidata, sotto l'autorità del vescovo diocesano, ad un parroco
quale suo proprio pastore" [Codice di Diritto Canonico, 515, 1]. E' il luogo
in cui tutti i fedeli possono essere convocati per la celebrazione
domenicale dell'Eucaristia. La parrocchia inizia il popolo cristiano
all'espressione ordinaria della vita liturgica, lo raduna in questa
celebrazione; insegna la dottrina salvifica di Cristo; pratica la carità del
Signore in opere buone e fraterne:
Tu non puoi pregare in casa come in chiesa, dove c'è il popolo di Dio
raccolto, dove il grido è elevato a Dio con un cuore solo. Là c'è qualcosa
di più, l'unisono degli spiriti, l'accordo delle anime, il legame della
carità, le preghiere dei sacerdoti [San Giovanni Crisostomo, De
incomprehensibili Dei natura seu contra Anomaeos, 3, 6: PG 48, 725D].
L'obbligo della domenica
2180 Il precetto della Chiesa definisce e precisa la legge del Signore: "La
domenica e le altre feste di precetto i fedeli sono tenuti all'obbligo di
partecipare alla Messa" [Codice di Diritto Canonico, 1247]. "Soddisfa il
precetto di partecipare alla Messa chi vi assiste dovunque venga celebrata
nel rito cattolico, o nello stesso giorno di festa, o nel vespro del giorno
precedente" [Codice di Diritto Canonico, 1247].
2181 L'Eucaristia domenicale fonda e conferma tutto l'agire cristiano. Per
questo i fedeli sono tenuti a partecipare all'Eucaristia nei giorni di
precetto, a meno che siano giustificati da un serio motivo (per esempio, la
malattia, la cura dei lattanti o ne siano dispensati dal loro parroco) [Cf
ibid., 1245]. Coloro che deliberatamente non ottemperano a questo obbligo
commettono un peccato grave.
2182 La partecipazione alla celebrazione comunitaria dell'Eucaristia
domenicale è una testimonianza di appartenenza e di fedeltà a Cristo e alla
sua Chiesa. In questo modo i fedeli attestano la loro comunione nella fede e
nella carità. Essi testimoniano al tempo stesso la santità di Dio e la loro
speranza nella salvezza. Si rafforzano vicendevolmente sotto l'assistenza
dello Spirito Santo.
2183 "Se per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa
impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica, si raccomanda
vivamente che i fedeli prendano parte alla Liturgia della Parola, se ve n'è
qualcuna nella chiesa parrocchiale o in un altro luogo sacro, celebrata
secondo le disposizioni del vescovo diocesano, oppure attendano per un
congruo tempo alla preghiera personalmente o in famiglia, o, secondo
l'opportunità, in gruppi di famiglie" [Codice di Diritto Canonico, 1248, 2].
Giorno di grazia e di cessazione dal lavoro
2184 Come Dio "cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro" ( Gen 2,2 ),
così anche la vita dell'uomo è ritmata dal lavoro e dal riposo.
L'istituzione del giorno del Signore contribuisce a dare a tutti la
possibilità di "godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta
loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa" [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 67].
2185 Durante la domenica e gli altri giorni festivi di precetto, i fedeli si
asterranno dal dedicarsi a lavori o attività che impediscano il culto dovuto
a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di
misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo [Cf Codice
di Diritto Canonico, 1247]. Le necessità familiari o una grande utilità
sociale costituiscono giustificazioni legittime di fronte al precetto del
riposo domenicale. I fedeli vigileranno affinché legittime giustificazioni
non creino abitudini pregiudizievoli per la religione, la vita di famiglia e
la salute.
L'amore della verità cerca il sacro tempo libero, la necessità dell'amore
accetta il giusto lavoro [Sant'Agostino, De civitate Dei, 19, 19].
2186 E' doveroso per i cristiani che dispongono di tempo libero ricordarsi
dei loro fratelli che hanno i medesimi bisogni e i medesimi diritti e non
possono riposarsi a causa della povertà e della miseria. Dalla pietà
cristiana la domenica è tradizionalmente consacrata alle opere di bene e
agli umili servizi di cui necessitano i malati, gli infermi, gli anziani. I
cristiani santificheranno la domenica anche dando alla loro famiglia e ai
loro parenti il tempo e le attenzioni che difficilmente si possono loro
accordare negli altri giorni della settimana. La domenica è un tempo
propizio per la riflessione, il silenzio, lo studio e la meditazione, che
favoriscono la crescita della vita interiore e cristiana.
2187 Santificare le domeniche e i giorni di festa esige un serio impegno
comune. Ogni cristiano deve evitare di imporre, senza necessità, ad altri
ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore. Quando i
costumi (sport, ristoranti, ecc) e le necessità sociali (servizi pubblici,
ecc) richiedono a certuni un lavoro domenicale, ognuno si senta responsabile
di riservarsi un tempo sufficiente di libertà. I fedeli avranno cura, con
moderazione e carità, di evitare gli eccessi e le violenze cui talvolta
danno luogo i diversivi di massa. Nonostante le rigide esigenze
dell'economia, i pubblici poteri vigileranno per assicurare ai cittadini un
tempo destinato al riposo e al culto divino. I datori di lavoro hanno un
obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti.
2188 Nel rispetto della libertà religiosa e del bene comune di tutti, i
cristiani devono adoperarsi per far riconoscere dalle leggi le domeniche e i
giorni di festa della Chiesa come giorni festivi. Spetta a loro offrire a
tutti un esempio pubblico di preghiera, di rispetto e di gioia e difendere
le loro tradizioni come un prezioso contributo alla vita spirituale della
società umana. Se la legislazione del paese o altri motivi obbligano a
lavorare la domenica, questo giorno sia tuttavia vissuto come il giorno
della nostra liberazione, che ci fa partecipare a questa "adunanza festosa",
a questa "assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli" ( Eb 12,22-23 ).
In sintesi
2189 "Osserva il giorno di sabato per santificarlo" ( Dt 5,12 ). "Il settimo
giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore" ( Es 31,15 ).
2190 Il sabato, che rappresentava il compimento della prima creazione, è
sostituito dalla domenica, che ricorda la nuova creazione, iniziata con la
Risurrezione di Cristo.
2191 La Chiesa celebra il giorno della Risurrezione di Cristo nell'ottavo
giorno, che si chiama giustamente giorno del Signore, o domenica [Cf Conc.
Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 106].
2192 "Il giorno di domenica. . . deve essere osservato in tutta la Chiesa
come il primordiale giorno festivo di precetto" [Codice di Diritto Canonico,
1246, 1]. "La domenica e le altre feste di precetto i fedeli sono tenuti
all'obbligo di partecipare alla Messa" [Codice di Diritto Canonico, 1246,
1].
2193 "La domenica e le altre feste di precetto i fedeli. . . si astengano. .
. da quei lavori e da quegli affari che impediscono di rendere culto a Dio e
turbano la letizia propria del giorno del Signore o il dovuto riposo della
mente e del corpo" [Codice di Diritto Canonico, 1247].
2194 L'istituzione della domenica contribuisce a dare a tutti la possibilità
di "godere di sufficiente riposo e tempo libero che permette loro di curare
la vita familiare, culturale, sociale e religiosa" [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 67].
2195 Ogni cristiano deve evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò
che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore.
PARTE TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE SECONDA - I DIECI COMANDAMENTI
CAPITOLO SECONDO - "AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO"
2196 Rispondendo alla domanda rivoltagli sul primo dei comandamenti, Gesù
disse: "Il primo è: "Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico
Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta
la tua mente e con tutta la tua forza". E il secondo è questo: "Amerai il
prossimo tuo come te stesso". Non c'è altro comandamento più importante di
questo" ( Mc 12,29-31 ).
L'Apostolo san Paolo lo richiama: "Chi ama il suo simile ha adempiuto la
legge. Infatti, il precetto: "non commettere adulterio, non uccidere, non
rubare, non desiderare" e qualsiasi altro comandamento, si riassumono in
queste parole: "Amerai il prossimo tuo come te stesso". L'amore non fa
nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore" ( Rm
13,8-10 ).
Articolo 4
IL QUARTO COMANDAMENTO
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese
che ti dà il Signore, tuo Dio ( Es 20,12 ).
Stava loro sottomesso ( Lc 2,51 ).
Lo stesso Signore Gesù ha ricordato l'importanza di questo "comandamento di
Dio" ( Mc 7,8-13 ). L'Apostolo insegna: "Figli, obbedite ai vostri genitori
nel Signore, perché questo è giusto. "Onora tuo padre e tua madre": è questo
il primo comandamento associato a una promessa: "perché tu sia felice e goda
di una vita lunga sopra la terra"" ( Ef 6,1-3 ) [Cf Dt 5,16 ].
2197 Il quarto comandamento apre la seconda tavola della Legge. Indica
l'ordine della carità. Dio ha voluto che, dopo lui, onoriamo i nostri
genitori ai quali dobbiamo la vita e che ci hanno trasmesso la conoscenza di
Dio. Siamo tenuti ad onorare e rispettare tutti coloro che Dio, per il
nostro bene, ha rivestito della sua autorità.
2198 Questo comandamento è espresso nella forma positiva di un dovere da
compiere. Annunzia i comandamenti successivi, concernenti un rispetto
particolare della vita, del matrimonio, dei beni terreni, della parola.
Costituisce uno dei fondamenti della dottrina sociale della Chiesa.
2199 Il quarto comandamento si rivolge espressamente ai figli in ordine alle
loro relazioni con il padre e con la madre, essendo questa relazione la più
universale. Concerne parimenti i rapporti di parentela con i membri del
gruppo familiare. Chiede di tributare onore, affetto e riconoscenza ai nonni
e agli antenati. Si estende infine ai doveri degli alunni nei confronti
degli insegnanti, dei dipendenti nei confronti dei datori di lavoro, dei
subordinati nei confronti dei loro superiori, dei cittadini verso la loro
patria, verso i pubblici amministratori e i governanti.
Questo comandamento implica e sottintende i doveri dei genitori, tutori,
docenti, capi, magistrati, governanti, di tutti coloro che esercitano
un'autorità su altri o su una comunità di persone.
2200 L'osservanza del quarto comandamento comporta una ricompensa: "Onora
tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti
dà il Signore, tuo Dio" ( Es 20,12 ) [Cf Dt 5,16 ]. Il rispetto di questo
comandamento procura, insieme con i frutti spirituali, frutti temporali di
pace e di prosperità. Al contrario, la trasgressione di questo comandamento
arreca gravi danni alle comunità e alle persone umane.
I. La famiglia nel piano di Dio
Natura della famiglia
2201 La comunità coniugale è fondata sul consenso degli sposi. Il matrimonio
e la famiglia sono ordinati al bene degli sposi e alla procreazione ed
educazione dei figli. L'amore degli sposi e la generazione dei figli
stabiliscono tra i membri di una medesima famiglia relazioni personali e
responsabilità primarie.
2202 Un uomo e una donna uniti in matrimonio formano insieme con i loro
figli una famiglia. Questa istituzione precede qualsiasi riconoscimento da
parte della pubblica autorità; si impone da sé. La si considererà come il
normale riferimento, in funzione del quale devono essere valutate le diverse
forme di parentela.
2203 Creando l'uomo e la donna, Dio ha istituito la famiglia umana e l'ha
dotata della sua costituzione fondamentale. I suoi membri sono persone
uguali in dignità. Per il bene comune dei suoi membri e della società, la
famiglia comporta una diversità di responsabilità, di diritti e di doveri.
La famiglia cristiana
2204 "La famiglia cristiana offre una rivelazione e una realizzazione
specifica della comunione ecclesiale; anche per questo motivo, può e deve
essere chiamata "chiesa domestica" " [Giovanni Paolo II, Esort. ap.
Familiaris consortio, 21; cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11]. Essa è
una comunità di fede, di speranza e di carità; nella Chiesa riveste una
singolare importanza come è evidente nel Nuovo Testamento [Cf Ef 5,21-6,4;
Col 3,18-21; 1Pt 3,1-7 ].
2205 La famiglia cristiana è una comunione di persone, segno e immagine
della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. La sua attività
procreatrice ed educativa è il riflesso dell'opera creatrice del Padre. La
famiglia è chiamata a condividere la preghiera e il sacrificio di Cristo. La
preghiera quotidiana e la lettura della Parola di Dio corroborano in essa la
carità. La famiglia cristiana è evangelizzatrice e missionaria.
2206 Le relazioni in seno alla famiglia comportano un'affinità di
sentimenti, di affetti e di interessi, che nasce soprattutto dal reciproco
rispetto delle persone. La famiglia è una comunità privilegiata chiamata a
realizzare "un'amorevole apertura di animo tra i coniugi e... una continua
collaborazione tra i genitori nell'educazione dei figli" [Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 52].
II. La famiglia e la società
2207 La famiglia è la cellula originaria della vita sociale. E' la società
naturale in cui l'uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell'amore e
nel dono della vita. L'autorità, la stabilità e la vita di relazione in seno
alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della sicurezza,
della fraternità nell'ambito della società. La famiglia è la comunità nella
quale, fin dall'infanzia, si possono apprendere i valori morali, si può
incominciare ad onorare Dio e a far buon uso della libertà. La vita di
famiglia è un'iniziazione alla vita nella società.
2208 La famiglia deve vivere in modo che i suoi membri si aprano
all'attenzione e all'impegno in favore dei giovani e degli anziani, delle
persone malate o handicappate e dei poveri. Numerose sono le famiglie che,
in certi momenti, non hanno la possibilità di dare tale aiuto. Tocca allora
ad altre persone, ad altre famiglie e, sussidiariamente, alla società
provvedere ai bisogni di costoro: "Una religione pura e senza macchia
davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle
loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo" ( Gc 1,27 ).
2209 La famiglia deve essere aiutata e difesa con appropriate misure
sociali. Là dove le famiglie non sono in grado di adempiere alle loro
funzioni, gli altri corpi sociali hanno il dovere di aiutarle e di sostenere
l'istituto familiare. In base al principio di sussidiarietà, le comunità più
grandi si guarderanno dall'usurpare le sue prerogative o di ingerirsi nella
sua vita.
2210 L'importanza della famiglia per la vita e il benessere della società,
[Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 47] comporta per la società stessa
una particolare responsabilità nel sostenere e consolidare il matrimonio e
la famiglia. Il potere civile consideri "come un sacro dovere rispettare,
proteggere e favorire la loro vera natura, la moralità pubblica e la
prosperità domestica" [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 47].
2211 La comunità politica ha il dovere di onorare la famiglia, di
assisterla, e di assicurarle in particolare:
- la libertà di costituirsi, di procreare figli e di educarli secondo le
proprie con vinzioni morali e religiose;
- la tutela della stabilità del vincolo coniugale e dell'istituto familiare;
- la libertà di professare la propria fede, di trasmetterla, di educare in
essa i figli, avvalendosi dei mezzi e delle istituzioni necessarie;
- il diritto alla proprietà privata, la libertà di intraprendere
un'attività, di procurarsi un lavoro e una casa, il diritto di emigrare;
- in conformità alle istituzioni dei paesi, il diritto alle cure mediche,
all'assi stenza per le persone anziane, agli assegni familiari;
- la difesa della sicurezza e della salute, particolarmente in ordine a
pericoli come la droga, la pornografia, l'alcolismo, ecc.;
- la libertà di formare associazioni con altre famiglie e di essere in tal
modo rappresentate presso le autorità civili [Cf Giovanni Paolo II, Esort.
ap. Familiaris consortio, 46].
2212 Il quarto comandamento illumina le altre relazioni nella società. Nei
nostri fratelli e nelle nostre sorelle, vediamo i figli dei nostri genitori;
nei nostri cugini, i discendenti dei nostri avi; nei nostri concittadini, i
figli della nostra patria; nei battezzati, i figli della Chiesa, nostra
madre; in ogni persona umana, un figlio o una figlia di colui che vuole
essere chiamato "Padre nostro". Conseguentemente, le nostre relazioni con il
prossimo sono di carattere personale. Il prossimo non è un "individuo" della
collettività umana; è "qualcuno" che, per le sue origini conosciute, merita
un'attenzione e un rispetto singolari.
2213 Le comunità umane sono composte di persone. Il loro buon governo non si
limita alla garanzia dei diritti e all'osservanza dei doveri, come pure al
rispetto dei contratti. Giuste relazioni tra imprenditori e dipendenti,
governanti e cittadini presuppongono la naturale benevolenza conforme alla
dignità delle persone umane, cui stanno a cuore la giustizia e la
fraternità.
III. Doveri dei membri della famiglia
Doveri dei figli
2214 La paternità divina è la sorgente della paternità umana; [Cf Ef 3,14 ]
è la paternità divina che fonda l'onore dovuto ai genitori. Il rispetto dei
figli, minorenni o adulti, per il proprio padre e la propria madre, [Cf Pr
1,8; Tb 4,3-4 ] si nutre dell'affetto naturale nato dal vincolo che li
unisce. Questo rispetto è richiesto dal comando divino [Cf Es 20,12 ].
2215 Il rispetto per i genitori (pietà filiale) è fatto di riconoscenza
verso coloro che, con il dono della vita, il loro amore e il loro lavoro,
hanno messo al mondo i loro figli e hanno loro permesso di crescere in età,
in sapienza e in grazia. "Onora tuo padre con tutto il cuore e non
dimenticare i dolori di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato; che
darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?" ( Sir 7,27-28 ).
2216 Il rispetto filiale si manifesta anche attraverso la vera docilità e la
vera obbedienza: "Figlio mio, osserva il comando di tuo padre, non
disprezzare l'insegnamento di tua madre. . . Quando cammini ti guideranno;
quando riposi, veglieranno su di te; quando ti desti, ti parleranno" ( Pr
6,20-22 ). "Il figlio saggio ama la disciplina, lo spavaldo non ascolta il
rimprovero" ( Pr 13,1 ).
2217 Per tutto il tempo in cui vive nella casa dei suoi genitori, il figlio
deve obbedire ad ogni loro richiesta motivata dal suo proprio bene o da
quello della famiglia. "Figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito
al Signore" ( Col 3,20 ) [Cf Ef 6,1 ]. I figli devono anche obbedire agli
ordini ragionevoli dei loro educatori e di tutti coloro ai quali i genitori
li hanno affidati. Ma se in coscienza sono persuasi che è moralmente
riprovevole obbedire a un dato ordine, non vi obbediscano.
Crescendo, i figli continueranno a rispettare i loro genitori. Preverranno i
loro desideri, chiederanno spesso i loro consigli, accetteranno i loro
giustificati ammonimenti. Con l'emancipazione cessa l'obbedienza dei figli
verso i genitori, ma non il rispetto che ad essi è sempre dovuto. Questo
trova, in realtà, la sua radice nel timore di Dio, uno dei doni dello
Spirito Santo.
2218 Il quarto comandamento ricorda ai figli divenuti adulti le loro
responsabilità verso i genitori. Nella misura in cui possono, devono dare
loro l'aiuto materiale e morale, negli anni della vecchiaia e in tempo di
malattia, di solitudine o di indigenza. Gesù richiama questo dovere di
riconoscenza [Cf Mc 7,10-12 ].
Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto
della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati, chi riverisce
la madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai
propri figli, sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi riverisce
suo padre vivrà a lungo; chi obbedisce al Signore dà consolazione alla madre
( Sir 3,2-6 ).
Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua
vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo mentre sei
nel pieno del vigore. . . Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore,
chi insulta la madre è maledetto dal Signore ( Sir 3,12-13; Sir 3,16 ).
2219 Il rispetto filiale favorisce l'armonia di tutta la vita familiare;
concerne anche le relazioni tra fratelli e sorelle. Il rispetto verso i
genitori si riflette su tutto l'ambiente familiare. "Corona dei vecchi sono
i figli dei figli" ( Pr 17,6 ). "Con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza"
sopportatevi "a vicenda con amore" ( Ef 4,2 ).
2220 I cristiani devono una speciale gratitudine a coloro dai quali hanno
ricevuto il dono della fede, la grazia del Battesimo e la vita nella Chiesa.
Può trattarsi dei genitori, di altri membri della famiglia, dei nonni, di
pastori, di catechisti, di altri maestri o amici. "Mi ricordo della tua fede
schietta, fede che fu prima nella tua nonna Lòide, poi in tua madre Eunice,
e ora, ne sono certo, anche in te" ( 2Tm 1,5 ).
Doveri dei genitori
2221 La fecondità dell'amore coniugale non si riduce alla sola procreazione
dei figli, ma deve estendersi alla loro educazione morale e alla loro
formazione spirituale. La funzione educativa dei genitori "è tanto
importante che, se manca, può a stento essere supplita" [Conc. Ecum. Vat.
II, Gravissimum educationis, 3]. Il diritto e il dovere dell'educazione
sono, per i genitori, primari e inalienabili [Cf Giovanni Paolo II, Esort.
ap. Familiaris consortio, 36].
2222 I genitori devono considerare i loro figli come figli di Dio e
rispettarli come persone umane. Educano i loro figli ad osservare la legge
di Dio mostrandosi essi stessi obbedienti alla volontà del Padre dei cieli.
2223 I genitori sono i primi responsabili dell'educazione dei loro figli.
Testimoniano tale responsabilità innanzitutto con la creazione di una
famiglia, in cui la tenerezza, il perdono, il rispetto, la fedeltà e il
servizio disinteressato rappresentano la norma. Il focolare domestico è un
luogo particolarmente adatto per educare alle virtù. Questa educazione
richiede che si impari l'abnegazione, un retto modo di giudicare, la
padronanza di sé, condizioni di ogni vera libertà. I genitori insegneranno
ai figli a subordinare "le dimensioni materiali e istintive a quelle
interiori e spirituali" [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus,
36]. I genitori hanno anche la grave responsabilità di dare ai loro figli
buoni esempi. Riconoscendo con franchezza davanti ai figli le proprie
mancanze, saranno meglio in grado di guidarli e di correggerli:
Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta... Chi corregge il proprio
figlio ne trarrà vantaggio ( Sir 30,1-2 ).
E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e
nella disciplina del Signore ( Ef 6,4 ).
2224 Il focolare domestico costituisce l'ambito naturale per l'iniziazione
dell'essere umano alla solidarietà e alle responsabilità comunitarie. I
genitori insegneranno ai figli a guardarsi dai compromessi e dagli
sbandamenti che minacciano le società umane.
2225 Dalla grazia del sacramento del Matrimonio, i genitori hanno ricevuto
la responsabilità e il privilegio di evangelizzare i loro figli. Li
inizieranno, fin dai primi anni di vita, ai misteri della fede dei quali
essi, per i figli, sono "i primi annunziatori" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen
gentium, 11]. Li faranno partecipare alla vita della Chiesa fin dalla più
tenera età. I modi di vivere in famiglia possono sviluppare le disposizioni
affettive che, per l'intera esistenza, costituiscono autentiche condizioni
preliminari e sostegni di una fede viva.
2226 L' educazione alla fede da parte dei genitori deve incominciare fin
dalla più tenera età dei figli. Essa si realizza già allorché i membri della
famiglia si aiutano a crescere nella fede attraverso la testimonianza di una
vita cristiana vissuta in conformità al Vangelo. La catechesi familiare
precede, accompagna e arricchisce le altre forme d'insegnamento della fede.
I genitori hanno la missione di insegnare ai figli a pregare e a scoprire la
loro vocazione di figli di Dio [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11].
La parrocchia è la comunità eucaristica e il cuore della vita liturgica
delle famiglie cristiane; è un luogo privilegiato della catechesi dei figli
e dei genitori.
2227 I figli, a loro volta, contribuiscono alla crescita dei propri genitori
nella santità [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48]. Tutti e
ciascuno, con generosità e senza mai stancarsi, si concederanno
vicendevolmente il perdono che le offese, i litigi, le ingiustizie e le
infedeltà esigono. L'affetto reciproco lo suggerisce. La carità di Cristo lo
richiede [Cf Mt 18,21-22; Lc 17,4 ].
2228 Durante l'infanzia, il rispetto e l'affetto dei genitori si esprimono
innanzitutto nella cura e nell'attenzione prodigate nell'allevare i propri
figli, e nel provvedere ai loro bisogni materiali e spirituali. Durante la
loro crescita, il medesimo rispetto e la medesima dedizione portano i
genitori ad educare i figli al retto uso della ragione e della libertà.
2229 Primi responsabili dell'educazione dei figli, i genitori hanno il
diritto di scegliere per loro una scuola rispondente alle proprie
convinzioni. E', questo, un diritto fondamentale. I genitori, nei limiti del
possibile, hanno il dovere di scegliere le scuole che li possano aiutare nel
migliore dei modi nel loro compito di educatori cristiani [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Gravissimum educationis, 6]. I pubblici poteri hanno il dovere di
garantire tale diritto dei genitori e di assicurare le condizioni concrete
per poterlo esercitare.
2230 Diventando adulti, i figli hanno il dovere e il diritto di scegliere la
propria professione e il proprio stato di vita. Assumeranno queste nuove
responsabilità in un rapporto confidente con i loro genitori, ai quali
chiederanno e dai quali riceveranno volentieri avvertimenti e consigli. I
genitori avranno cura di non costringere i figli né quanto alla scelta della
professione, né quanto a quella del coniuge. Questo dovere di discrezione
non impedisce loro, tutt'altro, di aiutarli con sapienti consigli,
particolarmente quando progettano di fondare una famiglia.
2231 Alcuni non si sposano, al fine di prendersi cura dei propri genitori, o
dei propri fratelli e sorelle, di dedicarsi più esclusivamente ad una
professione o per altri validi motivi. Costoro possono grandemente
contribuire al bene della famiglia umana.
IV. La famiglia e il Regno
2232 I vincoli familiari, sebbene importanti, non sono però assoluti. Quanto
più il figlio cresce verso la propria maturità e autonomia umane e
spirituali, tanto più la sua specifica vocazione, che viene da Dio, si fa
chiara e forte. I genitori rispetteranno tale chiamata e favoriranno la
risposta dei propri figli a seguirla. E' necessario convincersi che la prima
vocazione del cristiano è di seguire Gesù : [Cf Mt 16,25 ] "Chi ama il padre
o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più
di me, non è degno di me" ( Mt 10,37 ).
2233 Diventare discepolo di Gesù significa accettare l'invito ad appartenere
alla famiglia di Dio, a condurre una vita conforme al suo modo di vivere:
"Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me
fratello, sorella e madre" ( Mt 12,49 ).
I genitori accoglieranno e rispetteranno con gioia e rendimento di grazie la
chiamata rivolta dal Signore a uno dei figli a seguirlo nella verginità per
il Regno, nella vita consacrata o nel ministero sacerdotale.
V. Le autorità nella società civile
2234 Il quarto comandamento di Dio ci prescrive anche di onorare tutti
coloro che, per il nostro bene, hanno ricevuto da Dio un'autorità nella
società. Mette in luce tanto i doveri di chi esercita l'autorità quanto
quelli di chi ne beneficia.
Doveri delle autorità civili
2235 Coloro che sono rivestiti d'autorità, la devono esercitare come un
servizio. "Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo" (
Mt 20,26 ). L'esercizio di un'autorità è moralmente delimitato dalla sua
origine divina, dalla sua natura ragionevole e dal suo oggetto specifico.
Nessuno può comandare o istituire ciò che è contrario alla dignità delle
persone e alla legge naturale.
2236 L'esercizio dell'autorità mira a rendere evidente una giusta gerarchia
dei valori al fine di facilitare l'esercizio della libertà e della
responsabilità di tutti. I superiori attuino con saggezza la giustizia
distributiva, tenendo conto dei bisogni e della collaborazione di ciascuno,
e in vista della concordia e della pace. Abbiano cura che le norme e le
disposizioni che danno non inducano in tentazione opponendo l'interesse
personale a quello della comunità [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 25].
2237 I poteri politici sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali della
persona umana. Cercheranno di attuare con umanità la giustizia, nel rispetto
del diritto di ciascuno, soprattutto delle famiglie e dei diseredati.
I diritti politici connessi con la cittadinanza possono e devono essere
concessi secondo le esigenze del bene comune. Non possono essere sospesi dai
pubblici poteri senza un motivo legittimo e proporzionato. L'esercizio dei
diritti politici è finalizzato al bene comune della nazione e della comunità
umana.
Doveri dei cittadini
2238 Coloro che sono sottomessi all'autorità considereranno i loro superiori
come rappresentanti di Dio, che li ha costituiti ministri dei suoi doni: [Cf
Rm 13,1-2 ] "State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del
Signore. . . Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà
come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio" ( 1Pt
2,13; 1Pt 2,16 ). La leale collaborazione dei cittadini comporta il diritto,
talvolta il dovere, di fare le giuste rimostranze su ciò che a loro sembra
nuocere alla dignità delle persone e al bene della comunità.
2239 E' dovere dei cittadini dare il proprio apporto ai poteri civili per il
bene della società in spirito di verità, di giustizia, di solidarietà e di
libertà. L'amore e il servizio della patria derivano dal dovere di
riconoscenza e dall'ordine della carità. La sottomissione alle autorità
legittime e il servizio del bene comune esigono dai cittadini che essi
compiano la loro funzione nella vita della comunità politica.
2240 La sottomissione all'autorità e la corresponsabilità nel bene comune
comportano l'esigenza morale del versamento delle imposte, dell'esercizio
del diritto di voto, della difesa del paese:
Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo il tributo; a chi
le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto, il rispetto
( Rm 13,7 ).
I cristiani... abitano nella propria patria, ma come pellegrini; partecipano
alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono staccati come
stranieri... Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le
leggi... Così eccelso è il posto loro assegnato da Dio, e non è lecito
disertarlo! [Lettera a Diogneto, 5, 5. 10; 6, 10]
L'Apostolo ci esorta ad elevare preghiere ed azioni di grazie "per i re e
per tutti tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una
vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità" ( 1Tm 2,2 ).
2241 Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del
possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse
necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di
origine. I pubblici poteri avranno cura che venga rispettato il diritto
naturale, che pone l'ospite sotto la protezione di coloro che lo accolgono.
Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili,
possono subordinare l'esercizio del diritto di immigrazione a diverse
condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti
nei confronti del paese che li accoglie. L'immigrato è tenuto a rispettare
con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo
ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri.
2242 Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni
delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze
dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli
insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili,
quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova
la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il
servizio della comunità politica. "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e
a Dio quello che è di Dio" ( Mt 22,21 ). "Bisogna obbedire a Dio piuttosto
che agli uomini" ( At 5,29 ).
Dove i cittadini sono oppressi da una autorità pubblica che va al di là
delle sue competenze, essi non ricusino quelle cose che sono oggettivamente
richieste dal bene comune; sia però loro lecito difendere i diritti propri e
dei propri concittadini contro gli abusi di questa autorità, nel rispetto
dei limiti dettati dalla legge naturale ed evangelica [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 74].
2243 La resistenza all'oppressione del potere politico non ricorrerà
legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti
condizioni: 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti
fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che
si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di
successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni
migliori.
La comunità politica e la Chiesa
2244 Ogni istituzione si ispira, anche implicitamente, ad una visione
dell'uomo e del suo destino, da cui deriva i propri criteri di giudizio, la
propria gerarchia dei valori, la propria linea di condotta. Nella maggior
parte delle società le istituzioni fanno riferimento ad una certa preminenza
dell'uomo sulle cose. Solo la Religione divinamente rivelata ha chiaramente
riconosciuto in Dio, Creatore e Redentore, l'origine e il destino dell'uomo.
La Chiesa invita i poteri politici a riferire i loro giudizi e le loro
decisioni a tale ispirazione della Verità su Dio e sull'uomo:
Le società che ignorano questa ispirazione o la rifiutano in nome della loro
indipendenza in rapporto a Dio, sono spinte a cercare in se stesse oppure a
mutuare da una ideologia i loro riferimenti e il loro fine e, non tollerando
che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male, si arrogano
sull'uomo e sul suo destino un potere assoluto, dichiarato o non apertamente
ammesso, come dimostra la storia [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 45; 46].
2245 La Chiesa, che a motivo della sua missione e della sua competenza, non
si confonde in alcun modo con la comunità politica, è ad un tempo il segno e
la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana. "La Chiesa.
. . rispetta e promuove anche la libertà politica e la responsabilità dei
cittadini" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 76].
2246 E' proprio della missione della Chiesa "dare il suo giudizio morale
anche su cose che riguardano l'ordine politico, quando ciò sia richiesto dai
diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E questo
farà, utilizzando tutti e solo quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al
bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni" [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 76].
In sintesi
2247 "Onora tuo padre e tua madre" ( Dt 5,16; 2247 Mc 7,10 ).
2248 Secondo il quarto comandamento, Dio ha voluto che, dopo lui, onoriamo i
nostri genitori e coloro che egli, per il nostro bene, ha rivestito
d'autorità.
2249 La comunità coniugale è stabilita sull'alleanza e sul consenso degli
sposi. Il matrimonio e la famiglia sono ordinati al bene dei coniugi, alla
procreazione e all'educazione dei figli.
2250 "La salvezza della persona e della società umana e cristiana è
strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e
familiare" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 47].
2251 I figli devono ai loro genitori rispetto, riconoscenza, giusta
obbedienza e aiuto. Il rispetto filiale favorisce l'armonia di tutta la vita
familiare.
2252 I genitori sono i primi responsabili dell'educazione dei propri figli
alla fede, alla preghiera e a tutte le virtù. Hanno il dovere di provvedere,
nella misura del possibile, ai bisogni materiali e spirituali dei propri
figli.
2253 I genitori devono rispettare e favorire l'educazione dei propri figli.
Ricorderanno a se stessi ed insegneranno ai figli che la prima vocazione del
cristiano è seguire Gesù.
2254 La pubblica autorità è tenuta a rispettare i diritti fondamentali della
persona umana e le condizioni per l'esercizio della sua libertà.
2255 E' dovere dei cittadini collaborare con i poteri civili
all'edificazione della società in uno spirito di verità, di giustizia, di
solidarietà e di libertà.
2256 Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni
delle autorità civili quando tali precetti si oppongono alle esigenze
dell'ordine morale. "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" ( At
5,29 ).
2257 Ogni società ispira i propri giudizi e la propria condotta ad una
visione dell'uomo e del suo destino. Al di fuori della luce del Vangelo su
Dio e sull'uomo, è facile che le società diventino totalitarie.
Articolo 5
IL QUINTO COMANDAMENTO
Non uccidere ( Es 20,13 ).
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà
sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio
fratello, sarà sottoposto a giudizio ( Mt 5,21-22 ).
2258 "La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l'azione
creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il
Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio
alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il
diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente"
[Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, intr. 5, AAS
80 (1988), 70-102].
I. Il rispetto della vita umana
La testimonianza della Storia Sacra
2259 La Scrittura, nel racconto dell'uccisione di Abele da parte del
fratello Caino, [Cf Gen 4,8-12 ] rivela, fin dagli inizi della storia umana,
la presenza nell'uomo della collera e della cupidigia, conseguenze del
peccato originale. L'uomo è diventato il nemico del suo simile. Dio dichiara
la scelleratezza di questo fratricidio: "Che hai fatto? La voce del sangue
di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo
che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello" ( Gen
4,10-11 ).
2260 L'alleanza di Dio e dell'umanità è intessuta di richiami al dono divino
della vita umana e alla violenza omicida dell'uomo:
Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domando conto. . . Chi sparge
il sangue dell'uomo, dall'uomo il suo sangue sarà sparso, perché ad immagine
di Dio egli ha fatto l'uomo ( Gen 9,5-6 ).
L'Antico Testamento ha sempre ritenuto il sangue come un segno sacro della
vita [Cf Lv 17,14 ]. Questo insegnamento è necessario in ogni tempo.
2261 La Scrittura precisa la proibizione del quinto comandamento: "Non far
morire l'innocente e il giusto" ( Es 23,7 ). L'uccisione volontaria di un
innocente è gravemente contraria alla dignità dell'essere umano, alla
"regola d'oro" e alla santità del Creatore. La legge che vieta questo
omicidio ha una validità universale: obbliga tutti e ciascuno, sempre e
dappertutto.
2262 Nel Discorso della montagna il Signore richiama il precetto: "Non
uccidere" ( Mt 5,21 ); vi aggiunge la proibizione dell'ira, dell'odio, della
vendetta. Ancora di più: Cristo chiede al suo discepolo di porgere l'altra
guancia, [Cf Mt 5,22-39 ] di amare i propri nemici [Cf Mt 5,44 ]. Egli
stesso non si è difeso e ha ingiunto a Pietro di rimettere la spada nel
fodero [Cf Mt 26,52 ].
La legittima difesa
2263 La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce
un'eccezione alla proibizione di uccidere l'innocente, uccisione in cui
consiste l'omicidio volontario. "Dalla difesa personale possono seguire due
effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre
l'altro è l'uccisione dell'attentatore. . . Il primo soltanto è
intenzionale, l'altro è involontario" [San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, II-II, 64, 7].
2264 L'amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità.
E' quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende
la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a
infliggere al suo aggressore un colpo mortale:
Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il
suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è
lecita. . . E non è necessario per la salvezza dell'anima che uno rinunzi
alla legittima difesa per evitare l'uccisione di altri: poiché un uomo è
tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui [San
Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 64, 7].
2265 La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave
dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene
comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A
questo titolo, i legittimi detentori dell'autorità hanno il diritto di usare
anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata
alla loro responsabilità.
2266 Corrisponde ad un'esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello
Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti
dell'uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima
autorità pubblica ha il diritto ed il dovere ha il diritto ed il dovere di
infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi
tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è
volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione.
La pena poi, oltre che a difendere l'ordine pubblico e a tutelare la
sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del
possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.
2267 L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno
accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso
alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per
difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani.
Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e
per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi
mezzi, poichè essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene
comune e sno più cnformi alla dignità della persona umana.
Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per
reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha
commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i
casi di assoluta necessità di soppressione del reo "sono ormai molto rari,
se non addirittura praticamente inesistenti" [Evangelium vitae, n.
56].
L'omicidio volontario
2268 Il quinto comandamento proibisce come gravemente peccaminoso l'
omicidio diretto e volontario. L'omicida e coloro che volontariamente
cooperano all'uccisione commettono un peccato che grida vendetta al cielo
[Cf Gen 4,10 ].
L'infanticidio, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 51] il
fratricidio, il parricidio e l'uccisione del coniuge sono crimini
particolarmente gravi a motivo dei vincoli naturali che infrangono.
Preoccupazioni eugenetiche o di igiene pubblica non possono giustificare
nessuna uccisione, fosse anche comandata dai pubblici poteri.
2269 Il quinto comandamento proibisce qualsiasi azione fatta con
l'intenzione di provocare indirettamente la morte di una persona. La legge
morale vieta tanto di esporre qualcuno ad un rischio mortale senza grave
motivo, quanto di rifiutare l'assistenza ad una persona in pericolo.
Tollerare, da parte della società umana, condizioni di miseria che portano
alla morte senza che ci si sforzi di porvi rimedio, è una scandalosa
ingiustizia e una colpa grave. Quanti nei commerci usano pratiche usuraie e
mercantili che provocano la fame e la morte dei loro fratelli in umanità,
commettono indirettamente un omicidio, che è loro imputabile [Cf Am 8,4-10
].
L'omicidio involontario non è moralmente imputabile. Ma non si è scagionati
da una colpa grave qualora, senza motivi proporzionati, si è agito in modo
tale da causare la morte, anche senza l'intenzione di provocarla.
L'aborto
2270 La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin
dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza,
l'essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i
quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita [Cf
Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, I, 1].
Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi
alla luce, ti avevo consacrato ( Ger 1,5 ) [Cf Gb 10,8-12; Sal 22,10-11 ].
Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra ( Sal 139,15 ).
2271 Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni
aborto provocato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile.
L'aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente
contrario alla legge morale:
Non uccidere il bimbo con l'aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita
[Didaché, 2, 2; cf Lettera di Barnaba, 19, 5; Lettera a Diogneto, 5, 5;
Tertulliano, Apologeticus, 9]. Dio, padrone della vita, ha affidato agli
uomini l'altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere
adempiuta in modo umano. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere
protetta con la massima cura; e l'aborto come l'infanticidio sono
abominevoli delitti [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 51].
2272 La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La
Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la
vita umana. "Chi procura l'aborto, ottenendo l'effetto, incorre nella
scomunica latae sententiae" [Codice di Diritto Canonico, 1398] "per il fatto
stesso d'aver commesso il delitto" [Codice di Diritto Canonico, 1398] e alle
condizioni previste dal Diritto [Cf ibid., 1323-1324]. La Chiesa non intende
in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza
la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente
ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.
2273 Il diritto inalienabile alla vita di ogni individuo umano innocente
rappresenta un elemento costitutivo della società civile e della sua
legislazione:
"I diritti inalienabili della persona dovranno essere riconosciuti e
rispettati da parte della società civile e dell'autorità politica; tali
diritti dell'uomo non dipendono né dai singoli individui, né dai genitori e
neppure rappresentano una concessione della società e dello Stato:
appartengono alla natura umana e sono inerenti alla persona in forza
dell'atto creativo da cui ha preso origine. Tra questi diritti fondamentali
bisogna, a questo proposito, ricordare. . . il diritto alla vita e
all'integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento alla morte"
[Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, III].
"Nel momento in cui una legge positiva priva una categoria di esseri umani
della protezione che la legislazione civile deve loro accordare, lo Stato
viene a negare l'uguaglianza di tutti davanti alla legge. Quando lo Stato
non pone la sua forza al servizio dei diritti di ciascun cittadino, e in
particolare di chi è più debole, vengono minati i fondamenti stessi di uno
Stato di diritto. . . Come conseguenza del rispetto e della protezione che
vanno accordati al nascituro, a partire dal momento del suo concepimento, la
legge dovrà prevedere appropriate sanzioni penali per ogni deliberata
violazione dei suoi diritti" [Congregazione per la Dottrina della Fede,
Istr. Donum vitae, III].
2274 L'embrione, poiché fin dal concepimento deve essere trattato come una
persona, dovrà essere difeso nella sua integrità, curato e guarito, per
quanto è possibile, come ogni altro essere umano.
La diagnosi prenatale è moralmente lecita, se "rispetta la vita e
l'integrità dell'embrione e del feto umano ed è orientata alla sua
salvaguardia o alla sua guarigione individuale. . . Ma essa è gravemente in
contrasto con la legge morale quando contempla l'eventualità, in dipendenza
dai risultati, di provocare un aborto: una diagnosi. . . non deve equivalere
a una sentenza di morte" [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr.
Donum vitae, III].
2275 "Si devono ritenere leciti gli interventi sull'embrione umano a patto
che rispettino la vita e l'integrità dell'embrione, non comportino per lui
rischi sproporzionati, ma siano finalizzati alla sua guarigione, al
miglioramento delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza
individuale" [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae,
III].
"E' immorale produrre embrioni umani destinati a essere sfruttati come
"materiale biologico" disponibile" [Congregazione per la Dottrina della
Fede, Istr. Donum vitae, III].
"Alcuni tentativi d' intervento sul patrimonio cromosomico o genetico non
sono terapeutici, ma mirano alla produzione di esseri umani selezionati
secondo il sesso o altre qualità prestabilite. Queste manipolazioni sono
contrarie alla dignità personale dell'essere umano, alla sua integrità e
alla sua identità" unica, irrepetibile [Congregazione per la Dottrina della
Fede, Istr. Donum vitae, III].
L'eutanasia
2276 Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto
particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute
perché possano condurre un'esistenza per quanto possibile normale.
2277 Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel
mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla
morte. Essa è moralmente inaccettabile.
Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la
morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione
gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio
vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio nel quale si può essere incorsi
in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da
condannare e da escludere.
2278 L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie
o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal
caso si ha la rinuncia all'"accanimento terapeutico". Non si vuole così
procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono
essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o,
altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre
la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.
2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono
dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte.
L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il
rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla
dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è
soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative
costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo
titolo devono essere incoraggiate.
Il suicidio
2280 Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliel'ha
donata. E' lui che ne rimane il sovrano Padrone. Noi siamo tenuti a
riceverla con riconoscenza e a preservarla per il suo onore e per la
salvezza delle nostre anime. Siamo gli amministratori, non i proprietari
della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo.
2281 Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell'essere umano a
conservare e a perpetuare la propria vita. Esso è gravemente contrario al
giusto amore di sé. Al tempo stesso è un'offesa all'amore del prossimo,
perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società
familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli
obblighi. Il suicidio è contrario all'amore del Dio vivente.
2282 Se è commesso con l'intenzione che serva da esempio, soprattutto per i
giovani, il suicidio si carica anche della gravità dello scandalo. La
cooperazione volontaria al suicidio è contraria alla legge morale.
Gravi disturbi psichici, l'angoscia o il timore grave della prova, della
sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida.
2283 Non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono
date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro
preparare l'occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per le
persone che hanno attentato alla loro vita.
II. Il rispetto della dignità delle persone
Il rispetto dell'anima altrui: lo scandalo
2284 Lo scandalo è l'atteggiamento o il comportamento che induce altri a
compiere il male. Chi scandalizza si fa tentatore del suo prossimo. Attenta
alla virtù e alla rettitudine; può trascinare il proprio fratello nella
morte spirituale. Lo scandalo costituisce una colpa grave se chi lo provoca
con azione o omissione induce deliberatamente altri in una grave mancanza.
2285 Lo scandalo assume una gravità particolare a motivo dell'autorità di
coloro che lo causano o della debolezza di coloro che lo subiscono. Ha
ispirato a nostro Signore questa maledizione: "Chi scandalizza anche uno
solo di questi piccoli. . ., sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al
collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare"( Mt
18,6 ) [Cf 1Cor 8,10-13 ]. Lo scandalo è grave quando a provocarlo sono
coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare
gli altri. Gesù lo rimprovera agli scribi e ai farisei: li paragona a lupi
rapaci in veste di pecore [Cf Mt 7,15 ].
2286 Lo scandalo può essere provocato dalla legge o dalle istituzioni, dalla
moda o dall'opinione pubblica.
Così, si rendono colpevoli di scandalo coloro che promuovono leggi o
strutture sociali che portano alla degradazione dei costumi e alla
corruzione della vita religiosa, o a "condizioni sociali che,
volontariamente o no, rendono difficile e praticamente impossibile un
comportamento cristiano conforme ai comandamenti" [Pio XII, discorso del 1
giugno 1941]. Analogamente avviene per i capi di imprese i quali danno
regolamenti che inducono alla frode, per i maestri che "esasperano" i loro
allievi o per coloro che, manipolando l'opinione pubblica, la sviano dai
valori morali.
2287 Chi usa i poteri di cui dispone in modo tale da spingere ad agire male,
si rende colpevole di scandalo e responsabile del male che, direttamente o
indirettamente, ha favorito. "E' inevitabile che avvengano scandali, ma guai
a colui per cui avvengono" ( Lc 17,1 ).
Il rispetto della salute
2288 La vita e la salute fisica sono beni preziosi donati da Dio. Dobbiamo
averne ragionevolmente cura, tenendo conto delle necessità altrui e del bene
comune.
La cura della salute dei cittadini richiede l'apporto della società perché
si abbiano le condizioni d'esistenza che permettano di crescere e di
raggiungere la maturità: cibo e indumenti, abitazione, assistenza sanitaria,
insegnamento di base, lavoro, previdenza sociale.
2289 Se la morale richiama al rispetto della vita corporea, non ne fa
tuttavia un valore assoluto. Essa si oppone ad una concezione neo-pagana,
che tende a promuovere il culto del corpo, a sacrificargli tutto, a
idolatrare la perfezione fisica e il successo sportivo. A motivo della
scelta selettiva che tale concezione opera tra i forti e i deboli, essa può
portare alla perversione dei rapporti umani.
2290 La virtù della temperanza dispone ad evitare ogni sorta di eccessi,
l'abuso dei cibi, dell'alcool, del tabacco e dei medicinali. Coloro che, in
stato di ubriachezza o per uno smodato gusto della velocità, mettono in
pericolo l'incolumità altrui e la propria sulle strade, in mare, o in volo,
si rendono gravemente colpevoli.
2291 L' uso della droga causa gravissimi danni alla salute e alla vita
umana. Esclusi i casi di prescrizioni strettamente terapeutiche, costituisce
una colpa grave. La produzione clandestina di droghe e il loro traffico sono
pratiche scandalose; costituiscono una cooperazione diretta, dal momento che
spingono a pratiche gravemente contrarie alla legge morale.
Il rispetto della persona e la ricerca scientifica
2292 Le sperimentazioni scientifiche, mediche o psicologiche, sulle persone
o sui gruppi umani, possono concorrere alla guarigione dei malati e al
progresso della salute pubblica.
2293 La ricerca scentifica di base come la ricerca applicata costituiscono
una espressione significativa della signoria dell'uomo sulla creazione. La
scienza e la tecnica sono preziose risorse quando vengono messe al servizio
dell'uomo e ne promuovono lo sviluppo integrale a beneficio di tutti; non
possono tuttavia, da sole, indicare il senso dell'esistenza e del progresso
umano. La scienza e la tecnica sono ordinate all'uomo, dal quale traggono
origine e sviluppo; esse, quindi, trovano nella persona e nei suoi valori
morali l'indicazione del loro fine e la coscienza dei loro limiti.
2294 E' illusorio rivendicare la neutralità morale della ricerca scientifica
e delle sue applicazioni. D'altra parte, i criteri orientativi non possono
essere dedotti né dalla semplice efficacia tecnica, né dall'utilità che può
derivarne per gli uni a scapito degli altri, né, peggio ancora, dalle
ideologie dominanti. La scienza e la tecnica richiedono, per il loro stesso
significato intrinseco, l'incondizionato rispetto dei criteri fonda mentali
della moralità; devono essere al servizio della persona umana, dei suoi
inalienabili diritti, del suo bene vero e integrale, in conformità al
progetto e alla volontà di Dio.
2295 Le ricerche o sperimentazioni sull'essere umano non possono legittimare
atti in se stessi contrari alla dignità delle persone e alla legge morale.
L'eventuale consenso dei soggetti non giustifica simili atti. La
sperimentazione sull'essere umano non è moralmente legittima se fa correre
rischi sproporzionati o evitabili per la vita o l'integrità fisica e
psichica dei soggetti. La sperimentazione sugli esseri umani non è conforme
alla dignità della persona se, oltre tutto, viene fatta senza il consenso
esplicito del soggetto o dei suoi aventi diritto.
2296 Il trapianto di organi è conforme alla legge morale se i danni e i
rischi fisici e psichici in cui incorre il donatore sono proporzionati al
bene che si cerca per il destinatario. La donazione di organi dopo la morte
è un atto nobile e meritorio ed è da incoraggiare come manifestazione di
generosa solidarietà. Non è moralmente accettabile se il donatore o i suoi
aventi diritto non vi hanno dato il loro esplicito assenso. E' inoltre
moralmente inammissibile provocare direttamente la mutilazione invalidante o
la morte di un essere umano, sia pure per ritardare il decesso di altre
persone.
Il rispetto dell'integrità corporea
2297 I rapimenti e la presa di ostaggi fanno regnare il terrore e, con la
minaccia, esercitano intollerabili pressioni sulle vittime. Essi sono
moralmente illeciti. Il terrorismo minaccia, ferisce e uccide senza
discriminazione; esso è gravemente contrario alla giustizia e alla carità.
La tortura, che si serve della violenza fisica o morale per strappare
confessioni, per punire i colpevoli, per spaventare gli oppositori, per
soddisfare l'odio, è contrario al rispetto della persona e della dignità
umana. Al di fuori di prescrizioni mediche di carattere strettamente
terapeutico, le amputazioni, mutilazioni o sterilizzazioni direttamente
volontarie praticate a persone innocenti sono contrarie alla legge morale
[Cf Pio XI, Lett. enc. Casti connubii: Denz.-Schönm., 3722].
2298 Nei tempi passati, da parte delle autorità legittime si è fatto
comunemente ricorso a pratiche crudeli per salvaguardare la legge e
l'ordine, spesso senza protesta dei pastori della Chiesa, i quali nei loro
propri tribunali hanno essi stessi adottato le prescrizioni del diritto
romano sulla tortura. Accanto a tali fatti deplorevoli, però, la Chiesa ha
sempre insegnato il dovere della clemenza e della misericordia; ha vietato
al clero di versare il sangue. Nei tempi recenti è diventato evidente che
tali pratiche crudeli non erano né necessarie per l'ordine pubblico, né
conformi ai legittimi diritti della persona umana. Al contrario, esse
portano alle peggiori degradazioni. Ci si deve adoperare per la loro
abolizione. Bisogna pregare per le vittime e per i loro carnefici.
Il rispetto dei morti
2299 Ai moribondi saranno prestate attenzioni e cure per aiutarli a vivere i
loro ultimi momenti con dignità e pace. Saranno sostenuti dalla preghiera
dei loro congiunti. Costoro si faranno premura affinché i malati ricevano in
tempo opportuno i sacramenti che preparano all'incontro con il Dio vivente.
2300 I corpi dei defunti devono essere trattati con rispetto e carità nella
fede e nella speranza della risurrezione. La sepoltura dei morti è un'opera
di misericordia corporale; [Cf Tb 1,16-18 ] rende onore ai figli di Dio,
tempi dello Spirito Santo.
2301 L'autopsia dei cadaveri può essere moralmente ammessa per motivi di
inchiesta legale o di ricerca scientifica. Il dono gratuito di organi dopo
la morte è legittimo e può essere meritorio.
La Chiesa permette la cremazione, se tale scelta non mette in questione la
fede nella risurrezione dei corpi [Cf Codice di Diritto Canonico, 1176, 3].
III. La difesa della pace
La pace
2302 Richiamando il comandamento: "Non uccidere" ( Mt 5,21 ), nostro Signore
chiede la pace del cuore e denuncia l'immoralità dell'ira omicida e
dell'odio.
L' ira è un desiderio di vendetta. "Desiderare la vendetta per il male di
chi va punito è illecito"; ma è lodevole imporre una riparazione "al fine di
correggere i vizi e di conservare il bene della giustizia" [San Tommaso
d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 158, 1, ad 3]. Se l'ira si spinge fino al
proposito di uccidere il prossimo o di ferirlo in modo brutale, si oppone
gravemente alla carità; è un peccato mortale. Il Signore dice: "Chiunque si
adira contro il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio"( Mt 5,22 ).
2303 L' odio volontario è contrario alla carità. L'odio del prossimo è un
peccato quando l'uomo vuole deliberatamente per lui del male. L'odio del
prossimo è un peccato grave quando deliberatamente si desidera per lui un
grave danno. "Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri
persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste. . . " ( Mt 5,44-45
).
2304 Il rispetto e lo sviluppo della vita umana richiedono la pace. La pace
non è la semplice assenza della guerra e non può ridursi ad assicurare
l'equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla
terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra
gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli,
l'assidua pratica della fratellanza. E' la "tranquillità dell'ordine"
[Sant'Agostino, De civitate Dei, 19, 13]. E' frutto della giustizia [Cf Is
32,17 ] ed effetto della carità [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
78].
2305 La pace terrena è immagine e frutto della pace di Cristo, il "Principe
della pace" messianica ( Is 9,5 ). Con il sangue della sua croce, egli ha
distrutto "in se stesso l'inimicizia" ( Ef 2,16 ), [Cf Col 1,20-22 ] ha
riconciliato gli uomini con Dio e ha fatto della sua Chiesa il sacramento
dell'unità del genere umano e della sua unione con Dio. "Egli è la nostra
pace" ( Ef 2,14 ). Proclama "beati gli operatori di pace" ( Mt 5,9 ).
2306 Coloro che, per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, rinunciano
all'azione violenta e cruenta e ricorrono a mezzi di difesa che sono alla
portata dei più deboli, rendono testimonianza alla carità evangelica, purché
ciò si faccia senza pregiudizio per i diritti e i doveri degli altri uomini
e delle società. Essi legittimamente attestano la gravità dei rischi fisici
e morali del ricorso alla violenza, che causa rovine e morti [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes, 78].
Evitare la guerra
2307 Il quinto comandamento proibisce la distruzione volontaria della vita
umana. A causa dei mali e delle ingiustizie che ogni guerra provoca, la
Chiesa con insistenza esorta tutti a pregare e ad operare perché la Bontà
divina ci liberi dall'antica schiavitù della guerra [Cf ibid., 81].
2308 Tutti i cittadini e tutti i governanti sono tenuti ad adoperarsi per
evitare le guerre.
"Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità
internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite
tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai
governi il diritto di una legittima difesa" [Cf ibid., 81].
2309 Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano
una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua
gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre
contemporaneamente:
- Che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle
nazioni sia durevole, grave e certo.
- Che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o
inefficaci.
- Che ci siano fondate condizioni di successo.
- Che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male
da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso
la potenza dei moderni mezzi di distruzione.
Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della
"guerra giusta".
La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio
prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune.
2310 I pubblici poteri, in questo caso, hanno il diritto e il dovere di
imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale.
Coloro che si dedicano al servizio della patria nella vita militare sono
servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se rettamente
adempiono il loro dovere, concorrono veramente al bene comune della nazione
e al mantenimento della pace [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 79].
2311 I pubblici poteri provvederanno equamente al caso di coloro che, per
motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi; essi sono nondimeno tenuti a
prestare qualche altra forma di servizio alla comunità umana [Cf ibid].
2312 La Chiesa e la ragione umana dichiarano la permanente validità della
legge morale durante i conflitti armati. "Né per il fatto che una guerra è.
.. disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le
parti in conflitto" [Cf ibid].
2313 Si devono rispettare e trattare con umanità i non-combattenti, i
soldati feriti e i prigionieri.
Le azioni manifestamente contrarie al diritto delle genti e ai suoi principi
universali, non diversamente dalle disposizioni che le impongono, sono dei
crimini. Non basta un'obbedienza cieca a scusare coloro che vi si
sottomettono. Così lo sterminio di un popolo, di una nazione o di una
minoranza etnica deve essere condannato come un peccato mortale. Si è
moralmente in obbligo di far resistenza agli ordini che comandano un
genocidio.
2314 "Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di
intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e
contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere
condannato" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 80]. Un rischio della
guerra moderna è di offrire l'occasione di commettere tali crimini a chi
detiene armi scientifiche, in particolare atomiche, biologiche o chimiche.
2315 L' accumulo delle armi sembra a molti un modo paradossale di dissuadere
dalla guerra eventuali avversari. Costoro vedono in esso il più efficace dei
mezzi atti ad assicurare la pace tra le nazioni. Riguardo a tale mezzo di
dissuasione vanno fatte severe riserve morali. La corsa agli armamenti non
assicura la pace. Lungi dall'eliminare le cause di guerra, rischia di
aggravarle. L'impiego di ricchezze enormi nella preparazione di armi sempre
nuove impedisce di soccorrere le popolazioni indigenti; [Cf Paolo VI, Lett.
enc. Populorum progressio, 53] ostacola lo sviluppo dei popoli. L' armarsi
ad oltranza moltiplica le cause dei conflitti ed aumenta il rischio del loro
propagarsi.
2316 La produzione e il commercio delle armi toccano il bene comune delle
nazioni e della comunità internazionale. Le autorità pubbliche hanno
pertanto il diritto e il dovere di regolamentarli. La ricerca di interessi
privati o collettivi a breve termine non può legittimare imprese che
fomentano la violenza e i conflitti tra le nazioni e che compromettono
l'ordine giuridico internazionale.
2317 Le ingiustizie, gli eccessivi squilibri di carattere economico o
sociale, l'invidia, la diffidenza e l'orgoglio che dannosamente imperversano
tra gli uomini e le nazioni, minacciano incessantemente la pace e causano le
guerre. Tutto quanto si fa per eliminare questi disordini contribuisce a
costruire la pace e ad evitare la guerra:
Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia
della guerra fino alla venuta di Cristo; ma, in quanto riescono, uniti
nell'amore, a vincere il peccato, essi vincono anche la violenza, fino alla
realizzazione di quella parola divina: "Con le loro spade costruiranno
aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro
un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra" ( Is 2,4 ) [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 78].
In sintesi
2318 Dio "ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio di ogni carne
umana" ( Gb 12,10 ).
2319 Ogni vita umana, dal momento del concepimento fino alla morte, è sacra,
perché la persona umana è stata voluta per se stessa ad immagine e
somiglianza del Dio vivente e santo.
2320 L'uccisione di un essere umano è gravemente contraria alla dignità
della persona e alla santità del Creatore.
2321 La proibizione dell'omicidio non abroga il diritto di togliere, ad un
ingiusto aggressore, la possibilità di nuocere. La legittima difesa è un
dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui o del bene
comune.
2322 Fin dal concepimento il bambino ha diritto alla vita. L'aborto diretto,
cioè voluto come un fine o come un mezzo, è una pratica "vergognosa" ,
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 27] gravemente contraria alla legge
morale. La Chiesa condanna con una pena canonica di scomunica questo delitto
contro la vita umana.
2323 Dal momento che deve essere trattato come una persona fin dal
concepimento, l'embrione deve essere difeso nella sua integrità, curato e
guarito come ogni altro essere umano.
2324 L'eutanasia volontaria, qualunque ne siano le forme e i motivi,
costituisce un omicidio. E' gravemente contraria alla dignità della persona
umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore.
2325 Il suicidio è gravemente contrario alla giustizia, alla speranza e alla
carità. E' proibito dal quinto comandamento.
2326 Lo scandalo costituisce una colpa grave quando chi lo provoca con
azione o con omissione deliberatamente spinge altri a peccare gravemente.
2327 Si deve fare tutto ciò che è ragionevolmente possibile per evitare la
guerra, dati i mali e le ingiustizie di cui è causa. La Chiesa prega: "Dalla
fame, dalla peste e dalla guerra liberaci, Signore".
2328 La Chiesa e la ragione umana dichiarano la permanente validità della
legge morale durante i conflitti armati. Le pratiche contrarie al diritto
delle genti e ai suoi principi universali, deliberatamente messe in atto,
sono dei crimini.
2329 "La corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell'umanità e
danneggia in modo intollerabile i poveri" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 81].
2330 "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (
Mt 5,9 ).
Articolo 6
IL SESTO COMANDAMENTO
Non commettere adulterio ( Es 20,14; Dt 5,18 ).
Avete inteso che fu detto: "Non commettere adulterio"; ma io vi dico:
chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei
nel suo cuore ( Mt 5,27-28 ).
I. "Maschio e femmina li creò..."
2331 "Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione e di amore.
Creandola a sua immagine. . . Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della
donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e
della comunione" [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 11].
"Dio creò l'uomo a sua immagine. . . maschio e femmina li creò" ( Gen 1,27
); "siate fecondi e moltiplicatevi" ( Gen 1,28 ); "quando Dio creò l'uomo,
lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e li
chiamò uomini quando furono creati" ( Gen 5,1-2 ).
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